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Dietro le quinte del piano per la riapertura di GameStop Italia - Speciale

Abbiamo contattato GameStop Italia, e una fonte interna ai punti vendita lungo il paese, per scoprirne la reazione ai momenti più critici dell'emergenza COVID-19 e i piani già in atto per uscirne

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a cura di Paolo Sirio

Il 9 marzo è cambiata la vita di milioni di italiani, con la firma apposta sul DPCM “#iorestoacasa” con cui si estendeva la zona rossa, precedentemente limitata soltanto a determinate aree, su tutto il paese.

L’esistenza di milioni è stata toccata da questo provvedimento, che ha mutato rapidamente le abitudini e plasmato le esigenze di quanti risiedono sul suolo nostrano, e ben presto è emersa la dimensione non soltanto collegata alla loro salute ma anche al prosieguo delle proprie attività lavorative.

Mentre in Italia si dibatte di una ripresa graduale e si discute di un’ormai mitologica Fase 2, che nel settore della stampa videoludica è partita già da tempo – e sta iniziando a dare frutti e prospettare conseguenze sul lungo periodo -, le molteplici sfaccettature dell’industria si danno da fare per continuare a fornire servizi e impieghi lungo tutto lo stivale.

La realtà più esposta agli occhi dei gamer in questo senso è quella di GameStop Italia, che abbiamo contattato sia in forma diretta e ufficiale tramite il social media manager Christian Coletta, sia in maniera informale attraverso un esperto impiegato di uno dei negozi risultati, per fatturato nell’ultima stagione natalizia, tra i punti vendita nella top ten nazionale della catena.

Come si è arrivati alla chiusura

GameStop

L’ingresso di un punto vendita GameStop.

Tramite la sua newsletter, GameStop Italia informava il 13 marzo i propri clienti della chiusura dei negozi in Italia, recependo così il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in Gazzetta Ufficiale – e dunque valido ai fini legislativi e legali – tre giorni prima.

«A seguito delle nuove disposizioni messe in atto dal Governo per contenere il Coronavirus, tutti i nostri negozi sono attualmente chiusi», recitava la comunicazione, che precisava come non ci fossero stati casi di contagio segnalati tra il personale e che dunque, perlomeno dal loro punto di vista, i clienti che avevano visitato i negozi di recente non avessero alcunché da temere.

«A tutela della salute pubblica, nonostante non si siano registrati casi di contagio nei nostri store, abbiamo adottato ogni cautela ma abbiamo bisogno anche della tua collaborazione nel rispetto delle regole prescritte dalla Pubblica Autorità all’interno dei nostri locali».

La fonte che abbiamo sentito in forma anonima mi ha confidato che questo provvedimento arrivava, com’è del resto noto, in un momento di particolare flessione della catena su scala globale, e in un paese quale il nostro in cui il digitale ha iniziato a seminare ma non sta ancora raccogliendo numeri tali da permettere di rinunciare alla vendita fisica.

Già alle prime voci di corridoio che iniziavano a serpeggiare, parliamo della fase in cui il virus era ancora (pur brevemente) una questione limitata alla Cina intorno a febbraio, la nostra fonte ha osservato un calo drastico dell’affluenza presso il suo store nell’Italia meridionale. Durante il periodo di Carnevale, il centro commerciale che ospita il punto vendita era praticamente deserto, e questo ha contribuito a giornate in cui venivano emessi 6-7 scontrini contro una media che nei fine settimana raggiungeva i 100 scontrini al giorno.

Questo nonostante fossero state implementate tutte le misure raccomandate a livello governativo: fu ordinata il giorno stesso della loro ricezione ed eseguita quello seguente una sanificazione dell’ambiente con l’intervento di una ditta esterna; fu imposto l’ingresso ad un solo cliente alla volta previa acquisizione di un numero all’ingresso; sempre all’ingresso fu disposta la distribuzione di gel disinfettante per le mani; furono disposti divisori in modo da aiutare a tenere una distanza di un metro, con nastro adesivo incollato a terra per indicare il percorso da seguire. I clienti, nota l’addetto alla vendita, seguirono un po’ per spavento e un po’ per senso civico di buon grado quelle indicazioni.

Tali misure sono state – è ovvio – messe da parte alla chiusura dei negozi ma, come apprendiamo sia dal nostro contatto ufficiale che da quello informale, saranno riprese e rafforzate alla riapertura su scala nazionale avviata gradualmente in questi giorni.

La chiusura ha comportato un problema lavorativo di non poco conto per i dipendenti di GameStop Italia. Mentre negli Stati Uniti ha fatto rumore il taglio degli stipendi e dei giorni lavorativi apportati su tutti i fronti, pur addolcito dalla riduzione dei compensi della dirigenza, in Italia il quadro costituzionale e normativo prevede delle tutele maggiori per i lavoratori, e (pure) per questo non si è arrivati a tanto.

Ciò non vuol dire che la situazione non sia altrettanto complessa, però. L’addetto al negozio che abbiamo sentito ci ha spiegato che in un primo momento non era chiaro se si sarebbe ricorsi alla cassa integrazione ordinaria o quella straordinaria, che al contrario della prima copre il 100% del salario di un dipendente; e una volta chiarito quell’aspetto ne sono emersi altri non meno complicati da sbrogliare.

I dipendenti di GameStop su scala nazionale hanno infatti tre tipi di contratti diversi, mi è stato spiegato dalla fonte privata. I tirocini, che sono pagati dalle regioni: in questa fase sono stati sospesi e verranno ripresi, sia come lavoro che come retribuzione, una volta che sarà completata la riapertura; i contratti tramite agenzia esterna, per i quali si è scatenata una diatriba per chi dovesse pagare nel periodo della chiusura; gli assunti di GameStop, ai quali è stato deciso che la cassa sarebbe stata pagata da GameStop non appena ricevuta la somma dallo Stato – non è stata ancora sbloccata e dunque non si è provveduto per ora all’esecuzione dei pagamenti.

Anche per la complessità di questo quadro – oltre che per la debolezza della vendita online dell’azienda in Italia, su cui non abbiamo suoi numeri ufficiali ma che, dai dati forniti nel marzo 2019 dall’allora AESVI, è cresciuta complessivamente dell’86,6% nel 2018 – si sta spingendo fortemente sulla riapertura, avvenuta a volte attraverso interpretazioni al limite dei vari DPCM.

Il caso della caparra

resident evil 3

Resident Evil 3 (Capcom).

GameStop ha fatto sapere che i clienti avevano versato una caparra per il pre-ordine di un gioco, in uscita durante la chiusura forzata dei punti vendita, avrebbero potuto trasferire questa somma sull’acquisto di una copia tramite il mezzo della gift card presso il suo ecommerce.

La comunicazione di questa mossa è arrivata il 9 aprile, quando uscite come DOOM Eternal e Animal Crossing: New Horizons si erano già celebrate (20 marzo) e ad un giorno dal lancio di Final Fantasy VII Remake, quando, sempre per via del COVID-19, gli acquirenti dei negozi privati avevano già messo le mani da svariati giorni sul loro acquisto fisico.

Questo provvedimento ha permesso di sbloccare una situazione di vuoto “normativo” che aveva lasciati in un limbo tutti coloro che si erano affidati alla catena per un pre-order, pratica molto comune tra i gamer e i consumatori più affezionati. Tuttavia, come evidenziato da alcuni commenti alla nostra notizia sulla pagina Facebook di Spaziogames, le modalità non hanno mancato di suscitare un certo malumore.

Alcuni utenti hanno lamentato che, nonostante la prenotazione fosse registrata sulla card GSZ+, sia stato richiesto lo scontrino, mentre a loro dire taluni commessi spiegano di poterlo anche trascurare visto che c’è appunto la registrazione su questa card; Resident Evil 3 non è stato incluso nella lista e ciò ha lasciato scoperta la condizione di parecchi giocatori, che potranno recuperare la loro copia soltanto a riapertura avvenuta, pressoché stessa situazione dei pre-order effettuati a prezzo scontato presso la Milan Games Week – pena l’acquisto a prezzo pieno del titolo desiderato.

Final Fantasy VII Remake (Square Enix).

«Il feedback da parte degli utenti è stato in gran parte positivo», ci ha spiegato il punto di vista dell’azienda Christian Coletta, social media manager e voce della compagnia in questa particolare fase, in cui i dipendenti inquadrati a livello dirigenziale stanno ancora operando in modalità di smart working.

«Permettere di ricevere le copie senza attendere l’apertura è stato gradito da parte della nostra utenza, seppur purtroppo l’emergenza ci abbia colto tutti di sorpresa e non sia stato possibile farlo fin dall’inizio dell’emergenza», ha aggiunto a proposito delle tempistiche non ideali che abbiamo sottolineato. «Stiamo continuando ad agire e fornire assistenza per questo tipo di conversione, stiamo ricevendo tantissime richieste ma stiamo puntando ad aiutare tutti a riguardo».

L’addetto al negozio con cui ho potuto parlare mi ha spiegato che a suo dire questo tipo d’iniziativa ha remato nella direzione giusta, ma che ciononostante – visto il tipo di pubblico cui si rivolge uno store videoludico in Italia e in particolare nella realtà del Sud Italia – inevitabilmente non si è rivelata sufficiente a reggere la domanda.

L’esperienza di questo addetto lo ha portato ad inquadrare il target del suo specifico negozio in genitori e nonni 50/60enni che accompagnano ragazzi di giovane età per “accontentarli” nei loro desideri immediati o di lunga data che siano; chiedere a questo target di rivolgersi ad una non immediatissima procedura di switch tra fisico e online è forse un po’ troppo, per quanto evidentemente non ci fossero soluzioni alternative fino alla riapertura – un’altra ragione per la quale si sta spingendo per un’accelerata in tal senso.

La riapertura

Copie sugli scaffali in un negozio americano.

Il processo per la riapertura di GameStop Italia è partito ed è avvenuto a scaglioni; alcuni negozi, mi ha spiegato la nostra fonte, sono stati aperti a Milano come test iniziale già all’emissione del primo decreto, sfruttando condizioni favorevoli per l’appartenenza ad una certa categoria produttiva e/o l’innesto in centri commerciali, mentre mercoledì 22 aprile è stato dato mandato per la riapertura di altri quaranta negozi “di prova”.

«Non vogliamo essere frettolosi e aprire i nostri negozi senza le dovute precauzioni e la sicurezza dei nostri clienti e staff», ci ha illustrato Coletta. «Stiamo riaprendo alcuni dei nostri negozi e ci stiamo adeguando secondo le normative vigenti. Chiunque può restare aggiornato sulle riaperture dei nostri negozi direttamente sul nostro sito».

Stamattina (24 aprile) risultavano aperti soltanto sei punti vendita in Lombardia, mentre intorno alle ore 14:00 lo store locator disponibile sull’ecommerce – che vedete nelle immagini in basso – ha dato ragione all’addetto cui ci siamo rivolti in via informale ed esteso notevolmente la platea di punti vendita aperti, ora in molteplici regioni come nel Lazio e nella Campania – che pure hanno adottato un approccio prudente alla questione del coronavirus.

Altri test saranno condotti da qui al 4 maggio, quando – salvo cambi di rotta inattesi – dovrebbe esserci la riapertura su scala nazionale come previsto dall’ultimo DPCM e dovrebbe cominciare la tanto attesa Fase 2. Il dipendente di GS cui mi sono rivolto mi ha rivelato che al tempo fu informato con un messaggio in cui gli si diceva che «faremo una prova in Lombardia, tenetevi pronti perché ne faremo altre».

La nostra fonte ammette che non sarà facile quanto all’inizio dell’epidemia far rispettare certe norme, vuoi perché nel Sud, per fortuna, non ha attecchito come ci si aspettava, vuoi perché la paura sta – abbastanza ingiustificatamente – passata e alla riapertura si prevede un ritorno di massa nelle strade di persone che sono state comprensibilmente chiuse in casa oltre ogni ragionevole sopportazione.

Ritiene un «obbligo» da parte loro far rispettare le norme di sicurezza, ma sa già che «troveremo lo scostumato di turno che avrà da ridire»; in quelle situazioni limite, che si spera ovviamente non si verifichino, lo staff è pronto a «dare battaglia» per far sì che un comportamento non consono metta a rischio la salute dei dipendenti e dei clienti.

Queste misure, ci spiega Coletta, prevedono che «nei nostri negozi abbiamo potenziato ed intensificato la sanificazione, oltre che munito di guanti monouso, mascherine e gel disinfettante tutto il nostro personale».

Ciò, aggiunge l’addetto che abbiamo sentito in anonimo, è «sufficiente per la riapertura», affinché avvenga nella massima sicurezza. Una situazione, secondo lui, relativa per due ragioni: su un piano personale, e sconnesso dall’azienda per cui lavora, avrebbe aspettato altre 2-3 settimane prima di dare il via libera come governo, e trova assurdo che i test siano stati condotti prima in Lombardia dove la crisi sanitaria non si può dire di certo alle spalle.

Nonostante tutto, ci sarà un ritorno alla normalità, e sarà in grande stile.

Da GameStop ci informano che, specialmente in seguito ad un periodo molto probante per i giocatori (con, oltre la quarantena, notizie continue di rinvii come quello di The Last of Us Part II), «senza nessun dubbio vogliamo creare ancora degli eventi come accaduto in passato (un esempio, l’evento di Pokémon al CityLife dell’anno scorso) e al momento abbiamo tanti progetti in ballo nei nostri negozi e online. Molto presto avremo maggiori notizie, una volta che l’emergenza sarà rientrata non vediamo l’ora di divertirci insieme a voi».

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Nonostante tutto, ci sarà un ritorno alla normalità, e sarà in grande stile. Da GameStop ci informano che, specialmente in seguito ad un periodo molto probante per i giocatori (con, oltre la quarantena, notizie continue di rinvii come quello di The Last of Us Part II), «senza nessun dubbio vogliamo creare ancora degli eventi come accaduto in passato (un esempio, l’evento di Pokémon al CityLife dell’anno scorso) e al momento abbiamo tanti progetti in ballo nei nostri negozi e online. Molto presto avremo maggiori notizie, una volta che l’emergenza sarà rientrata non vediamo l’ora di divertirci insieme a voi».