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Hackers per la Gloria - Puntata #2

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a cura di ParyKon

Pubblicato il 22/10/2017 alle 00:00

Qualora non l’aveste letta, vi consigliamo di recuperare la prima puntata dello speciale Hackers per la Gloria direttamente a questo link.

L’avvento dell’internet

L’iniziale, passivo disinteresse delle autorità favorì indubbiamente la lenta espansione della Warez Scene. I primi cracker iniziarono a condividere materiale pirata nel corso degli anni ottanta; stando all’autore tedesco Jan Krömer, entro l’86 la Scena contava oltre 20.000 membri. Ai primissimi meeting partecipavano spesso più di 4.000 individui: con l’avvento del decennio successivo, la community arrivò infatti a superare i 50.000 membri attivi. Fu però la diffusione di internet, ad accelerare (e mutare) in maniera estrema il fenomeno. Fino ad allora, per accedere alla Scena (ed apprendere quanto necessario per unirsi ad un Gruppo) occorreva frequentare determinati ambienti, vantare di specifiche conoscenze, vivere in particolari zone; il web riuscì ovviamente ad abbattere tali limiti, garantendo -ad esempio- l’accesso ai Gruppi Warez a qualunque eventuale autodidatta (che rispettasse comunque rigidissimi requisiti/contasse sulla buona parola di amicizie “nel giro”, s’intende). Di fatto, internet conferì semplicemente ai cracker -di allora, e futuri- nuovi mezzi, trasformando la Scena in una community internazionalmente unificata. Come diretta risposta al fenomeno sempre più diffuso dei sistemi anti-pirateria, la Warez Scene degli anni 90 -fondata sulla tradizione degli hacker dei ’60 e dei cracker degli ’80- continuò quindi ad espandersi, condividendo incessantemente versioni sprotette di praticamente qualunque film, album musicale o videogioco pubblicato.
Ovviamente, la cosa attirò l’attenzione delle autorità -nello specifico, l’FBI. Nel ’94, un giovane studente/hacker venne infatti arrestato per violazione di copyright, segnando un importante precedente nella storia della pirateria; dopo circa tre anni, il presidente Clinton firmò un atto denominato NET (“No Electronic Theft“), dando ufficialmente il via ad una vera e propria guerra contro la Scena. Arresti sempre più frequenti si alternarono quindi a perquisizioni di massa di PC, server ed hardware privati (tali da raccogliere, in occasione di un particolare raid, un ammontare pari a 38 terabyte di materiale pirata -una quantità semplicemente spaventosa per gli standard dei tempi).

Non ruberesti mai un’auto

In seguito all’iniziale sgomento (e conseguente, breve silenzio), la Scena tornò tuttavia più attiva di prima, costringendo l’FBI ad ammettere la propria incapacità nel contrastare un simile movimento (arrivato a contare, a quel punto, oltre 200.000 membri in tutto il mondo). Fu all’incirca ciò, a portare l’industria (cinematografica, musicale quanto videoludica) ad adottare una posizione apertamente ostile nei confronti dei pirati stessi: incapaci di risolvere il problema alla radice -ovvero, prendendosela con i responsabili della pirateria-, le major statunitensi decisero semplicemente di bersagliare chiunque usufruisse (indirettamente) degli illeciti servizi della Scena. Gli inizi del 2000 videro dunque l’alternarsi di una lunga serie di accuse, processi e cause legali focalizzate sui diritti d’autore; nel 2004, ad esempio, vennero accusati di furto (di musica digitale) circa 16.000 individui. 
Chiaramente, si rivelò presto un metodo scarsamente funzionale: anche escludendo il forte backlash in immagine pubblica (temuto, entro certi termini, dalle grosse società dell’intrattenimento), lo sforzo nel disincentivare la pirateria non poté che fallire, risultando oltretutto ingestibile (a livello economico quanto tempistico). Nuovamente sconfitta, l’Industria azzardò quindi un nuovo approccio. Come alternativa al bastone si tentò di adottare la carota -principalmente, per mezzo di ubique campagne per la sensibilizzazione al costante problema della pirateria. Iniziò dunque la massiccia diffusione di spot sulla falsariga di “Non ruberesti mai un’auto“, prodotti ed utilizzati ancor oggi -nonostante l’efficacia opinabilmente dubbia (costringere i clienti paganti ad apprendere di un’alternativa illegale quanto gratuita –di cui magari erano persino ignari– non suona come la migliore delle strategie, ma tant’è). Non bastò chiaramente a porre fine alla pirateria; con la seconda metà dello scorso decennio, tuttavia, la Scena finì con l’avviarsi spontaneamente verso un progressivo quanto inevitabile declino.

Il tramonto

La Warez Scene impose presto uno standard, scegliendo insomma di adottare un regolamento comune per quanto concerne i contenuti/la formattazione delle proprie release (evitando quindi una lunga serie di inconvenienti spesso legati alla pirateria, come l’inserimento di virus o malware nel software diffuso). Esaminare minuziosamente quanto rilasciato dai Gruppi rivali divenne una sorta di tradizione, nell’ambiente: notare file sospetti, malfunzionamenti, contenuti errati/superflui o simili irregolarità era sufficiente a far bocciare (in gergo, “nukkare“) una release, intaccando inevitabilmente la reputazione dell’intero team. Sebbene i contenuti pirata offerti dalla Scena fossero gli unici a vantare di effettive garanzie in quanto genuinità e sicurezza, il sopraggiungere di internet permise a chiunque di dilettarsi nella diffusione del software illegale: con l’avvento di nuove fonti e strumenti -come Napster, LimeWire o eMule-, una nuova generazione di pirati (prevalentemente disinteressata/ignara della reale provenienza del materiale recuperabile sul web) contribuì gradualmente a far percepire la Warez Scene in quanto entità sempre meno influente e necessaria.
D’altro canto, la Scena non è certo nota per il proprio interesse nei confronti dell’utente finale (il banale pirata), restando fino in fondo un effettivo circolo privato ed underground; i contenuti Warez offerti dai siti di sharing/torrent, ad esempio, non sono che banali leak (materiale spesso “prodotto” dalla Scena, ma mai effettivamente destinato alla diffusione pubblica). Insomma, gran parte della pirateria perpetuata sul web si compone ancor oggi degli “scarti” di un’ampia community di hacker (in genere, aspramente contrariata dalla diffusione pubblica del proprio lavoro). In un modo o nell’altro, la Scena perse il proprio pseudo-monopolio sulla diffusione clandestina del software: i Gruppi Warez si videro infatti affiancati (loro malgrado) dai neonati Gruppi p2p, una nuova realtà nell’ambiente della pirateria informatica. 
Non si trattò comunque dell’unica ragione dietro al declino della Scena. Pur essendosi reinventata più volte (passando dalle contenute sfide tra informatici degli anni 80, alle comunità interconnesse globalmente dei ’90), la Warez Scene non ha mai smesso di basarsi, nel profondo, sulla competizione: mettersi alla prova (e dare pubblicamente sfoggio del proprio talento) è sempre stato il fulcro del fenomeno, in un certo senso. L’inarrestabile progresso nel mondo dell’informatica finì tuttavia col mettere seriamente a repentaglio quella specifica attrattiva.

La Scena è morta, lunga vita alla Scena

Nel giro di una trentina d’anni l’industria passò dall’offrire prevalentemente giochi sviluppati da singoli individui, a mastodontici progetti realizzati da team di centinaia di persone; per quanto concerne i software anti-pirateria, l’evoluzione non fu del tutto dissimile. Conseguentemente, arrivare a comprenderne l’effettivo funzionamento -tramite ingegneria inversa- non ha potuto che farsi sempre più lungo e complesso (sfiorando a tratti l’impossibile, in determinati casi). È quindi nata (ad esempio) una sorta di tendenza nell’utilizzo di bypass, workaround o simili vie alternative, allo scopo di sproteggere i giochi; piuttosto che “rimuovere del tutto” i sistemi anti-copia, si preferì semplicemente optare per aggirarli. L’ampia quantità di titoli sul mercato (spesso proposti con il medesimo sistema anti-copia) ha inoltre imposto un approccio decisamente più “standardizzato” da parte della Scena, costretta ad adottare soluzioni gradualmente più simili tra loro. Il sistema con cui Valve protegge i titoli sul proprio store, ad esempio, è pressoché immutato da anni: una volta aggirato, è bastato riproporre lo stesso tipo di crack (che sostanzialmente, simula Steam) a qualunque titolo approdasse sullo store. Il processo legato alla sprotezione dei giochi si fece quindi più sistematico e metodico, meno legato alla mera abilità informatica; in altre parole, i Gruppi Warez iniziarono a somigliare sempre meno a misteriosi team di hacker, ricordando al più banali fattorini del software pirata. 
Il fascino dell’intero fenomeno non poté che risentirne: pur perpetuando passivamente la propria attività clandestina, la Scena finì col restringersi sensibilmente (complici le ferite lasciate dall’aggressivo approccio delle autorità nei primi del 2000). Con la graduale dipartita di svariati Gruppi storici (ed il conseguente, crescente disinteresse della community stessa), la cultura Warez si ritrovò -almeno, dal punto di vista del pirata medio- a sprofondare lentamente nell’irrilevanza.

Linfa vitale

Nonostante il relativo silenzio, la Warez Scene non è mai effettivamente scomparsa. Come già detto, il cuore del fenomeno risiede fondamentalmente nella competizione: per ripopolare la community ed attirare nuovi talenti, sarebbe insomma bastata una sfida effettivamente degna. 
…che chiaramente, non tardò ad arrivare: il progresso nel campo delle protezioni anti-pirateria è infatti sufficiente a riaccendere l’interesse della Scena, desiderosa -per natura- di mettersi costantemente alla prova (e dar sfoggio delle proprie abilità). Dopo aver aggirato metodi di protezione più basilari (tra disk check, attivazioni online e CD Key vari), la Warez Scene dovette quindi vedersela con sistemi decisamente più complessi, come SafeDisk, StarForce ed il controverso SecuROM.
Inutile dirlo, Denuvo non può che rappresentare l’ultimo esponente della medesima lista. Comparso quasi all’improvviso, il software austriaco interruppe bruscamente la consueta condivisione di videogiochi pirata perpetuata dalla Scena (o quantomeno, ciò che ne restava): dopo anni di regolari crack -spesso al day one-, i pirati vennero quindi fermati da una protezione allora apparentemente inviolabile. 
Le conseguenze furono, tutto sommato, piuttosto prevedibili. Il web fu semplicemente testimone dell’ascesa di un nuovo gruppo Warez: capitanato dalla giovane hacker Bird Sister, il team 3DM nacque con l’obiettivo di sproteggere (e diffondere in oriente) gli innumerevoli titoli mai approdati ufficialmente in Cina. Il mercato videoludico dell’est è infatti profondamente diverso dal nostro; la pirateria risulta spesso l’unico metodo concreto per mettere le mani su determinate release. 
Come riportato sulle pagine di SpazioGames, Denuvo venne quindi aggirato dal Gruppo cinese nel dicembre del 2014; per la prima volta, venne messa effettivamente in dubbio l’infallibilità dell’innovativo sistema.

Con l’avvento di internet, la Warez Scene (storica community underground dedita all’illecita distribuzione di materiale coperto da copyright) perse il proprio pseudo-monopolio sulla pirateria digitale; affiancata proprio malgrado da nuove realtà (tra tutte, il p2p), la Scena non poté che restringersi sensibilmente, complice un intervento massiccio da parte delle autorità (affiancato da un’incessante “standardizzazione” nel campo del spftware anti-copia). L’introduzione di nuovi e complessi sistemi di protezione (dal famigerato SecuROM al recente Denuvo) è però sufficiente a rinvigorire l’interesse della community: in un circolo vizioso, la creazione di innovativi sistemi anti-copia non è che principale causa del fenomeno alla base della pirateria stessa.

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