Recensione

Space Hulk: Deathwing

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a cura di Daniele Spelta

Redattore

Simpsons, puntata 15, stagione nove. Bart recupera dal giardino dei Flanders Krusty il Clown sbronzo che, una volta entrato nella stanza del ragazzo ed essersi ripreso dalla sbornia, si accorge degli innumerevoli ed assurdi gadget da lui promossi: c’è la sveglia di Krusty, i moduli legali di krusty, lo specchio di Krusty, il cotton fioc di Krusty ed il collirio di Krusty. Dicembre 2016, aprite la pagina del negozio di Steam – magari non da ubriachi – e a pochi click di distanza trovate lo strategico in tempo reale di Warhammer – 40,000 e Age of Sigmar – lo strategico a turni di Warhammer, l’RPG di Warhammer, la versione digitale del gioco da tavola di Warhammer, il gioco di battaglie navali di Warhammer e perché no, il football americano di Warhammer. Buona parte della colpa – o del merito a seconda dei vostri gusti – di questa sovrabbondanza di titoli è dovuta a Focus Home Interactive che, da quando ha acquisito i diritti sulla licenza di Games Workshop, si è appoggiata di volta in volta a team differenti per lo sviluppo di titoli che sfruttassero l’universo futuristico di Warhammer: questa volta è toccato a Streum On Studio che, nonostante il suo scarno curriculum, si è vista affidare lo sviluppo di Space Hulk: Deathwing un ambizioso FPS basato sul gioco da tavola Space Hulk, dove i protagonisti sono gli iconici e pesanti Space Marines anzi, di più, i “machissimi” Space Marines Terminator. 
Impresa di pulizie spaziali
I primi passi mossi in Space Hulk: Deathwing promettono bene e il tutorial, accanto al piombo infuocato, lascia intravedere un barlume di speranza per approcci più tattici e ragionati, con circuiti da hackerare per aprire nuovi passaggi e torrette da sabotare. La luce si spegne in fretta all’avvio delle campagna, perché nelle nove missioni complessive e per le circa dieci ore della durata, non si fa altro che sparare a ondate sempre più soverchianti di Genestealer, in puro stile Left 4 Dead o, se preferite, Warhammer End Times – Vermintide. La scelta di affidarsi a queste meccaniche ha ovviamente delle ricadute sul gameplay complessivo, e anche oltre, a esempio nel lato narrativo, visto che l’unica motivazione per indagare le profondità dell’enorme Space Hulk, il relitto di una nave spaziale passato attraverso dei chaos warp e ora divenuto dimora dei fratelli meno simpatici degli Alien, è una voce fuori campo che parla di visioni di reliquie e antichi manufatti provenienti dal passato ancestrale degli  Space Marines. La realtà è invece più semplice e meno evocativa: si va avanti fino a che l’ennesima ondata di Xenos, composta da varianti sempre più aggressive e letali di Genestealer e Tyranid, invisibili, che sputano acido o aspiranti bodybuilder, non fanno fuori voi e i vostri sfortunati compagni di viaggio. La storia va dunque scartata dalle possibili molle che spingono a macinare ore su ore. Lo sono altre meccaniche di gioco? Purtroppo, in buona parte no, a partire dallo scarno senso di progressione che teoricamente dovrebbe dare lo spoglio albero delle abilità, che si limita a tre linee – Command, Devotion e Psycho – senza ramificazione alcuna, su cui spendere i punti abilità collezionati nel momento in cui si completa un livello. Le soddisfazioni vengono solo dagli ultimi poteri psichici e che danno il là a delle spettacolari carneficine di alieni, con questi ultimi che saltano letteralmente in mille pezzi o finiscono bruciati a fuoco rapido. Abbiamo in apertura scomodato un pesante paragone con Left 4 Dead, ma delle stanze zeppe di armi fuori di testa dello shooter made in Valve non c’è che uno sbiadito ricordo a bordo della Space Hulk: anche al netto delle differenze che intercorrono fra le classi, la varietà degli equipaggiamenti per gli Space Marines è buona ma di certo non eccezionale, sia per le armi corpo a corpo che per quelle a distanza, che per lo meno restituiscono un feedback ben differente l’una dall’altra, con alcune più rapide e stabili, come gli Storm Bolter, a altre più letali, pesanti, ma che prestano il fianco a svariati blocchi, che equivalgono a una morte certa. L’analisi del gunplay fa emergere dei difetti piuttosto evidenti: anche per il caos che viene generandosi sullo schermo, spesso non si ha la minima idea del danno inferto ai nemici, con questi ultimi che, anche se crivellati di proiettili, proseguono la loro corsa indisturbati, per poi cadere improvvisamente morti dopo un paio di secondi. L’inconveniente più spiacevole è certamente il sistema di mira e non solo perché il puntatore è afflitto dal morbo di Parkinson che impedisce un minimo di stabilità, ma perché quando si clicca il classico tasto destro del mouse la telecamera effettua uno zoom sproporzionato e soprattutto i nemici vengono evidenziati di rosso-arancione. Capiamo che questa trovata dovrebbe simulare il calore corporeo emesso dai Tyranid e simili, ma quando questi ultimi riempiono tutto lo schermo o stanno a un palmo di naso da voi, tutto il monitor viene travolto da colori “sparafleshanti”, davvero fastidiosi e invadenti. L’effetto è un po’ quello di Robot guerrieri epilettici, sempre per sfruttare metafore Simpsoniane. Anche l’attacco in melee nasconde non poche magagne: preparatevi a sfondare il tasto Q a cui è associato l’attacco, perché non capendo da dove o da chi siete attaccati, la soluzione è battere in modo frenetico sulla tastiera. Dato che gli impatti non restituiscono poi la brutale fisicità che dovrebbero dare, lo stupro della Q prosegue anche oltre misura, fino a quando anche i cadaveri attorno a voi non smetteranno di muoversi. Sì, c’è il ragdoll. Le uniche soddisfazioni, ancora una volta, vengono dalle abilità psichiche di cui è dotato il bibliotecario, come onde d’urto in grado di abbattere intere file di Genestealer, oppure scariche elettriche con cui arrostire i nemici quando si fanno troppo vicini. 
Tutto muscoli e niente cervello
Ma delle varianti tattiche che ci sono state mostrate a inizio tutorial, ne rimane qualche traccia? Teoricamente sì: il level design dello Space Hulk è dannatamente claustrofobico e labirintico, l’alternanza di stretti corridoi e di ampie stanze colme di resti umani ed alieni trasmette davvero un senso di inquietudine, ma soprattutto, se sfruttato a dovere, garantisce dei vantaggi sulle soverchianti schiere mostruose, che possono essere tagliate fuori chiudendo le porte o ostruendo i passaggi. Anche le torrette, se da un lato possono falciare in pochi colpi la squadra di spazzini spaziali con più testosterone della galassia, se hackerate, vengono sfruttate per radere al suolo ogni tentativo di assalto alieno. Abbiamo però detto in teoria, perché in pratica, soprattutto a causa della IA degli alleati, i vari tentativi di usare a proprio vantaggio le soluzioni offerte dall’ambiente, vengono troncate sul nascere da un comportamento a dir poco autolesivo, che porta i compagni di viaggio a essere sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato: nei corridoi si piazzano esattamente davanti a voi e, dato che sono larghi come un armadio a tre ante, non vedrete altro che le loro pesanti armature. Se accerchiati da ogni lato da qualsivoglia genere di mostro, alle volte sparano, altre volte menano fendenti, altre volte rimangono completamente fermi e, se in fin di vita, muoiono, perché si scordano della possibilità di curarsi l’un l’altro. La situazione sarebbe anche comica se non ci fossero dei Tyranid che sbucano fuori da ogni pertugio e per evitare di fare una brutta fine in men che non si dica, l’unico modo è l’utilizzo assiduo della barra spaziatrice, con cui impartire continui ordini al party, operazione che fila liscia come l’olio nelle poche situazioni tranquille, ma che diventa un’impresa nei momenti concitati. Nella sua semplicità, l’intelligenza artificiale dei nemici funziona invece bene ed i pattern d’attacco, nella loro linearità, riescono sempre a mettere alle strette la squadra di Space Marines, anche se la varietà e le incognite sono limitate da spawn point fissi lungo la mappa. Il livello di difficoltà si mantiene comunque sempre elevato e la morte è sempre dietro l’angolo, un po’ per l’aggressività dei Tyranid, un po’ per l’UI non proprio chiarissima: Streum On Studios non si è affidata alla classica barra dell’energia, ma ha preferito creare un sistema di danni suddiviso per le varie parti dell’armatura che, quando diventa rossa, indica la sconfitta imminente. Il sistema è forse più innovativo, ma è certamente meno chiaro. 
Silenzio e reverenza 
Meccaniche di shooting poco ispirate e ripetitive, AI traballante, looting assente e lato RPG appena abbozzato: insomma, non sembrerebbero esserci validi per affrontare le missioni suicida assieme alla squadra di Terminators. E invece no. La discesa negli angoli più remoti dello Space Hulk è uno spettacolo per gli occhi e nei rari momenti di tranquillità, quando si alza la testa dal mirino, si rimane letteralmente a bocca aperta davanti alle immense strutture contenute nel relitto spaziale. Ogni corridoio, ogni sala, ogni singolo ingranaggio trasuda l’atmosfera mistica e cupa di Warhammer 40,000 e non stiamo esagerando quando diciamo che l’aria respirata in Space Hulk: Deathwing non l’avevamo provata in nessun altro titolo basato sulla licenza di Games Workshop. La direzione artistica impressa da Streum On Studio è davvero degna di lode, tutto è unito alla perfezione, gli stretti cunicoli metallici assieme agli asteroidi con cui si è fusa la navicella, ma sono soprattutto le oscure architetture gotiche a trasformare lo Space Hulk in una cattedrale fluttuante, con le sue imponenti statue e altari dedicati ai vecchi eroi dell’Impero, mentre lì accanto innesti cibernetici e spessi fili elettrici producono quell’incessante suono metallico che accompagna il giocatore per tutta l’avventura. Space Hulk: Deathwing mostra i suoi muscoli grazie al sapiente impiego dell’Ureal Engine 4 e, a esclusione di qualche texture meno definita, gli effetti, i giochi di luce che scaturiscono dalle fonti di calore, i sottili raggi che entrano dalle finestre in frantumi, i riflessi e il pulviscolo che permea ogni anfratto dello Space Hulk, tutto questo contribuisce a restituire uno spettacolo cupo, claustrofobico, permeato di morte e sangue, forse anche di più di quanto visto sulla USG Ishimura. Sulla nostra configurazione di prova, dotata di un i7 4770k, 16Gb di Ram e di una 970 4Gb, Space Hulk: Deathwing – giocato a un dettaglio grafico tra alto e ultra, con il v-sync, il bloom e l’anti-aliasing attivati – non ha mostrato cali di frame rate significativi, con qualche limitato e non esagerato rallentamento solo quando gli sciami Genestealer si facevano più intensi. A quanto pare, non tutti gli utenti sono stati altrettanto fortunati, perché sfogliando tra le pagine di Steam non mancano le lamentele sul basso frame rate, tale da rendere il titolo ingiocabile. Il comparto audio contribuisce anch’esso a questa sensazione di costante oppressione, di pericolo che può venire da ogni parte, i lunghi silenzi di una navicella ormai abbandonata sono bruscamente interrotti dalle acute urla dei Genestealer e degli altri Tyranid, mentre dei toni metallici standard rimbombano nel vuoto dello Space Hulk. Al netto di un gameplay complessivo di livello mediocre e senza particolari spunti, l’avventura di Space Hulk: Deathwing riesce a catturare l’immaginazione del giocatore, creando un viaggio attraverso tutto ciò che è Warhammer 40,000 e immergendolo sempre più in basso in un microcosmo ricreato dentro la nave spaziale. 
Quando va, funzione bene… Quando va.
Forse vi sembrerà strano essere arrivati fino a questo punto e non avere trovato alcun accenno alla componente online, visti soprattutto i paragoni con Left 4 Dead e Warhammer: End Times – Vermintide. La cooperativa fino a quattro giocatori c’è, permette di rivivere le stesse missioni delle campagna affrontate in singolo, è certamente frenetica, le fasi di shooting sono incalzanti e non lasciano un attimo di respiro. Affrontare l’avventura assieme a tre compagni in carne e ossa annulla poi tutti i difetti segnalati sull’IA degli alleati e anzi, la collaborazione si rivela l’unica via per non essere sopraffatti dalle schiere aliene, che diventano più numerose e agguerrite nel multiplayer. La realtà dei fatti è purtroppo meno felice, soprattutto perché non esistono server dedicati per Space Hulk: Deathwing e tutto è demandato al giocatore che farà da hosting alla partita, che perdurerà fin quando egli non riceverà una chiamata dall’Imperatore sull’altra linea, si stuferà di fare a fette scarafaggi troppo cresciuti o, problema tanto caro al nostro paese, la sua linea subirà un’interruzione. Il peer-to-peer è certamente una base economica e conveniente, ma la stabilità ne risente parecchio e anche trovare una partita è stata alle volte volte un’impresa che ha richiesto svariati tentativi e minuti d’attesa, a cui vanno sommate le pause causate dai lunghi caricamenti. Il secondo problema della cooperativa è che non esiste un vero e proprio sistema di progressione e i livelli sbloccati, gli equipaggiamenti recuperati e le nuove abilità perdurano fintanto che si rimane all’interno del match, ma la corsa riparte da capo in ogni sessione di gioco, dimenticando qualsiasi tipo di achivement. La frustrazione viene mitigata dalla Codex Mode, un’opzione che, se da un lato limita il numero di respawn a disposizione del giocatore, attiva sin dall’inizio tutte le armi e i poteri, garantendo così una maggiore varietà alla partita.

HARDWARE

Requisiti minimi: – Sistema operativo: Windows 7/8/10 (64-bit) – Processore: Intel Core i5-2400/AMD FX-8320 – Memoria: 8 GB di RAM – Scheda video: 2 GB, DirectX 11, AMD Radeon HD 7870/NVIDIA GeForce GTX 660 – DirectX: Versione 11 – Rete: Connessione Internet a banda larga – Memoria: 40 GB di spazio disponibile

Requisiti consigliati: – Sistema operativo: Windows 7/8/10 (64-bit) – Processore: Intel Core i7-3770/AMD FX-8350 – Memoria: 8 GB di RAM – Scheda video: NVIDIA GTX 970 4GB/AMD Radeon R9 290 4GB – DirectX: Versione 11 – Rete: Connessione Internet a banda larga – Memoria: 40 GB di spazio disponibile

– Si respira la vera atmosfera di Warhammer 40,000

– Visivamente appagante

– Level design claustrofobico e labirintico

– Comparto audio integrato alla perfezione

– Divertente e frenetico in co-op

– Gameplay piatto e ripetitivo

– IA deficitaria

– Sistema di mira fastidioso

– Online parecchio instabile

6.0

Space Hulk: Deathwing, è inutile nascondersi dietro a un dito, soffre di gravi lacune, spezzettando il gameplay nelle sue varie meccaniche, saltano fuori difetti su cui è difficile soprassedere, soprattutto quelli segnalati in merito all’IA, al sistema di mira e in generale a un gunplay piatto e poco appagante. Se giocato al fianco di tre amici, la situazione migliora sensibilmente e Space Hulk: Deathwing mostra quel suo lato tattico che la campagna non riesce a mettere adeguatamente in evidenza, peccato però che trovare una partita, stabile e che duri più di un’ora senza disconnessioni, sia un’impresa non da poco. L’unica vera motivazione per spendere ore all’interno dell’infestato Space Hulk è proprio quest’ultimo, una maestosa, imponente e ispiratissima cattedrale gotica derelitta, che fluttua nel vuoto dello spazio, tra un warp e l’altro, fondendosi con asteroidi e materiali rocciosi, senza però mai perdere la sua anima mistica, il suo culto per la forza tipico dell’Impero dipinto in Warhammer 40,000. Almeno come tech demo e come fonte di screenshot, Space Hulk: Deathwing è il primo della classe.

Voto Recensione di Space Hulk: Deathwing - Recensione


6