Recensione

Danganronpa: Trigger Happy Havoc

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Il medium videoludico, sin dalla sua nascita, ha intrapreso un percorso di convergenza con quello che, fino a pochi anni fa, era considerato il suo fratello maggiore, ovvero il cinema.Poi, complici i passi avanti a livello tecnologico e l’approfondimento degli strati narrativi cui il videogioco è andato incontro soprattutto nel corso dell’ultima generazione di console, i ruoli si sono invertiti, con il cinema, spesso a corto di idee, a scimmiottare personaggi e topoi propri dei videogames.Che succede quando, invece che il cinema, a fondersi con i videogiochi è la narrativa cartacea?Danganronpa: Trigger Happy Havoc pone questa domanda e, nel contempo, offre una soddisfacente risposta.

A me gli orsetti non sono mai piaciutiGiunto in occidente quasi in sordina, rimanendo visibile solo nei radar dei maggiori appassionati di cultura giapponese, Danganronpa è una visual novel interattiva, che, a pochi secondi dalla schermata di avvio, ci mette nei panni di Makoto Naegi, ragazzo come tanti, che vive la sua adolescenza nel Giappone contemporaneo, la cui routine viene spezzata da un inaspettato invito alla Hope Peak Academy, scuola d’elite, che forgia il meglio della gioventù nipponica preparandola ad entrare nelle alte sfere della società.Incuriosito e sorpreso, il nostro alter ego effettua una veloce ricerca sul web, che non fa altro che aumentare i suoi dubbi, visto che tutti gli altri invitati sono ragazzi che hanno raggiunto l’eccellenza nei rispettivi campi, dallo sport al gioco d’azzardo, dalla programmazione alla musica.Nonostante non ritenga di eccellere in nulla, il nostro alter ego si reca alla scuola nella mattina indicata nell’invito, solo per entrare nel più vivido e irreale degli incubi: dopo aver perso i sensi, si risveglia in un’aula deserta, per poi scoprire che altri quattordici “prescelti” condividono il suo destino.Rinchiusi nell’edificio della scuola, opportunamente blindato e modificato, in balia di un orso di peluche che più sadico non si può, senza alcun contatto con il mondo esterno: non esattamente un buon primo giorno di scuola.L’unico modo per uscire vivi da questa aberrante situazione è assassinare uno degli altri inquilini della scuola senza però farsi scoprire. Questo, o rimanere reclusi a vita con quattordici sconosciuti.Inizialmente il gruppo, tra l’incredulo e lo smarrito, pensa ad uno scherzo di cattivo gusto, e lascia passare un paio di giorni bighellonando per l’immenso edificio: allora Monokuma, il tenero orsetto assassino, decide di dare brio a quella che lui considera una gara, mostrando ad ognuno dei partecipanti dei video assai macabri, nei quali lascia intendere che sia stato fatto del male anche alle persone care al di fuori della scuola.Questo getta nello sconforto i ragazzi, già alle prese con i moti e le turbe proprie dell’adolescenza, e innesca una spirale di paranoia e violenza senza fine, al centro della quale, inutile, dirlo, ci sarà il giocatore.Come tutti i libri ben scritti, Danganronpa invita l’utente ad entrare per una tazza di caffè e, una volta dentro, lo lega alla sedia e non lo lascia andare fino alla sua conclusione: la voglia di vedere “cosa succede dopo” si fa via via più pressante, e si finisce per percorrere i corridoi della scuola più malata vista su PSVita con la stessa avidità con cui si sfogliano le pagine di un libro che ha saputo rapirci.L’omaggio iniziale a “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie si trasforma presto in un incubo lucido e spietato, con tematiche di grande impatto trattate con la leggerezza e la naturalezza tipiche della cultura giapponese: la morte, il tradimento, l’accettazione della violenza entrano in scena senza stucchevoli preamboli, ma nel contempo senza appesantire troppo il tono della vicenda, che alterna con maestria momenti di profonda disperazione con sprazzi comici brevi ma riusciti.Il resto lo fanno l’eccellente caratterizzazione dei personaggi, costretti presto a gettare le proprie maschere, e il certosino lavoro di traduzione (in inglese), che dona sfumature interessanti ad ogni linea di dialogo, rendendo meritevoli di lettura anche gli scambi all’apparenza più banali.

Devo proprio giocare?La critica che spesso è stata mossa alle produzioni di questo tipo riguarda l’effettiva presenza e la bontà del gameplay di opere letterarie trasposte nel videoludico: Spike Chunsoft ha lavorato sodo sotto quest’aspetto, dotando Danganronpa di un comparto “giocabile” discreto, che sa offrire varietà al giocatore, prendendo in prestito idee da altri generi videoludici, come le saghe investigative a là Phoenix Wright o i rhythm game.Ad ogni assassinio, il giocatore sarà chiamato a raccogliere indizi sulla scena del crimine nonché in giro per l’enorme edificio, che si aprirà all’esplorazione di pari passo col proseguire dell’avventura: terminata questa fase, si passerà al processo vero e proprio, in cui tutti gli studenti potranno dire la propria, con l’immancabile orso a fare da giudice, giuria e boia.In queste fasi, che sono il nocciolo del gameplay di Danganronpa, il giocatore dovrà districarsi in una serie di minigiochi atti a portare il colpevole allo scoperto, utilizzando le prove raccolte come veri e propri proiettili per smontare le tesi false, ma anche giocando una versione digitale del classico gioco dell’impiccato o dimostrando un invidiabile senso del ritmo nello zittire il presunto colpevole.Stiamo parlando ovviamente di fasi di gioco povere se paragonate a quelle di una normale avventura o di qualsiasi altro genere videoludico, ma la loro incidenza è sufficiente a dare brio all’altrimenti monotono scorrere degli eventi, riuscendo a restituire un senso di appagamento nel giocatore abile a smascherare complotti, doppi giochi e depistaggi.Le finestre temporali per fornire le risposte corrette sono sempre molto generose, e il titolo di certo non brilla per difficoltà: d’altronde, per la fruizione di un romanzo ben scritto non sono richieste particolari capacità, e crediamo che gli sviluppatori abbiano voluto dare priorità alla possibilità di godersi la storia.Nonostante non tutti i minigames proposti si rivelino divertenti (in particolare quello basato sul ritmo si rivela il meno riuscito), le Class Trial riescono a proporsi come il punto focale dell’esperienza di gioco e ad elevarsi al di sopra della media qualitativa delle produzioni affini, in cui il ruolo delle scelte del giocatore è decisamente più marginale.Inutile dire che il punto focale di Danganronpa è da ricercarsi nel plot, nella capacità dei personaggi di rendersi amabili e odiosi al contempo, e nella ricerca di alleati in cui riporre fiducia: nelle fasi di tempo libero, al giocatore è concesso approfondire la propria relazione con uno o più tra altri studenti, ricevendone in cambio skill speciali da equipaggiare e, si spera, un nemico in meno.

Anime e 2DLa valutazione dell’aspetto grafico dell’ultima fatica Spike Chunsoft va nettamente divisa in due tronconi: se dal punto di vista artistico c’è ben poco da eccepire, con talking heads espressive ed animate magnificamente, che si accompagnano ad una cura maniacale per il vestiario e le acconciature dei protagonisti, a livello puramente tecnico le mancanze sono numerose, a partire da una modellazione poligonale degli ambienti degna di un titolo PS2 di prima generazione, finendo con l’oggettiva bruttezza degli sprite 2D (stile cartonato) dei personaggi durante la fasi di libera esplorazione.Come per la saga di Persona, altra fonte cui il titolo è evidentemente debitore, lo stacco tra l’impegno riposto nella realizzazione di alcuni aspetti (su tutti i personaggi) e la trasandatezza di numerosi elementi di contorno fa storcere il naso in più di un’occasione, ma non pregiudica assolutamente né la godibilità del titolo né l’indiscutibile eccentricità del character design.Ottimo senza alcuna riserva il comparto audio, graziato da un doppiaggio di alto livello sia in versione inglese sia nell’originale giapponese, con voci che danno ulteriore umanità all’intero cast e ne rendono bene le contraddizioni e le personalità sfaccettate; le musiche, se comparate al doppiaggio, rimangono un gradino sotto, pescando dal repertorio di un altro prodotto NIS (che qui distribuisce), ovvero Disgaea, ma contribuiscono comunque alla morbosa atmosfera che si respira dentro la Hope Peak Academy.Al termine delle circa trenta ore necessarie a raggiungere i titoli di coda, al giocatore sarà data la possibilità di cimentarsi in una versione “dating sim” del gioco, in cui approfondire liberamente i rapporti con i personaggi senza l’ossessione di vederli assassinati in maniera cruenta.Non che questa modalità rappresenti un contraltare valido quanto quella principale, ma si rivela pur sempre un apprezzabile tentativo di prolungare la vita del prodotto, che in ogni caso, come tutti i libri ben scritti, tornerete a leggere entro qualche anno, magari dopo aver giocato al seguito, recentemente annunciato anche per i territori occidentali per il prossimo autunno.

– Sceneggiatura malata e brillante

– Recitazione virtuale da Oscar

– Fasi giocabili varie…

– Buona longevità

– Character design sopra le righe

– Necessita una buona padronanza dell’inglese

– …ma non esenti da difetti

8.5

Danganronpa: Trigger Happy Havoc è al momento una delle migliori esclusive PSVita, e, come tale, un serio incentivo all’acquisto della console per quanti amano leggere e preferiscono un personaggio a tutto tondo ad una sparatoria adrenalinica.

Scritta benissimo e recitata ancora meglio dai suoi attori virtuali, questa visual novel prende a noleggio meccaniche provenienti da altri generi ludici per ravvivare la parte interattiva, eppure, paradossalmente, i suoi momenti più alti necessiteranno degli occhi dell’utente molto di più che dei suoi polpastrelli: se leggere molto, per giunta in inglese, non vi spaventa, non potete non dare un’occasione a questo titolo.

Vi inviterà per un caffè e vi terrà prigionieri fino alla sua conclusione.

Voto Recensione di Danganronpa: Trigger Happy Havoc - Recensione


8.5