La quarta stagione di The Witcher su Netflix non è riuscita a ribaltare la tendenza. Dopo l’addio di Henry Cavill, lo show ha dovuto affrontare critiche e scetticismo, e nonostante la buona volontà di Liam Hemsworth nel raccogliere il testimone, la sua interpretazione di Geralt non ha potuto compensare del tutto l’assenza carismatica del predecessore. Ma al di là del cambio di volto, il vero tema che continua a dividere il pubblico è uno: la sempre più marcata distanza dai romanzi di Andrzej Sapkowski.
La nuova stagione, infatti, introduce scelte narrative che vanno ben oltre la semplice reinterpretazione, arrivando a stravolgere il destino di alcuni personaggi chiave della saga letteraria e videoludica. Tra questi, quello che ha fatto più discutere è senza dubbio Vesemir, il mentore dei Witcher di Kaer Morhen, che nello show trova la morte in battaglia contro Vilgefortz e le Streghe della Loggia. Un colpo di scena che non esiste nei libri, dove Vesemir è vivo e vegeto fino alla fine, e che ha lasciato spiazzati molti fan.
In un’intervista concessa a GamesRadar+, la showrunner Lauren Schmidt Hissrich ha affrontato direttamente la questione, confermando che l’uccisione di personaggi non destinati a morire nel materiale originale non è mai una scelta casuale o di puro shock value: «Abbiamo già affrontato polemiche simili in passato, come nel caso di Eskel nella seconda stagione. Ma ogni volta lo facciamo con un motivo preciso».
Hissrich spiega che, per quanto controversa, questa libertà creativa nasce da una volontà di esplorare il trauma e le conseguenze della perdita sui protagonisti. «Non è mai un semplice “uccidiamo questo personaggio per stupire il pubblico”. Ogni morte serve a mostrare come la sofferenza e il dolore cambino chi resta, influenzando il loro modo di vedere il mondo».
Il caso di Vesemir, in particolare, si colloca in una sequenza cruciale della stagione: durante l’assedio di Montecalvo, Triss gli chiede di rafforzare le difese del castello. Il vecchio Witcher risponde all’appello portando con sé due compagni, ma il duello con Vilgefortz si conclude tragicamente. Un momento di alto pathos, che se da un lato offre un forte impatto emotivo, dall’altro rompe definitivamente il legame con la linea narrativa dei romanzi, dove Vesemir sopravvive a lungo dopo gli eventi narrati nella serie.
Per chi conosce soltanto i videogiochi, la confusione può essere ancora maggiore: in The Witcher 3: Wild Hunt, infatti, Vesemir muore sì, ma in circostanze completamente diverse, durante l’assalto di Eredin e della Caccia Selvaggia a Kaer Morhen. Nel contesto della serie Netflix, la sua morte anticipata e differente rappresenta una deviazione non solo dalla penna di Sapkowski, ma anche dalla mitologia consolidata dal medium videoludico.
Hissrich, tuttavia, difende la scelta con convinzione. Per lei, The Witcher non deve essere un adattamento “museale” dei libri, ma un’opera viva, in grado di sorprendere e spingere i suoi personaggi oltre i confini del testo originale. «Vogliamo che il pubblico percepisca il peso delle decisioni dei protagonisti, che ogni perdita abbia un impatto reale sulla storia. A volte, per ottenere questo effetto, bisogna osare».
Se questa libertà narrativa riuscirà a pagare sul lungo periodo lo scopriremo solo con la prossima stagione. Per ora, The Witcher sembra muoversi sempre più sul filo sottile che separa l’adattamento dall’invenzione, in un equilibrio fragile che potrebbe determinarne tanto la rinascita quanto la definitiva perdita di identità.