Occhio Critico - Il falso problema

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Nonostante The Order 1886 non abbia raggiunto gli standard qualitativi che molti si aspettavano, rivelandosi un gioco perfettibile sotto molti punti di vista, come evidenziato dal buon Pregianza in sede di recensione, ha avuto un merito innegabile, ovvero quello di aver riportato in auge (peraltro in maniera del tutto involontaria) il dibattito sulla durata dei videogiochi moderni e sul rapporto tra l’offerta ludica proposta e il prezzo richiesto.Oggi proverò a spiegarvi perché, dal mio punto di vista, questo non è che un falso problema, sul quale si è speso fin troppo inchiostro, soprattutto negli ultimi dieci anni, grossomodo in concomitanza con l’avvento della settima generazione di console.

Fumo negli occhiAvete mai fatto caso alla durata di una canzone prima di emettere un giudizio su di essa, o pagato malvolentieri il biglietto al cinema perché vi apprestavate ad assistere alla proiezione di un film da appena novanta minuti?Avete mai misurato le emozioni che un libro ha saputo trasmettervi tramite il numero delle pagine?Diamine, se misurassimo tutto in “quantità”, non avremmo comprato tutti uno smartphone, perché la loro batteria dura meno dell’intera trilogia del Signore degli Anelli di Peter Jackson (versioni originali, please, niente director’s cut): eppure, periodicamente, i forum della rete si accendono come cerini, spesso senza nemmeno delle prove concrete (come nel caso dell’ultima fatica di Ready at Dawn) per la presunta mancanza di contenuti e per lo sbilanciamento scandaloso (cit.) tra il prezzo che paghiamo oggigiorno per i videogiochi e la durata di questi ultimi.Innanzitutto, partendo dal presupposto che il videogioco sia una forma d’arte (concetto sul quale non mi stancherò mai di insistere), al team di sviluppo si dovrebbe concedere la stessa libertà di espressione degli artisti veri e propri, che siano scrittori, registi, o anche, forzando un po’ il paragone, scultori e pittori.Ve lo immaginate un lettore qualsiasi che contesta a Stephen King il numero di pagine dell’ultimo romanzo? E un appassionato d’arte che riesuma Andy Warhol e lo accusa di aver insistito sulla ripetizione per risparmiare fatica?Da videogiocatore, mi rendo conto che, dopo aver sborsato dai sessanta ai settanta euro per un gioco lungamente bramato, vederne i titoli di coda dopo 6-8 ore può rivelarsi una brutta sorpresa, ma, se ci pensate bene, una durata inadeguata non è che un sintomo di un malessere più ampio del “paziente”: probabilmente non ci avete fato caso, ma se in quelle 6-8 ore il gioco ha saputo divertirvi, emozionarvi o anche solo farvi sorridere, la durata, magicamente, passa in secondo (se non terzo) piano.

EmozioniProviamo a fermarci un attimo e a fare mente locale sulla questione: come si evince anche dalla già citata recensione del buon Aligi su The Order 1886, i problemi del gioco sono di ben altra natura, ed è allora, e solo allora, che il fatto che il gioco sia completabile in meno di dieci ore va ad aggiungersi alla lista dei difetti, come se, dinanzi ad un’esperienza di gioco deludente o quantomeno imperfetta, nella testa del giocatore pagante scatti la molla del “se almeno fosse durato di più, avrebbe dato più valore ai soldi”.Decine, se non centinaia di giochi su cui ho (abbiamo) messo le mani durante le nostre carriere di videogiocatori avevano una durata che, giudicando solamente in termini quantitativi, poteva definirsi insoddisfacente: nessuno dei tre giochi della (giustamente) osannata trilogia di Gears of War dura più di 9 ore, tanto quanto Bayonetta 2, uno dei migliori titoli in assoluto del 2014, e molto più di Vanquish, altro action game che raggiungeva, a stento, le 6 ore di durata totale.Ma non ci sono limiti di genere o di piattaforma: New Super Mario Bros. in ogni sua declinazione, God of War, Uncharted, Portal, Star Fox (sia l’originale, sia il remake), e la stragrande maggioranza dei titoli usciti durante le ultime due generazioni di console hanno faticato a superare la soglia fisiologica delle 10 ore, attestandosi sempre in una forbice compresa tra le sei-sette e le nove-dieci, rpg esclusi.Per non parlare del fenomeno indie.Però, mentre i forum sono stracolmi di gente che si lamenta della durata delle campagne single player di un Call of Duty qualsiasi e di altri che, prima di chiedere se un gioco vale o meno, ne chiedono la durata complessiva, nessuno si è sognato di alzare la mano e criticare uno qualsiasi dei titoli sopra citati, come testimoniato anche dai dati di vendita delle trilogie dedicate a Kratos, Nathan Drake e Marcus Fenix, e questo perché, semplicemente, questi giochi riuscivano a suscitare sufficienti emozioni e a divertire nelle ore a loro disposizione.Ecco quindi che la tesi precedentemente esposta acquista valore: se durante le ore necessarie a portare a termine The Order 1886 il giocatore non avesse riscontrato i problemi elencati nella recensione, nessuno si sarebbe lamentato della durata complessiva e del valore dato da Ready at Dawn ai nostri, sudati risparmi.I gusti personali, poi, sono un altro discorso: le mie ultime esperienze di gioco in ordine di tempo sono relative a Dying Light (una sessantina di ore abbondanti), una seconda run alla Ultimate Edition di Fallout New Vegas (ottantasei ore, dlc compresi) e una “partitina” lunga quasi settanta ore a Monster Hunter 4 Ultimate, quindi è evidente che, come videogiocatore, preferisco esperienze corpose, che mi immergano completamente in un mondo fittizio.Cionondimeno, lungi da me lamentarmi per aver speso i miei soldi per South Park Il bastone della verità, uno dei giochi di ruolo più inopinatamente brevi ma scandalosamente divertenti che abbia mai giocato.Come per tutte le opere d’ingegno, la qualità di un prodotto videoludico dovrebbe essere il primo (se non unico) parametro di giudizio, indipendentemente dal numero di ore necessarie a portarlo a termine: i videogiochi sono prodotti complessi, non quarti di bue in vendita al mercato, e, a differenza di questi ultimi, non dimentichiamolo, non sono un bene primario.

Il potere della reteNonostante mi piacerebbe sottolineare tre volte in blu l’ultima affermazione del paragrafo precedente, sappiamo che la rete è potente, e spesso una tastiera può uccidere più di una spada: il risultato è che molti sviluppatori (checché se ne dica, i forum li leggono anche loro) infarciscono i loro titoli di missioni secondarie spesso tutte uguali, di collezionabili situati negli angoli più reconditi, per non parlare di obiettivi e trofei spesso quasi impossibili da ottenere, quasi avessero paura della scure che potrebbe abbattersi su di loro.Credo, volendo fare un esempio, che i ragazzi di Creative Assembly abbiano fatto caso a quest’aspetto, finendo per far durare il loro pur ottimo Alien Isolation cinque o sei ore di più di quanto avrebbe dovuto. Ma, come sempre da quando Occhio Critico esiste, questo è un umile parere personale.Il succo del discorso, quindi, è che l’insufficiente durata complessiva di un gioco emerge come un difetto preponderante solamente quando accoppiata ad altri, come quando il tipo seduto vicino a noi in metropolitana ha i denti gialli: se è cortese e vi allieta il viaggio, probabilmente non ve ne accorgerete nemmeno, mentre se ai denti gialli accoppia alitosi ed antipatia congenita, probabilmente, arrivati a casa, accenderete i PC e ve ne lamenterete in un forum apposito.Se non esistesse tale forum, finiremmo con il fondarlo.

Se ci battiamo per elevare il videogioco a forma d’arte, quale ritengo che sia, dobbiamo accettare anche che la figura degli sviluppatori sia accostata a quella di artisti 3.0, e, come tali, dobbiamo rispettarne le libertà creative.

Se un gioco per il quale abbiamo speso settanta cocuzze ci delude e dura anche poco, è nostro sacrosanto diritto lamentarci:ma se sussistesse solamente il secondo caso, ovvero una durata inferiore a quella che noi riteniamo opportuna ma a fronte di una manciata di ore di grande intrattenimento, a quel titolo varrebbe comunque la pena giocare.

E, alla fine di quelle splendide sette ore, riporlo sulla mensola per poi riassaporarlo mesi dopo, proprio come facciamo con il nostro film preferito o con un libro che ci tocca l’anima.