Copyright e videogiochi

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a cura di FraFont

Cari videogiocatori, ho un paio di domande per voi. Quante volte sfogliando i giochi di Steam avete trovato qualche titolo dal gameplay trito e ritrito? Com’è possibile che il mercato sia così intasato da cloni o quasi copie di ottimi titoli? Non c’è qualche genere di legge o tutela che impedisce la creazione di contenuti del genere? Ma soprattutto, avrebbe senso averla? Con queste domande nella borsa ho avuto il piacere di intavolare un’interessante discussione con Maria-Elisabeth Rehbinder, Legal Counsel IP all’Aalto University di Helsinki e membro del Consiglio sul Copyright del Ministero dell’Istruzione finlandese. Rehbinder è un’esperta di proprietà intellettuale con più di 25 anni di esperienza sul campo e ci ha gentilmente dedicato il suo tempo per farci capire come oggi uno sviluppatore si possa tutelare nella vasca di piranha che è il mercato mondiale.  
I concetti chiave
Partendo dalle basi, esistono principalmente i seguenti canali di tutela: diritto d’autore, marchio, brevetto. Questa è la rosa a disposizione di un qualsiasi inventore e si applica a tutti i campi. Il copyright è gratuito, dura per tutta la vita dell’autore e fino a 70 anni dalla sua morte (EU e USA). Chiunque può applicare il famoso simbolo “©” seguito da una serie di parole chiave a scelta e ciò basta a notificare la proprietà di un certo artefatto (asset, documenti, codice, ecc..), il diritto d’autore infatti sorge nel momento stesso della creazione dell’opera ed è valido anche se non esplicitato. Il marchio invece serve a proteggere l’utilizzo di un nome, un logo o un segno distintivo ed è a pagamento. La registrazione di un marchio, in realtà, risulta anche abbastanza costosa, circa 900 euro in Europa (ma ha un costo minore nei singoli stati), e potrebbe essere un vero scoglio per uno studio indipendente senza molto budget. Persino le grandi compagnie tendono a registrare solo il minimo indispensabile per ridurre le spese e minimizzare i problemi, inoltre va rinnovato ogni 10 anni e dev’essere utilizzato attivamente dal proprietario. Si parla invece di brevetto quando c’è una vera e propria invenzione tecnologica come per esempio “la ruota”, “un nuovo processore” oppure “un nuovo tipo di schermo”. Qui la faccenda diventa più spinosa poiché in Europa è attualmente complesso brevettare un software e tendenzialmente si opta per la protezione del copyright. Rehbinder ci dice però che negli USA il brevetto sul software è molto più diffuso ed è possibile brevettare non solo dal punto di vista del codice ma anche da quello della suo vero e proprio funzionamento; È infatti il caso di Niantic che tutela tramite brevetto (Qui potete leggerlo con calma) il modo in cui il celebre Pokèmon Go funziona, dalle interazioni con l’utente a questioni più tecniche.
La tutela delle idee
Se siete stati attenti avrete notato che in nessuna di queste modalità di protezione giuridica si parla inoltre di idee ma solo di funzioni e forme espressive. Un’idea in sè, infatti, non è tutelabile da nessuna forma legale e può essere espressa in molteplici forme. Di questa si può proteggere solo la sua realizzazione in opere fisiche o digitali, tramite gli strumenti di tutela elencati prima. Questa, ragazzi, è anche una delle ragioni per cui in giro l’originalità è ormai merce rara.  Nonostante questo punto apparentemente molto controverso, pensando ad un esempio pratico in realtà la questione acquista molto più senso. Un’idea copiata è spesso considerata dal mercato come negativa, a meno che non sia realizzata in maniera migliore o con una sfumatura diversa e quindi accolta positivamente. Quest’ultima forma inoltre è del tutto legale, poichè la forma espressiva è differente, anche solo in alcune caratteristiche. In questo caso parlerei più propriamente non di idee ma di innovazione. Riuscite a immaginare un mondo in cui Super Mario non è stato mai copiato da nessuno? Non esisterebbero probabilmente tutti i miliardi di platform, capolavori e non, presenti oggi sul mercato. Questo vale inoltre per ogni piccolo o grande titolo che abbia aperto le porte verso un nuovo genere e il ragionamento è ancora più forte quando si parla dei pionieri dell’innovazione nel settore indipendente: sviluppatori che esplorano freneticamente le nuove possibilità del videogioco.
Fare videogiochi oggi può essere complesso e se si ha la fortuna (o la sfortuna) di essere in una grande azienda probabilmente le questioni legali non saranno il vostro pane quotidiano. Tuttavia nei piccoli studi queste sono tematiche che dovrebbero essere conosciute e che possono, data la loro complessità, presentare scogli pratici ed economici non indifferenti, rovinando o finalizzando molto duro lavoro. L’intento di questo articolo era proprio quello di fornire una panoramica generale sulla situazione e magari, nel caso in cui Maria-Elisabeth Rehbinder ci conceda un altro interessante momento di dialogo, approfondire l’iter specifico che porta lo sviluppatore dalla scrivania del suo studio fino al mercato.

Abbiamo visto cosa significa a livello legale produrre software: la legge è chiara e sopratutto in Europa offre tutele specifiche per ogni artefatto digitale o fisico prodotto. Quando però si parla di brevetti sono gli USA ad offrire possibilità più convenienti per tutelare come “invenzione tecnologica” anche il puro funzionamento di un software; è infatti il caso di Niantic che possiede un brevetto per Pokémon GO, dall’interazione con l’utente alle modalità di gioco. Il mondo della proprietà intellettuale è complesso e pieno di insiedie e Maria-Elisabeth Rehbinder, esperta del settore, ci ha aiutato a fare un po’ di luce sulle principali questioni che possono interessare uno sviluppatore che ha appena sfornato il suo ultimo capolavoro.