25 anni di Zelda - 2a parte

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a cura di Spoudaios

Eccoci alla seconda parte dello speciale dedicato ad uno dei brand più amati/odiati, ma in ogni caso famosi del mondo videoludico, quel The Legend of Zelda che da ormai venticinque anni fa discutere appassionati e non. Nella prima puntata abbiamo delineato i punti cardine della serie, enunciandone le caratteristiche salienti. Adesso siamo pronti per approfondire il percorso compiuto dalla saga, attraverso un focus ravvicinato su alcuni episodi divisi per “epoca tecnologica”. La leggenda continua.

Mondi di sprite fatatiNe è passata di acqua nei fiumi Zora e lava bollente dentro la Death Mountain da quando l’universo di Zelda era racchiuso in una manciata di byte, frutto dell’immaginazione e della curiosità del suo creatore per il bosco vicino la casa in cui viveva da piccino. Ebbene sì, il grande Miyamoto ha concepito questa proficua saga a partire dalle proprie avventure tra gli alberi. Correva l’anno 1986, e l’industria videoludica come fenomeno di massa era appena uscita dalla sua crisi più nera, quando vide la luce il primissimo The Legend of Zelda in esclusiva su Famicom (NES qui da noi), realizzato quindi con un motore grafico a soli 8-bit. Nonostante la scarsa potenza di calcolo, il gioco riuscì a sorprendere per la sua profondità e complessità unite ad una grande semplicità nei comandi, caratteristiche assolutamente notevoli se paragonate agli standard dell’epoca. Per questi motivi moltissimi appassionati ed esperti sostengono che sia questo il vero e proprio inizio del genere Action/GDR su console. Novità assoluta alla fine degli anni ’80, il gioco permetteva una certa libertà nell’affrontare la quest principale, unita ad alcune missioni secondarie utili ad allungare la longevità del titolo. La grande varietà di oggetti, creature e situazioni non fecero che contribuire al successo di The Legend of Zelda, titolo di cui Nintendo intuì presto le potenzialità. Già l’anno successivo infatti fu pronto Zelda II: The Adventures of Link, la cui novità rispetto al predecessore fu l’inserimento di una doppia visuale di gioco: a volo d’uccello durante le fasi esplorative e a scorrimento laterale con personaggi più grandi e definiti durante i combattimenti. Nel 1991 fu la volta del capitolo in 2D per alcuni più bello di sempre, in grado di elevare la popolarità di Link e del suo mondo fino ai livelli dell’idraulico baffuto di Nintendo; stiamo ovviamente parlando di The Legend of Zelda: a Link to the Past, uscito in esclusiva per SNES. E’ con questo episodio che comincia a delinearsi concretamente lo stile unico della serie, grazie all’intricata struttura del mondo, alla mitologia fantasy dietro la creazione di Hyrule ed all’interazione con i numerosi e ben caratterizzati personaggi non giocanti. In The Legend of Zelda: a Link to the Past si sperimenta per la prima volta il viaggio attraverso mondi paralleli, caratterizzati rispettivamente dalla luce e dalle tenebre, tema che ritornerà spesso sia nella stessa saga sia in saghe differenti. Al giocatore viene chiesto di calibrare le proprie azioni tenendo conto dell’effetto che queste avranno non solo nella dimensione attuale ma anche in quella speculare, è chiaro pertanto come nel 1991 si trattasse di qualcosa dalla complessità assolutamente inedita.

La leggenda diventa poligonalePer ben sette lunghi anni, i fan dell’universo fantasy firmato da Miyamoto hanno dovuto attenderne il ritorno. Intanto si stava compiendo un passaggio epocale che avrebbe cambiato per sempre il mondo videoludico. In quel periodo scendeva in campo un nuovissimo concorrente, Sony con la sua PlayStation, la cui nascita decretò il vero e proprio inizio della grafica poligonale, qualcosa di straordinario con cui il pur amatissimo Super Nintendo non era in grado di competere. Fu così che nel 1996 vide la luce la nuova e potentissima console dell’azienda di Kyoto, su cui di lì a poco sarebbe continuata la famosa leggenda di Zelda… Dopo aver stupido il mondo intero con Super Mario 64, Shigeru Miyamoto riuscì a sbalordire ancora una volta, con qualcosa di assolutamente inconcepibile e strepitoso per quegli anni: il 21 Novembre 1998 usciva in Giappone The Legend of Zelda: Ocarina of Time (solo “Ocarina of time” da ora in avanti), ovviamente in esclusiva su Nintendo 64. Link, Zelda e l’intera Hyrule si reggevano adesso su un motore grafico completamente tridimensionale, ben definito e vivo come mai prima d’allora. Grazie alla geniale invenzione del control stick, ovvero la leva analogica, il giocatore poteva muoversi con una libertà e precisione incredibili, fattore di cui un titolo potenzialmente impegnativo e complesso come un The Legend of Zelda poteva solo giovare. I freddi dati non fanno che confermare la portata di questo capolavoro, in grado di raggiungere i cinque milioni di copie vendute in appena sei mesi dal lancio (cifra astronomica nel 1998-99, anni in cui il mercato era ben diverso da quello odierno). Pur mantenendo pressoché inalterate le fondamenta strutturali del gioco rispetto agli episodi precedenti, Ocarina of Time le potenzia e le raffina, portando su schermo un’opera sapientemente disegnata, dalla trama avvincente, sorprendente e commuovente allo stesso tempo, in sintesi un’esperienza da provare assolutamente. Un gameplay basato sull’esplorazione e la risoluzione di dungeon non può che arricchirsi una volta conquistata la terza dimensione, ed infatti l’interazione con il mondo circostante e la risoluzione degli enigmi ha raggiunto con questo titolo vette allora assolutamente inesplorate. A dare il titolo alla nuova avventura di Link è l’oggetto principale, l’Ocarina del Tempo, strumento dalle invidiabili doti magiche ma che a dispetto del nome permette di viaggiare da un luogo ad un altro e non da un tempo ad un altro, cosa possibile invece grazie alla Master Sword, in grado di far balzare Link ben sette anni avanti e sconfiggere l’eterno arcinemico Ganondorf. L’enorme successo di critica e pubblico di Ocarina of Time mise Nintendo nella scomoda posizione di colei che deve mantenere alto il profilo della serie non deludendo i fan con gli episodi futuri. Tentando un approccio coraggioso, nel 2000 consegnò al mondo un nuovo e controverso capitolo, diretto questa volta da Eiji Aonuma; The Legendo of Zelda: Majora’s Mask è stato considerato dalla critica e dai fan il capitolo più complesso, adulto e “dark” dell’intera saga. Presentando una trama indipendente dagli avvenimenti legati ad Hyrule, la fatica di Aonuma catapulta link in una terra parallela in cui il ruolo chiave viene giocato dalle maschere, oggetti invece marginali in Ocarina of Time. Tutte le caratteristiche del titolo, dal livello di difficoltà superiore alla media alle ambientazioni, dalle sceneggiature ai dialoghi evidenziano un look & feel volutamente maturo condito da dinamiche temporali complesse, imponendo al giocatore persino un limite entro il quale completare l’avventura. Le differenze sono evidenti anche sotto il profilo tecnico avendo i programmatori raffinato il motore di gioco al punto da rendere necessario l’utilizzo dell’espansione di memoria RAM. Per questi motivi, nonostante il minor successo in termini di vendite, non sono pochi coloro i quali ritengono Majora’s Mask superiore ad Ocarina of Time; in ogni caso si tratta di due pezzi di storia videoludica imperdibili.

Si conclude qui la seconda tappa attraverso le caotiche lande hyruliane. Nella terza ed ultima parte vedremo come si è evoluta la serie negli ultimi dieci anni, anche su console portatili, volgendo infine lo sguardo al futuro imminente e a lungo termine di The Legend of Zelda.