Il passaggio dalla distribuzione fisica a quella digitale dei videogiochi ha rappresentato una rivoluzione per l'industria, ma i benefici economici di questa trasformazione non sono stati equamente condivisi con i consumatori. È quanto sostiene Tim Cain, figura leggendaria del gaming e co-creatore della serie Fallout, che ha lavorato per studi del calibro di Interplay, Troika e Obsidian. Le sue riflessioni, condivise sul suo canale YouTube, offrono uno spaccato interessante sui meccanismi economici che regolano il mercato videoludico.
Secondo Cain, l'eliminazione dei costi di produzione fisica ha generato risparmi sostanziali che gli editori hanno sostanzialmente trattenuto per sé. "Sapete quei risparmi derivanti dal digitale? Avrebbero dovuto essere trasferiti ai consumatori... Non è successo", afferma senza mezzi termini lo sviluppatore. Il riferimento è ai cosiddetti COG, ovvero il Cost of Goods, che nel gergo dell'industria indica i costi di produzione materiale: stampa dei dischi, packaging, distribuzione logistica. Questi costi sono crollati vertiginosamente con l'avvento delle piattaforme digitali come Steam, ma i prezzi di vendita non hanno seguito la stessa traiettoria discendente.
La questione assume contorni ancora più interessanti se analizzata nella prospettiva storica proposta dallo stesso Cain. Negli anni Novanta, ricorda il veterano dell'industria, i giochi per Super Nintendo costavano 59 dollari. Se quel prezzo fosse stato adeguato all'inflazione, oggi i videogiochi dovrebbero costare cifre ben superiori ai 60-70 dollari attualmente praticati per i titoli AAA. In altre parole, i prezzi sono rimasti sostanzialmente stabili per oltre tre decenni, un fenomeno praticamente unico nel panorama dei beni di consumo.
Tuttavia, Cain offre anche una chiave di lettura alternativa: proprio i margini di profitto recuperati grazie all'eliminazione della produzione fisica hanno permesso agli editori di mantenere i prezzi relativamente stabili senza erodere eccessivamente i loro guadagni. In pratica, se da un lato i consumatori non hanno beneficiato direttamente dei risparmi, dall'altro hanno evitato aumenti che sarebbero stati altrimenti inevitabili considerando l'inflazione degli ultimi trent'anni.
Lo sviluppatore non manca comunque di sottolineare gli aspetti positivi della distribuzione digitale per l'industria nel suo complesso. L'assenza di stampe fisiche ha concesso ai team di sviluppo più tempo per lavorare effettivamente sui giochi, riducendo i tempi morti tra il completamento del progetto e la sua commercializzazione. Inoltre, la possibilità di rilasciare patch e aggiornamenti è diventata enormemente più semplice, migliorando la qualità complessiva dei prodotti anche dopo il lancio.
Non da ultimo, la distribuzione digitale ha garantito una maggiore accessibilità ai titoli storici. Classici come quelli a cui Cain stesso ha contribuito possono rimanere disponibili potenzialmente per sempre, senza i problemi di reperibilità che affliggevano le copie fisiche fuori produzione. Un vantaggio non trascurabile per la preservazione della storia videoludica e per le nuove generazioni di giocatori.
Eppure, l'analisi di Cain arriva in un momento particolare per l'industria. Se è vero che per decenni i prezzi sono rimasti stabili, negli ultimi anni si sta assistendo a una nuova escalation. Sempre più titoli vengono lanciati a 70 o addirittura 80 dollari, e circolano voci secondo cui Grand Theft Auto 6 potrebbe infrangere ogni precedente chiedendo fino a 100 dollari al lancio. Un'eventualità che suggerirebbe come il punto di equilibrio trovato grazie ai risparmi della distribuzione digitale stia ormai cedendo sotto il peso di budget di sviluppo sempre più astronomici.