Recensione

Devil's Third

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a cura di Pregianza

L’ego è una parte importante di qualunque essere umano. Dentro tutti noi arde una forte individualità, e ancor più focosa è la necessità che sentiamo di mostrarla al mondo con i fatti, al punto da spingerci a volte a compiere azioni non propriamente furbissime.
Insomma, di cacchiate, per l’ego, se ne combinano a bizzeffe. 
Il problema di norma non è particolarmente grave, l’ego può dopotutto anche essere una forza positiva e la parte logica del nostro cervellino tende a fermarci prima di compiere azioni dalle conseguenze apocalittiche. Ci sono rarissimi casi, tuttavia, in cui l’ego si fa semplicemente eccessivo, una massa informe e gigantesca che rende ciechi e travolge il mondo. 
A Tomonobu Itagaki dev’esser capitata na cosa simile, se no Devil’s Third proprio non riusciamo a spiegarlo.
Danko ci fa una…
Ripercorriamo brevemente le tappe che hanno portato alla nascita di questo titolo, vi va?
Itagaki è un designer di successo, a lui si devono il ritorno di Ninja Gaiden sotto forma di action stilosissimo (e difficilissimo) e i Dead or Alive. Diventa famoso per il fatto di non abbandonare mai gli occhiali da sole e il suo fare da duro, conquista un gran numero di fan che lo osannano per ciò che ha creato, e dopo 16 anni di convivenza decide di mandare al diavolo il Team Ninja per fondare una sua casa di sviluppo, i Valhalla Studios. Il loro primo titolo, Devil’s Third, ha uno sviluppo travagliato: viene annunciato, poi scompare per un bel po’, e infine riappare come esclusiva WiiU con buona pace dei fan. 
Erano molti quelli che si aspettavano un giocone dal buon Tomonobu, d’altronde il declino del Team Ninja dopo la sua partenza è stato evidente e visto il suo pedigree le possibilità per una grossa sorpresa c’erano tutte. Dopo preview tutt’altro che entusiasmanti e una prova prolungata della sua ultima opera, però, dobbiamo con tristezza affermare che forse entrambe le parti del vecchio Team Ninja avevano bisogno l’una dell’altra per funzionare. Devil’s Third è infatti un titolo di rara bruttezza e gran parte del merito lo ha il comparto tecnico del gioco, capace di rovinare in toto l’esperienza… ma andiamo per ordine.
Già, partiamo dalla trama. La trama. T-R-A-M-A. Probabilmente credevate che il merito delle sceneggiature atroci dei Ninja Gaiden fosse di qualche scrittore improvvisato all’interno proprio del Team Ninja. E invece no! Devil’s Third dimostra chiaramente come cotanta bellezza sia da attribuire in larga parte a Itagaki. Davvero, la trama di sto gioco è al di là della demenzialità pura: è un insieme di tamarrate senza capo né coda, attaccate col nastro adesivo e buttate in un cestello da cui escono miracolosamente conciate peggio di com’erano entrate. Se non ci credete facciamo un breve riassunto. Tutto parte dalla Sindrome di Kessler, una teoria secondo cui i detriti spaziali, una volta raggiunta una certa soglia, possono diventare così tanti da impedire i viaggi nello spazio dalla Terra. Qui la teoria viene usata per distruggere tutti i satelliti in orbita da una non meglio precisata organizzazione terroristica. Scoppia una sorta di guerra mondiale, e voi, un prigioniero leggendario dallo stereotipato accento russo di nome Ivan, venite spediti dal presidente degli Stati Uniti a risolvere la situazione, poiché della succitata organizzazione terroristica facevate parte. Il resto è semplicemente indescrivibile, praticamente trash puro, e di quelli che si prendono davvero troppo sul serio. Cyborg Ninja, Zombie deformi, assassine stealth, occhi magici, mutageni “chenonsicapiscebenecome”, qualunque cosa abbiate immaginato dopo una brutta sbornia in questa campagna probabilmente c’è.  
È evidente che Itagaki ci crede fortissimo, traspare da ogni scena, ma tutto è involontariamente esilarante. Per certi versi siamo di fronte a una inarrivabile perla del nonsense comunque, roba da far impallidire persino The Room di Wiseau (googlatelo, ne vale la pena).
Guerrieri del frame rate
Il problema non è dunque così grave per quanto riguarda la narrativa, visto che fa sempre piacere farsi due risate, solo che poi le magagne si fanno strabilianti anche quando si va a vedere il gameplay, e su quello Itagaki non doveva e poteva fallire. In pratica, quello che i Valhalla han deciso di mettere in campo è un sistema ibrido, che mescola meccaniche da fps, tps e action hack ‘n’ slash, le semplifica per renderle accessibili e le applica a un ritmo di gioco estremamente rapido. Sulla carta ottimo, ma l’applicazione lascia molto a desiderare: il movimento funziona, grazie a scatti rapidi, a una scivolata utilizzabile durante la corsa e alla capacità di Ivan di scalare pareti altissime e balzare come un campione olimpionico. Il combat system corpo a corpo, invece, è semplicistico, un insieme di colpi leggeri e potenti privi di finezza, ben lontani dalla complessità di combinazioni a cui il designer giapponese ci ha abituato. Non sarebbe nemmeno particolarmente grave se si vedesse l’uso delle armi da taglio/urto come una semplice seconda scelta, eppure le meccaniche difensive di schivata e parata, oltre al numero di nemici che spingono al melee, sottolineano la sua centralità. Tristemente il titolo non offre molto di meglio quando si va ad analizzare lo shooting. Le armi infatti sono poderose, in particolare i fucili automatici, ma per mirare si passa in prima persona, una scelta che spezza all’improvviso il ritmo furioso del gioco obbligando a rallentare seccamente durante le sparatorie e a mirare per benino. Il feeling delle armi poi è praticamente nullo, il bilanciamento delle stesse pure, il cover system automatico non è dei più affidabili, un power-up chiamato Enbaku aggiunge pochetto, una certa legnosità pervade ogni elemento, e non bastano certo teste che esplodono a caso e pezzi di corpi nemici sparsi ovunque a migliorare i combattimenti. Poi ci pensa persino una struttura delle missioni terribile a fare da ciliegina sulla torta, con blocchi forzosi, muri invisibili, fasi su torrette pessime, e aiutanti utili quanto una forchetta a forma di cotton-fioc (si parla di un gruppetto di soldati americani che o non vi sta dietro, o sarebbe meglio ci rimanesse).
A queste problematiche si aggiunge infine il comparto tecnico, e lì è il disastro. In fondo il sistema di combattimento, seppur piagato da molte mancanze, aveva ottime chance di divertire comunque con la sua velocità e il caos che riesce a scatenare. Quando però ci si trova davanti a cali di frame rate secchi e continui in un gioco che graficamente pare uscito dall’era PS2 non si può che scuotere la testa. Non importa la missione, non importa la location, prima o poi ci sarà una qualche esplosione a schermo e il gioco andrà sotto i 10 fps. La frequenza di queste situazioni è desolante e grazia solo poche zone, popolate da nemici privi di effetti speciali. C’è un particolare livello della campagna a bordo di una jeep, poi, dove a tratti ci è parso di giocare con un album di figurine. Possiamo capire che le risorse a disposizione dei Valhalla fossero poche, ma questo è uno scempio ingiustificabile.
Non meglio l’intelligenza artificiale nemica, che va dal “molto stupido” al “manichino che corre contro un muro senza un perché”, le boss fight, sceniche ma scarsamente brillanti o spassose, e i bug, così numerosi che stare a elencarli tutti è seriamente superfluo. Tecnicamente Devil’s Third è un buco nell’acqua così profondo, che dall’altra parte se si strizzano bene le palpebre si vede la Nuova Zelanda.
Online mahyem
Il singleplayer del gioco quindi è insalvabile, ma quando si va ad osservare l’online non può che scendere una lacrimuccia, perché lì le potenzialità c’erano, eccome. Itagaki e i suoi hanno creato un’infrastruttura multiplayer elaborata e piuttosto originale, con numerosissime modalità, personalizzazione estrema del personaggio (non fisica, ma a livello di equipaggiamento), e persino clan che si sfidano in una sorta di modalità conquista chiamata Siege Mode. Tra le opzioni offerte non mancano match classici e loro varianti, ma la presenza di modalità dedicate esclusivamente al corpo a corpo, partite in cui vanno catturati cargo che cadono dal cielo e galline, o sfide a chi frulla più frutta è a dir poco dilettevole. Il Siege Mode appena citato inoltre è geniale, permette di selezionare una specifica zona poi personalizzabile con varie difese, e viene affrontato nei panni di un mercenario senza affiliazione o come membro di un clan. Sono pochi gli shooter che osano infilare così tanti contenuti nel loro multiplayer. 
Attenzione, godetevi l’elogio finché dura, perché ora si riparte con le critiche. In primis, il sistema economico dell’online, davvero difficile da giustificare. Devil’s Third infatti contiene microtransazioni sotto forma di uova d’oro, ottenibili in minima parte giocando a lungo, ma facilmente acquistabili con soldi reali dal Nintendo E-Shop. Certe personalizzazioni dotate di ottimi bonus passivi a movimento e resistenza sono ottenibili solo con le uova (seppur lo stacco sia piuttosto limitato e si ottengano 30 pezzi all’inizio della carriera), e la possibilità di trasformarle in soldoni assicura a chiunque voglia spendere denaro vero un arsenale poderoso da subito. Non bastasse questo a stranire, i problemi tecnici del gioco in singolo si ripercuotono anche sul multiplayer, dove gli scatti sono imperdonabili e possono portare a errori gravi, e il modo in cui certe mappe sono congegnate non è dei migliori. In un gioco che fa della mobilità e della velocità la sua forza, immaginate cosa vuol dire avere a che fare con improvvisi cali di frame rate in partita, o location asimmetriche dove i respawn paiono spesso andare un po’ a casaccio. 
È tutto molto deludente, specie perché, nascosto tra le crepe, lo spirito delle produzioni di Itagaki lo si percepisce nella breve campagna (vi occuperà per una manciata di ore o poco più). Lo si vede nella velocità con cui si balza da una piattaforma all’altra di una mappa, nei personaggi over the top, e nei picchi di difficoltà improvvisi. Però non basta, Devil’s Third è un terribile passo falso, e poco conta cosa sarebbe potuto diventare con un po’ più di tempo e risorse. 

– Il multiplayer aveva effettivamente del potenziale…

– Forse il gioco più tamarro mai creato

– Trash allo stato puro, e involontariamente esilarante

– Mobilità e velocità d’azione notevoli

– …sprecato per via di microtransazioni, respawn mal calcolati e problemi vari

– Tecnicamente disastroso

– Gameplay semplicistico e ricco di difetti

– Campagna breve

– Trama ridicola

– Bilanciamento inesistente

4.5

Capire cosa sia successo a Itagaki con Devil’s Third è davvero difficile. Forse l’inesperienza del nuovo team era semplicemente troppa, o forse il designer giapponese, dopo anni di successi, ha semplicemente svalvolato di fronte a difficoltà inaspettate. Sono tuttavia solo supposizioni, l’unica certezza è la scarsa qualità della sua ultima opera, un disastro totale a livello tecnico. Ed è un peccato, perché con le sue modalità assurde, le ottime idee legate all’online e la sua velocità, Devil’s Third aveva il potenziale per diventare un must per gli amanti dell’online su WiiU. Invece crolla in tutto, persino in quel gameplay di cui nessuno osava dubitare. Chissà se la versione PC del gioco, incentrata sul multiplayer, avrà più fortuna. Qui purtroppo non c’è niente di divertente, al di fuori di un gran numero di cutscene demenziali.

Voto Recensione di Devil's Third - Recensione


4.5