I primi 10 anni di Skyrim sono quelli in cui ha fatto la Storia

The Elder Scrolls V: Skyrim celebra i suoi primi 10 anni – un periodo in cui è diventato sineddoche dell'intero franchise di Bethesda Game Studios.

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a cura di Stefania Sperandio

Editor-in-chief

Stabilimmo dei turni. Non fu una vera e propria scaletta, niente di nero su bianco, ma avevamo dei turni e le regole non scritte della deontologia del videogiocatore ci imponevano di rispettarli. Questo perché eravamo in tre, ma la PlayStation 3 su cui giocare era solamente una.

Era l'11 novembre 2011 e, quel giorno, avremmo finalmente messo le mani su The Elder Scrolls V: Skyrim, un gioco di ruolo che prometteva di riprendere il filo di The Elder Scrolls III: Morrowind e di The Elder Scrolls IV: Oblivion (che amai) per estenderne ulteriormente la formula.

Si dicevano cose leggendarie, all'epoca: aleggiavano voci di una regione con infinite cose da fare, di una player expression ancora più forte che in passato. Soffiavano venti che sibilavano alle orecchie «non puoi non giocarci» e, anche se in breve i difetti tecnici diventarono meme, nessun inciampo o bug impedì a Skyrim di tramutarsi in quello che è diventato oggi: uno dei sinonimi di videogioco, una sineddoche per la sua saga, un punto dal quale nemmeno Bethesda Softworks vuole ancora allontanarsi. Nemmeno dieci anni dopo.

Fus Ro Dah

La mia PlayStation 3 è morta con l'infausta YLOD. Ho sempre pensato che abbia avuto una dolce morte, perché è spirata durante l'ennesimo giro di turni su Skyrim. Non ricordo se fosse il mio o quello degli altri due videogiocatori che abitavano con me, ricordo però che era notte e che la console disse che non si sarebbe accesa mai più.

Probabilmente basterebbe questo, a rendere l'idea del livello di coinvolgimento che il gioco di ruolo diretto da Todd Howard è riuscito a mettere insieme dieci anni fa.

Dieci anni, nel mondo dei videogiochi, sono più o meno tre ere geologiche. Ciò nonostante, al di là di un discutibile modello di commercializzazione abbastanza confuso tra edizioni, ri-edizioni, pacchetti celebrativi e upgrade inclusi o no, Skyrim è ancora sulla cresta dell'onda.

Se provate a fare un giro per le community di appassionati, quelle dedicate al gioco ambientato nel grande Nord di Tamriel sono strabordanti di gameplay, di curiosità, di easter egg appena scoperti (dopo dieci anni!), di consigli, di ingegnose mod create dagli appassionati.

Non è raro vedere una community tanto attiva dopo tutto questo tempo, ma il punto è che di solito capita con esperienze persistenti – quelle che sono in community online condivise, quelle dove ci sono aggiornamenti costanti. Quelle à la The Elder Scrolls Online, per capirci. Qua, invece, parliamo di un gioco online proveniente da due generazioni fa, ancora vissutissimo.

Ricordo quando creai il mio primo personaggio – e i dieci anni non possono scalfirlo. Era una donna imperiale. Tahva, ovviamente. Mi sorprese, ancora di più di quanto non lo abbia fatto in Oblivion, quanto la trama principale si facesse subito di lato, in Skyrim. I draghi e la loro storyline erano una direzione possibile, non la direzione possibile.

Mi sorprese scoprire l'altra storyline principale, quella della secessione, della ribellione dei Nord contro l'Impero di Cyrodill. Venendo da Oblivion, con il mio profondo amore per la Città Imperiale, e avendo creato io stessa una Imperiale, mi schierai dalla parte del non proprio adorabile Impero. Fui l'unica, tra noi tre che giocavamo.

Questo mi diede l'idea della forza dell'espressione del giocatore, ancora più che in Oblivion. Il gioco era lo stesso, ma il mio personaggio era davvero mio: nel medesimo mondo, davanti ai medesimi dilemmi, ciascuno di noi faceva cose diverse e la sua avventura calcava sentieri diversi. Le nostre tre run avevano lo stesso scheletro ma ciascuna la sua sostanza. Tutt'oggi, è uno dei grandi meriti di Skyrim – la sua capacità di far ruolare, davvero, il personaggio che si ha in mente.

Quando sfoderai il mio primo Fus Ro Dah, ne rimasi profondamente meravigliata: quello era davvero diverso da Oblivion. E un passo alla volta, mentre vagavo tra i Barbagrigia e l'antica lingua dei draghi, cominciavo a domandarmi fino a che punto sarebbe potuto arrivare il mio potere da Sangue di Drago.

Un prima e un dopo chiamato Skyrim

Skyrim non era privo di difetti. La nostalgia non può ingannare: l'impatto del giocatore nel mondo di gioco era più forte innegabilmente in Oblivion (pensate a come gli NPC vi chiamavano con i vostri titoli, mentre in Skyrim a volte vi insultano come un qualsiasi forestiero, mentre magari siete il Dovahkiin che ha salvato quella stessa città), gli inciampi grafici richiederebbero un capitolo a parte, le dimensioni dei salvataggi mandavano ai matti molte console dell'epoca finché non vennero corrette.

Eppure, nell'epopea di Bethesda c'è un prima e un dopo Skyrim.

The Elder Scrolls aveva raggiunto proporzioni impressionanti già con Arena e Daggerfall. Ebbe la grande e ovvia svolta con quella perla assoluta di Morrowind. Raggiunse le console soprattutto con Oblivion. A suo modo, ogni episodio della saga aveva una vocazione da spartiacque, ma Skyrim ne fu la piena incarnazione.

L'open world creato da Bethesda Game Studios contava sull'immensità. Rispetto ad alcuni open world ipertrofici che vediamo oggi, lasciava addosso uno straordinario senso di scoperta anche nelle attività secondarie, quelle di puro riempimento, perché a muovere il giocatore era la voglia di esplorare, di svelare cosa potesse attenderlo oltre il picco di una montagna impossibile da scalare solo all'apparenza.

Ad aiutare, in questo senso, è sicuramente il sistema di generazione delle missioni, che continua a dare in pasto all'utente incarichi secondari praticamente all'infinito: se la questione del Sangue di Drago è arrivata al termine e si è presa una posizione sulla questione Nord vs Impero, il mondo di Skyrim ha comunque così tanto da offrire da fare praticamente impressione.

È il motivo per cui le community dedicate sono ancora attivissime. E, più di ogni altra cosa, è il motivo per cui questo gioco non ha ancora avuto un erede. E non ha nessuna fretta di generarlo.

The Elder Scrolls VI è in lavorazione da tempo, ma Bethesda Game Studios darà spazio a Starfield, prima. E Starfield uscirà l'11/11/22, undici anni dopo Skyrim. Questo significa che, contando che TES VI si allontanerà di almeno un anno (e ci teniamo stretti) dal gioco spaziale, l'erede di Skyrim potrebbe vedere la luce oltre dodici anni dopo di lui.

Perché? Perché Bethesda non ha interesse a dichiarare Skyrim obsoleto o superato. È la community, ogni giorno, a dimostrarle il contrario. Invecchiato nel comparto tecnico, fedele a se stesso nei controlli decisamente non simulativi, adattato letteralmente a qualsiasi piattaforma circolante, il grande nord di Tamriel è diventato una colonna e un'icona dell'universo dei videogiochi. Viene tutt'oggi citato dai giocatori quando li intervistate in merito a quale sia l'open world che più di tutti ha alimentato il loro escapismo.

Le persone, spesso, non dicono di aspettare «il nuovo The Elder Scrolls», ma di aspettare «il nuovo Skyrim». E quando il tuo nome supera quello dell'intera saga di cui fai parte, qualcosa vorrà dire.

Buon compleanno, Skyrim. C'è un prima e un dopo di te ed è sorprendente come, trascorsi dieci anni, quel dopo per The Elder Scrolls non abbia osato iniziare: chi penserebbe mai di deporti e farti abdicare, fintanto che sul tuo trono non c'è polvere?

Se volete approfondire la conoscenza con Skyrim, probabilmente smanierete per avere questi libri, anche dieci anni dopo.