Recensione

Final Fantasy XIII: Lightning Returns

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a cura di Pregianza

Ci scusiamo per l’assenza di cutscene durante la video recensione, ma a causa di un NDA molto restrittivo imposto da Square Enix abbiamo potuto usare solo filmati di gameplay base. Per quanto la cosa sia poco sensata (ci sono dopotutto dei walkthrough già quasi completi su youtube prima ancora dell’uscita), siamo costretti ad attenerci ai documenti firmati. 
I Final Fantasy sono morti, Square Enix non è più quella di una volta, si stava meglio quando il cattivo era un tizio con una katana enorme e i capelli argento, e senza Sakaguchi niente ha più senso di esistere. Quante volte avete sentito queste frasi in una discussione sulla leggendaria serie di Square negli ultimi anni? Innumerevoli, nevvero? Il perché è presto detto: dopo il decimo capitolo la saga di jrpg più famosa dell’universo è sprofondata in una voragine, presentando storie sempre meno memorabili, seguiti diretti dimenticabili, e in generale non riuscendo a regalare alla maggior parte dei fan le sensazioni magiche dei capitoli più riusciti. 
Il punto dove il decadimento si è fatto palpabile è considerato quasi all’unanimità l’inizio della Fabula Nova Crystallis. Inizialmente progettato come un background incredibilmente elaborato e capace di rappresentare una solida base per vari titoli, la fabula dei cristalli si è rivelata in realtà tanto fragile quanto complessa, e Final Fantasy XIII, che doveva essere il brillante inizio di quest’epica, ha scontentato pressoché chiunque per la sua linearità e i tanti difetti. Ora, parliamoci chiaro, il problema sta principalmente nel nome. Se non si fossero chiamati Final Fantasy, probabilmente i videogame con Lightning e sua sorella Serah protagoniste si sarebbero attirati addosso molto meno odio, e forse avrebbero ottenuto anche parecchie parole di apprezzamento dagli amanti del genere. Ma se ti porti davanti quel nome non hai scampo, le aspettative si fanno immediatamente folli, e un gioco solo “buono” o “passabile” non basta più, diventa un paria, viene percepito come una mostruosità. Da queste parti lo riteniamo un comportamento un po’ eccessivo, eppure siamo rimasti anche noi delusi dagli episodi recenti, dunque abbiamo guardato con speranza all’ultimo seguito diretto della miniserie della Fabula Nova, Lightning Returns, per via di alcuni stravolgimenti alla formula alquanto promettenti osservati in sede di preview. 
Sarà una conclusione in grado di far rivalutare a tutti l’universo di Nojima e Nomura? Ve lo diciamo subito, no. Ma le cose potevano finire anche peggio, in fondo.
La morte dei cristalli
Togliamoci subito il dente più dolorante, e iniziamo dalla narrativa. In Lightning Returns, purtroppo, la situazione è disastrosa. Mentre nel primo capitolo le trame legate ai personaggi erano comunque appassionanti (e a tratti toccanti), e il secondo si salvava grazie a un antagonista eccezionale e ad alcuni colpi di scena inaspettati, qui siamo davanti a un esempio di piattezza e dialoghi pessimi d’altri tempi. 
Non è stato utilizzato l’espediente visto nel XIII-2, ove la trama era godibile anche senza aver giocato al XIII e i collegamenti spesso indiretti. Giocare a Lightning Returns senza aver apprezzato i suoi predecessori porta al nulla più totale. Tutti gli avvenimenti del gioco sono direttamente collegati a qualcuno dei vecchi protagonisti o a qualche evento importante già visto in passato, dunque l’evolversi delle vicende risulta significativo solo se si ricordano le informazioni necessarie e non ha alcun impatto su chiunque altro. Gli sceneggiatori hanno tentato di arginare parzialmente la cosa con dialoghi gonfiati in modo innaturale, che cercano di tratteggiare a grandi linee i background degli eroi incontrati, peccato che la cosa non solo stona parecchio, ma arriva a creare delle scene il cui livello narrativo è paragonabile a robaccia come Enchanted Arms. 
Le cose, grazie al cielo, si riprendono leggermente sul finale, che seppur pieno zeppo di cliché conclude in modo netto e accettabile la saga. Però non basta, e se questa era l’idea di Square di una chiusura capace di zittire le malelingue… siamo sulla cattiva strada.
Parte del problema è da imputare anche alla protagonista, Lightning. Già di suo, la guerriera dai capelli rosa non era il massimo del carisma, ma qui la si controlla nei panni della Salvatrice, serva del dio Bhunivelze, mentre è costretta a raccogliere quante più anime possibili in un pianeta prossimo alla distruzione, allo scopo di dare il via alla nascita di un nuovo mondo. Un alter ego inadatto a reagire alla funesta situazione in cui ci si trova: dovremmo essere su di un pianeta allo stremo, condannato a perire dopo una settimana, ove gli uomini non invecchiano più, ma possono comunque morire e perdere il senno. E invece tali premesse capaci di dar vita a situazioni drammatiche vengono sfruttate in pochissimi momenti. Cotanto spreco di potenziale, ad ogni modo, non si limita a questo campo.
Il tempo scorre (quasi) per tutti
Anche la struttura della campagna risente di alcune scelte non furbissime di game design. Lightning ha inizialmente a disposizione sette giorni per salvare il mondo, dove un giorno equivale a circa due ore in game. Queste ore, tuttavia, sono relative. Il tempo si ferma durante i dialoghi e nelle battaglie, può venir bloccato per qualche minuto con un comodo potere della protagonista, e smette di scorrere quando ci si trova sull’arca, il quartier generale dove si viene automaticamente richiamati alle 6 del mattino di ogni giornata senza scampo. Inoltre, i sette giorni possono aumentare sensibilmente, a patto di completare tutte le quest principali presenti nelle quattro macrozone visitabili e un gran numero di missioni secondarie. 
Esatto, abbiamo scritto proprio macrozone. Square a quanto pare ha voluto ascoltare le critiche dei fan che ritenevano il primo capitolo troppo limitato e lineare, e l’ha fatto trasformando Lightning Returns in una sorta di jrpg open world, nel quale le mappe sono molto estese e liberamente esplorabili, o quasi. La natura stessa del titolo va però a cozzare con questa soluzione, poiché si gioca con un timer che ticchetta senza sosta, e si è spinti a completare i compiti il più rapidamente possibile, senza perder tempo a girovagare o scoprire segreti. 
In verità, paradossalmente, oggi vi diciamo che è tutto un inganno e potete prendervela molto comoda: il team di sviluppo ha difatti calcolato male i contenuti in base alle tempistiche, e ora del settimo, massimo ottavo giorno, la maggior parte di voi avranno completato ogni singola quest primaria e un bel po’ delle alternative. Vi ritroverete quindi a correre durante le prime dodici/quindici ore, finché non finirete quasi tutto e dovrete cercare le ultime risicate quest rimaste per non annoiarvi fino alla fatidica ora X. Tale svista lascia intuire come persino a Square non avessero ben chiaro come gestire la situazione.
La libertà data al giocatore è a sua volta una parziale illusione. I nemici non scalano con il livello e, anche se gran parte delle locazioni sono affrontabili senza problemi eccessivi quasi da subito, ci sono luoghi da lasciare obbligatoriamente per le fasi più avanzate, che brutalizzeranno la povera Light nel caso decidesse di dirigersi lì senza i mezzi adeguati.
Perlomeno il gioco si difende degnamente in tutto il resto. Il gameplay, ad esempio, è una stramba mutazione dell’ATB Battle System, solo che privo dei menù con le abilità, sostituiti ora dai pulsanti del pad che vanno a legarsi direttamente alle azioni disponibili. In pratica, Lightning può equipaggiare fino a tre diversi costumi, intercambiabili in qualunque momento durante la battaglia. Ogni costume ha una barra ATB dedicata che si svuota quando si usano le varie azioni, tutte e tre le barre sono sempre visibili, e la loro energia si ricarica più rapidamente quando viene utilizzato un altro costume. Questo porta a uno switch continuo di vestiti, e a un calcolo attento delle abilità equipaggiate sugli stessi. 
Non ci sono sistemi di sviluppo particolarmente complessi in Lightning Returns, la guerriera si potenzia con bonus alle statistiche ottenibili solo completando quest, e la sua forza dipende tutta dalle statistiche dei costumi e delle armi utilizzate. Da una parte ciò facilita l’approccio al gioco, e porta il sistema ad essere concentrato sull’attenta gestione degli abiti e delle skill, ma dall’altra gli amanti della crescita precisa e personalizzata potrebbero restare delusi.
L’abito non sempre fa il jrpg
In generale, comunque, noi il sistema di combattimento lo abbiamo apprezzato. La possibilità di parare, utilizzare numerosi attacchi e anche schivare rende tutto molto più ricco di azione, ma la strategia non è minimamente scomparsa. I nemici sono tutti dotati di nette resistenze fisiche o elementali, dunque è obbligatorio avere a disposizione numerose opzioni tra le proprie vesti, o uno scontro contro un mostriciattolo random potrebbe facilmente diventare frustrante. Certo, il bilanciamento è quello che è, e una volta scoperto che certe combinazioni di oggetti donano ad alcuni vestiti la totale immunità dal danno fisico o magico, qualunque battaglia si trasforma in una passeggiata. L’idea di fondo, ad ogni modo, è ottima, l’assenza di una rigenerazione a tempo dei punti vita alza la tensione, e le boss fight specialmente risultano esaltanti, con il giocatore che deve tenere costantemente d’occhio le barre per sfruttare serie di attacchi utili a mandare l’avversario in crisi e guadagnare di conseguenza enormi bonus ai danni.
Vi sono persino un sistema di tecniche basate su un contatore di energia separato, che Lightning può riempire a forza di nemici uccisi ed è utilissimo sia in battaglia che fuori, e la possibilità di potenziare ogni singola abilità da commercianti specifici, a riprova che la profondità non manca. 
Gli elementi criticabili del gameplay sono le missioni, che nella stragrande maggioranza dei casi sono fetch quest ripetitive che rappresentano l’unico motivo per cui si è spinti ad eliminare i mostri del gioco (in mancanza di un sistema di livellaggio classico), e le fasi platform. Queste ultime sono carenti per via dei controlli non proprio impeccabili della protagonista nelle varie mappe: il motore è chiaramente stato modificato in modo sensibile per rendere la mobilità di Lightning nettamente maggiore rispetto al passato e favorire l’esplorazione, ma resta abbastanza inadatto a missioni ricche di salti. Per fortuna si parla giusto di un paio di zone, con balzi tutt’altro che impossibili. 
Parlando di modifiche al motore, quelle fatte all’engine dei Final Fantasy non sono tutte positive. Anzi.
Per trasformare il terzo Final Fantasy XIII in una specie di open world, gli sviluppatori hanno scalato il livello di dettaglio dell’engine verso il basso senza farselo chiedere due volte. Se è vero che le mappe sono piuttosto estese (specialmente quelle non cittadine), non si può ignorare la massiccia presenza di texture di qualità infima, modelli tridimensionali composti da una manciata di poligoni, e del pop up. Il frame rate è a sua volta incredibilmente ballerino, con cali netti quando gli effetti speciali si fanno eccessivi, ma almeno questo si risolve quasi del tutto con una comoda installazione, mentre il resto rimane.
Impeccabile invece il sonoro, pur tenendo conto del riutilizzo di alcune delle melodie già sentite in precedenza, e notevole la longevità, che, nonostante i problemi contenutistici citati sopra, si attesta facilmente attorno alle 30 ore di gioco, a cui si aggiungono alcune sorprese che non possiamo svelarvi al momento.

– Ricco di potenziale e di ottime idee…

– Struttura open world particolare e interessante

– Ottimo combat system, che non manca di tattica

– Longevità elevata

– …sfruttati per lo più male

– Sviste di game design e contenuti mal calcolati

– Narrativa terribile

– Tecnicamente mediocre

7.0

Final Fantasy XIII-3 Lightning Returns è uno spreco di potenziale apocalittico. L’ottimo combat system viene sminuito da un bilanciamento non impeccabile e si perde tra i contenuti mal calcolati all’interno della peculiare formula di gioco, l’interessante sistema di sviluppo risulta ora della fine troppo limitato per soddisfare i veterani e gli amanti della personalizzazione dettagliata, e la narrativa butta via un’infinita serie di premesse brillanti per trasformarsi in un’accozzaglia di dialoghi pessimi, momenti dimenticabili e scene abbastanza imbarazzanti, salvata solo alla fine da una conclusione appena accettabile.

Se questo era il piano di Square per risollevare la Fabula Nova Crystallis, è miseramente fallito. Attenzione però, le nostre dure critiche non vogliono dire che Lightning Returns sia un gioco pessimo. Nonostante i suoi difetti si tratta di un jrpg piuttosto unico e ricco di ottime idee, a volte utilizzate pure in modo sensato. Il problema è, come sempre, il nome. Quel “Final Fantasy” da cui ci si aspettano meraviglie, e che con questo capitolo non fa che confermare una parabola discendente da cui Square sembrava essersi ripresa di recente. Volete un gioco indimenticabile? Non lo troverete qui, ma se amate il genere fateci comunque un pensiero. Cercate di annullare il vostro attaccamento al marchio mentre giocate però, lo diciamo per il vostro bene.

Voto Recensione di Final Fantasy XIII: Lightning Returns - Recensione


7