Anteprima

The Tomorrow Children

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a cura di JinChamp

Videogioco: una parola composta che molto spesso viene interpretata solo con la seconda parte di essa, quasi a compararla a giocattolo. Chi è cresciuto, però, a pane e videogiochi sa bene che la parte interattiva non è tutto ciò che l’industria ha da offrire e, talvolta, capita di trovarsi davanti a qualcosa di veramente peculiare. Q-Games, sotto la bandiera Sony di Japan Studio, probabilmente deve essersi prefissata proprio l’obiettivo di fare qualcosa di unico, di originale, di mai visto prima, da cui ne è conseguito The Tomorrow Children. Un titolo in sviluppo già ormai da qualche anno e che abbiamo potuto provare durante questo fine settimana di open beta accessibile a tutti dal PlayStation Store.
Matrioska, vodka, da!
Il nostro approccio a The Tomorrow Children si potrebbe definire “vergine”, avendone visto solo un paio di screenshot e null’altro. Si è rivelata essere un’esperienza, inaspettata quanto particolare, che ci ha indubbiamente colpiti. Ci troviamo in un mondo che ha sfiorato la sua fine a causa di un esperimento mal riuscito, impersonando i panni di una ragazzina anonima, uguale a tante altre, in un contesto così artificioso da ricordare i teatri dei burattini. Facciamo subito la conoscenza del nostro leader politico, il quale ci spiega come noi siamo un importante ingranaggio di questa società che cerca di rinascere grazie al lavoro e allo spirito di sacrificio, sotto un regime totalitario di chiaro stampo sovietico, oltretutto accentuato proprio dalla lingua parlata fortemente assonante con quella slava.
Sono rimaste piccole comunità che abitano scarni villaggi, che sarà proprio nostra premura guidare nello sviluppo affinché possano ospitare ancora più residenti e diventare, grazie al lavoro costante di tutta la comunità, dei veri centri abitati. 
Basta dare un rapido sguardo verso l’orizzonte per avere la prima, e probabilmente brutta, grossa sorpresa. Siamo immersi letteralmente nel nulla, come se fossimo sospesi in una realtà ancora più surreale di quella percepita in un primo momento. Un bianco lattiginoso a perdita d’occhio, intervallato in certi casi dall’oscurità della notte e delle tenebre. Entrambi fatali per noi, oltretutto. Addentrarsi troppo nel Void, o restare troppo tempo in una zona oscura, porterà la nostra minuta ragazzina a collassare, per poi essere rianimata all’interno della città più vicina.
Tutti gli elementi risultano curiosi, a volte inquietanti eppure sempre così coerenti nel proprio contesto e sta proprio lì la chiave di lettura dell’ambientazione. Bisogna vivere questo mondo, respirarne l’aria rarefatta ed immedesimarsi in un contesto totalitario in cui non dev’essere affatto semplice vivere: la vita si svolge come una catena di montaggio. Ognuno è un pezzo tanto importante quanto rimpiazzabile nella macchina imponente e perfetta della società che ci protegge, ci culla e ci opprime. L’oppressione è infatti una delle emozioni che potrebbe probabilmente suscitare in voi quest’opera, così come l’angoscia, rappresentando un’esperienza abbastanza insolita per un videogioco. Troverete soldati dai lineamenti poco rassicuranti pattugliare le città per “vegliare” su di voi, e sparsi per la mappa piccoli negozietti dove trovare equipaggiamenti e laboratori dove rendersi utili per la comunità, attraverso mini giochi non troppo complessi. 
Di tanto in tanto passerà anche una sorta di locomotiva, su cui potete salire per farvi trasportare in una delle fantasiose isolotte temporaneamente formatesi nelle vicinanze, altrimenti impossibili da raggiungere a piedi. Qui bisognerà scavare a colpi di piccone, tagliare alberi con le motoseghe e creare scalinate con delle pale. Tutti oggetti che si deteriorano facilmente, senza i quali sarebbe impossibile ottenere risorse vitali per lo sviluppo cittadino, quali legna e metalli vari, che andranno poi trasportati nelle apposite zone di raccolta. Vi potrebbe capitare anche di trovare, scavando nelle fantasiose strutture, delle matrioske simili ad urne, molto fragili e che pare contengano l’essenza vitale di nostri simili ancor più sfortunati. Le potrete trasportare fino alla città e ridonargli le sembianze umanoidi attraverso un macchinario, che potrete creare se non ve ne sia stato ancora costruito uno.
Se l’atmosfera non vi sembrasse ancora abbastanza pesante, queste particolari isole di scavi potrebbero in qualsiasi momento essere colpite da un terremoto, che ne preannuncia la dissoluzione da un momento all’altro, o addirittura da un Izverg, bestioni ostili che ricordano Godzilla, tanto per rendere le cose ancor più pericolose.
Falce e martello? Motosega e piccone!
Dietro tutte le meccaniche da simil-gestionale miste a gioco di ruolo, è la direzione artistica che la fa senz’altro da padrone. Ci troviamo davanti ad uno dei pochi casi dove addirittura il comparto tecnico è direttamente responsabile di ciò che il prodotto vuole trasmettere: basti pensare al field of view. Il campo visivo è forzatamente limitato da non riuscire a vedere nitidamente a pochi passi dal vostro naso. Gli angoli dello schermo sono oscurati e si fa fatica a mettere a fuoco i vari elementi, che sin troppo bene si lasciano inghiottire all’occorrenza dal bianco del Void o dal nero delle tenebre. Si potrebbero considerare come dei veri e propri limiti in qualsiasi altra produzione, ma non qui. È tutto studiato per lasciare al giocatore una sensazione di oppressione, rendendolo vittima impotente tanto quanto le cosiddette persone-matrioske che sgobbano notte e giorno per un fantomatico bene superiore.
Questa stessa voglia di spingere i temi sulla politica, e nella fattispecie verso una sinistra fin troppo idealizzata ed estremizzata, è una scelta chiara degli sviluppatori per mandare un messaggio ai propri utenti, anche a scapito del puro divertimento ludico. Tutto viene gestito da una burocrazia rigida all’apparenza, ipotizzando ci vogliano addirittura anni anche solo per ottenere alcune licenze per aver accesso a strumenti migliori, almeno finché non riuscirete a trovare un funzionario corrotto, pronto a vendervi privatamente ogni tipo di licenza in cambio di un pagamento sull’unghia im una valuta diversa, detta dollaro libero. Un nome che è già tutto un programma.
Da una parte sarebbe anche logico chiedersi quanto sia giusto sacrificare la componente prettamente ludica verso un mero scopo sociopolitico, a cui sembra ambire Q-Games. Tante e tante volte ci siamo sempre espressi sul nobilitare il medium videoludico, accogliendo più che positivamente quegli esperimenti che hanno voluto elevarsi come concetto, come trama e come mezzo per far riflettere. Tuttavia molti di essi riuscivano ad offrire un retrogusto di semplice divertimento, o quantomeno potevano contare su delle meccaniche talmente semplici che si nascondessero, anche fino a sparire, dietro il vero focus. Qui invece un gameplay lo troviamo, semplice ma non intuitivo, leggermente stratificato ma che va esplorato pezzo per pezzo. La componente ruolistica è legata a doppio filo alla gestione delle città, all’esplorazione per la raccolta di materiali per il crafting e, non meno importante, a tutto il contesto narrativo che ha qui un’importanza centrale. Tutti questi sono elementi che, per volere degli sviluppatori, possono risultare per il giocatore un po’ pesanti se gestiti tutti insieme e con tali modalità. Non vogliamo riproporre i soliti termini come “macchinoso”, “legnoso”, eccetera, poiché sminuirebbe il lavoro di game design fin qui svolto, a suo modo, in modo comunque coerente. Q-Games pare sia riuscita trovare una ricetta che potremmo definire strana, che vuole puntare dritto al cervello del giocatore, farlo emozionare ma non per forza in positivo. Non sappiamo se, nella versione finale, ci possano essere ulteriori sviluppi della trama, che vadano oltre l’amministrazione cittadina, e la sola variante delle elezioni del sindaco per avere un bonus piuttosto che un altro. Magari qualcosa che vada a scavare idealmente laddove noi abbiamo scavato con le nostre piccozze, che sveli i retroscena di questo regime comunista, del suo leader, del Void e delle creature che lo abitano. Questi sono elementi che sicuramente auspichiamo, sia perché potrebbero essere interessanti con cui confrontarsi, sia perché al momento la situazione è piuttosto difficile. È difficile riuscire a giocare una sessione che superi a volte anche soltanto l’ora, è difficile immergersi in questo mondo senza sentirne la pressione. A meno che non riusciate a crearvi un muro emozionale e da lì concentrarvi essenzialmente sulle infinite, ma ripetitive, cose che ci sono da fare, il che però andrebbe a svuotare completamente di ogni significato ciò che state facendo, automatizzando il vostro lavoro virtuale, forse proprio come il vostro leader si aspetterebbe da voi: marionette operose senza un’anima.

– Molto particolare, se non unico nel suo genere

– Il tema politico potrebbe tirar fuori grosse sorprese

The Tomorrow Children ci ha portati in un fantasioso mondo, sotto l’egida di un regime dittatoriale dai tratti sovietici, davvero molto cupo. La città ha bisogno dei suoi cittadini, i cittadini hanno bisogno di voi, voi avete bisogno della città per sopravvivere in un contesto duro, fatto di sacrificio e lavoro, in un mondo desolato e pericoloso nel quale, da soli, non è possibile sopravvivere. Questa beta ha risposto forse a qualche domanda, ma ne ha certamente sollevate molte altre. Ci risulta difficile ipotizzare cosa potrà succedere alla release ufficiale, la cui data non è ancora stata annunciata, come potrà essere accolto dai giocatori e come riuscirà a definire sé stesso. Ad oggi abbiamo solo un grosso punto interrogativo, ma se tutto questo vi ha intrigati, o almeno incuriositi, potrebbe valere la pena restare alla finestra per ulteriori dettagli.