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Shenmue, il racconto di un'epoca

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Informazioni sul prodotto

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Shenmue
  • Sviluppatore: AM 2
  • Produttore: SEGA
  • Piattaforme: PC , PS4 , XONE , DC
  • Generi: Azione , Avventura
  • Data di uscita: disponibile

È rimasto confinato alla nicchia per molto tempo, eppure non ne ha voluto sapere di abbandonare il cuore di chi ci ha avuto a che fare. È uscito su Dreamcast, una console che sarebbe presto crollata di fronte alle sue stesse ambizioni di divenire la nemesi della PlayStation 2.

Il suo nome è Shenmue, il videogioco d’azione ad ambientazione aperta nato dalla mente di Yu Suzuki. Con la remaster in distribuzione, in questo speciale vogliamo adottare un’altra prospettiva. Perché Shenmue, prima che un grande veicolo di innovazione e influenza per tutti i creativi di oggi, è stato prima di tutto il racconto di un’epoca.

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Niente figli d’arte

Shenmue nasce in una maniera inaspettata, come sprazzo di ambizione da una tradizione che stava diventando esasperata. Nel 1993 Yu Suzuki e SEGA avevano sviluppato e pubblicato per il mondo dell’Arcade il primo Virtua Fighter, il videogioco di combattimento a incontri che già si contendeva il primato per essere il primo ad essere realizzato in 3D.

Da quelle umili origini di personaggi spigolosi e senza texture sarebbe nato un franchise milionario, proseguito con alterne fortune fino a oggi. Ma mentre il gioco si confrontava con il progresso tecnologico e l’emersione di nuovi rivali (da Battle Arena Toshinden al primo Tekken) con continue riedizioni, al di fuori del settore videoludico succede qualcosa.

Nel 1995 viene infatti prodotto e trasmesso in Giappone un adattamento animato del videogioco in questione. Banalmente intitolata Virtua Fighter, era una classica serie per adolescenti e giovani adulti che inscena il percorso di vita e di addestramento alle arti marziali di un giovane. A ricoprire questo ruolo viene scelto Akira Yuki, personaggio del videogioco a cui, una volta ringiovanito, vengono date le caratteristiche del protagonista shonen: svampito, idealista, ingenuo, poco acculturato ma animato da un atavico buon senso e da un cuore grande come una montagna.

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Quello che viene ai tempi visto come un mero clone di Son Goku però rimane nella mente di Yu Suzuki, che ne apprezza l’idea del percorso di crescita e decide di svilupparci sopra un gioco di ruolo da destinare al Saturn, la “nemesi sfortunata” della PlayStation. Akira doveva appunto essere il giovane protagonista, e non è difficile immaginare che il gioco volesse raccontare il periodo precedente alla sua partecipazione al torneo visto in Virtua Fighter (dove invece è rappresentato come un uomo fatto e finito). Tuttavia l’ambizione di Yu Suzuki è troppo grande e il Saturn non è un hardware che riesce a starle dietro.

Questo finché negli ambienti SEGA non comincia a circolare la voce di una nuova console, ancora nota solo con nome in codice Katana, che vuole battere sul tempo la futura PlayStation 2. Suzuki dirotta tutto il suo lavoro, anch’esso ancora sotto il nome in codice Project Berkley, su questo futuro e la nuova potenza a disposizione gli permette di esagerare. Dall’orchestra per la colonna sonora alla recitazione vocale sia in giapponese che in inglese, passando per il rendering digitale dei personaggi utilizzando dei modellini in creta esattamente come aveva fatto la Pixar per il primo Toy Story.

Akira diviene Ryo Hazuki, e non è difficile immaginare che l’antagonista che noi conosciamo come Lan Di originariamente non fosse altri che Lau Chan, già nemico nella serie animata. Dopo una quantità immane di lavoro e un’infinità di tech demo, Shenmue arriva su Dreamcast nel tardo fine dicembre 1999, in un risultato finale profondamente diverso da ciò che era all’origine.

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Oltre la vendetta

Chiunque ci sia passato ricorda Shenmue come una storia di vendetta di un ragazzo che prima di tutto cerca di diventare uomo. Ryo Hazuki, ragazzo che vive nella regione di Yokosuka nel Giappone degli anni Ottanta, un triste giorno di dicembre vede la propria vita sconvolta. Tornato a casa assiste impotente alla morte del padre Iwao, ucciso da un misterioso e freddo cinese di nome Lan Di, il quale gli sottrae anche un misterioso specchio. Da lì il giovane intraprenderà un lungo cammino di crescita, arrivando a comprendere e navigare il paese natale con una consapevolezza differente, fino a decidere di abbandonarlo all’inseguimento dell’assassino di suo padre.

Questo è ciò che, a livello più brutalmente narrativo, propone il gioco. Ciò che il gioco tiene sotteso fin quasi a nasconderlo è il suo mettere il giocatore in un mondo che, per quanto non “aperto”, è senza dubbio “vivo”. Ciò che lo rende tale è un fattore che affonda (più o meno consapevolmente) nell’accademico e nello studio della testualità anche videoludica. Shenmue catturava e cattura perché prima di tutto punta a una paradossale verosimiglianza.

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Questo perché Shenmue inscena prima di tutto un paesino giapponese di trent’anni fa. Un contesto quindi per somma parte riconoscibile da buona parte dell’utenza, anche a coloro che (per età o nazionalità) non hanno potuto viverlo nella realtà, ma che è intelligibile in quanto si tratta della vita quotidiana in un paese sviluppato. Un simile contesto ha delle regole e delle convenzioni che l’essere umano ha assimilato in quanto “cittadino”: Shenmue compie il “prodigio” analitico di rendere le convenzioni, interazioni e manipolazioni che sono istintivamente possibili nella realtà, realizzabili anche nel mondo virtuale.

Nonostante siano presenti sezioni di combattimento anche di notevole durata, in cui si ravvisa come il gioco sia ancora debitore del suo “padrino” Virtua Fighter, in realtà l’azione si consuma prevalentemente attraverso dialoghi, raccolta di informazioni e oggetti, infiltrazioni ed interazioni. Una struttura per cui la storia di vendetta è solo una scusante per far esplorare il contesto al giocatore, dipingendo una realtà riconoscibile. Una realtà che ci chiede non di sovvertire il mondo virtuale (come potrebbero fare oggi un GTA o uno Yakuza) ma di inserirci al suo interno. E il suo modo per convincerci è dipingere di una cura inverosimile qualunque dettaglio. Dal prendersi una bibita al distributore o al comprarsi un gashapon, dal visitare il convenience store locale per dare da mangiare a un gattino al farsi una partitella alla sala giochi di paese (tra l’altro occasione per versioni emulate di classici SEGA popolari appunto negli anni Ottanta) tutto è presente, anche la gestione delle finanze e il dover addirittura far lavorare il proprio alter-ego per avere dei guadagni e poter quindi partire all’inseguimento di Lan Di.

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I creativi di oggi sono gli spettatori di ieri

Abbiamo già parlato del gioco in sé e del lavoro controverso svolto nella recente remaster. In realtà, ciò che ai tempi è passato inosservato in Shenmue (e che ancora adesso per somma parte ne fa travalicare la lentezza intrinseca e la vecchiaia dell’enunciazione) è il suo testimoniare un fatto sia storico che autobiografico.

Shenmue si colloca infatti in un’epoca, il 1986, dove vi fu un grande cambiamento mentale prima che sociale. Dopo degli anni Settanta di grande crescita economica generale, i cittadini comuni cominciarono a chiedere un miglioramento del proprio tenore di vita, ancora imparagonabile (a fronte di un impegno lavorativo anche maggiore) rispetto a quello dei paesi occidentali. Proprio l’ingerenza di questi ultimi, in special modo degli Stati Uniti, portò però a un cambio di mentalità all’interno delle generazioni più giovani. I giovani baby-boomers (cioè coloro nati dagli anni Cinquanta in poi) avevano ben chiare le tradizioni e le regole sociali, ma avevano anche assimilato gli ideali di individualismo e autorealizzazione portati dalla società capitalistica occidentale. Cercavano anche loro un miglioramento del proprio tenore di vita, ma non volevano barattare le proprie possibilità di esperienza e crescita ancorandosi a portare avanti l’attività di famiglia.

Shenmue rappresenta questo contrasto in maniera squisitamente visiva: tutti i giovani hanno abiti, abitudini e svaghi tipicamente occidentali, mentre tutti gli “adulti” sono vestiti con abiti tradizionali. La camera di Ryo è ammobiliata all’occidentale, con un letto a doghe anziché il classico futon, e lo stesso personaggio ascolta musica con il walkman e si interessa di motori e motociclette. Tutti fattori che fanno una sorta di “rima visiva” con quella che era la storia contemporanea giapponese, sulla tristemente famosa “bolla speculativa giapponese” basata sul mercato immobiliare che aveva portato all’incremento della ricchezza generale e rendeva possibile il Freeter, neologismo indicante il lavoratore non interessato a legarsi vita natural durante a una singola impresa ma semplicemente di seguire la propria carriera e le proprie competenze. Il numero di questo tipo di lavoratori aumentò significativamente proprio negli anni Ottanta.

Tutto questo sarebbe poi culminato pochi anni dopo, con lo scoppio della bolla e l’inizio della crisi economica, oltre che con la morte nel 1989 dell’imperatore Hirohito. Tutte cose vissute da Yu Suzuki, e che sarebbero state da lui indirettamente riportate nel gioco stesso. Da spettatore si è quindi trasformato in creativo, influenzando con le sue idee l’intera generazione attuale di autori di videogiochi.

L’importanza di Shenmue travalica la sua lentezza o il suo essere “system seller” per una console che non ce l’ha fatta. È stato un videogioco progressivo sia a livello strutturale che concettuale, una sfida che tuttora lascia basiti per la naturalezza con cui ti invita nel suo mondo. Che ogni volta ci fa dimenticare che la sua vicenda era, almeno fino a poco tempo fa, destinata a rimanere irrisolta. Ma dopo il raggio di speranza di Shenmue III e il gran successo nella raccolta fondi all’E3 di qualche anno fa, hanno subito un nuovo rallentamento. Ma anche a costo di essere provocatori, lasciateci dire che l’importanza di un terzo capitolo della saga è solo relativo. Il primo Shenmue rimane una testimonianza, un libro aperto di come la società (non solo giapponese) stava cambiando, e di come da quella voglia di libertà sia scaturito un nuovo modo di pensare, che puntasse prima di tutto all’autorealizzazione, partendo dai principi tradizionali ma non dipendendo da essi. Per questo, Shenmue ancor prima che videogioco è un documento storico di un’epoca, e non si può che essere lieti che sia adesso raggiungibile al grande pubblico sull’attuale generazione.

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Commento

L’importanza di Shenmue travalica la sua lentezza o il suo essere “system seller” per una console che non ce l’ha fatta. È stato un videogioco progressivo sia a livello strutturale che concettuale, una sfida che tuttora lascia basiti per la naturalezza con cui ti invita nel suo mondo. Che ogni volta ci fa dimenticare che la sua vicenda era, almeno fino a poco tempo fa, destinata a rimanere irrisolta. Ma dopo il raggio di speranza di Shenmue III e il gran successo nella raccolta fondi all’E3 di qualche anno fa, hanno subito un nuovo rallentamento. Ma anche a costo di essere provocatori, lasciateci dire che l’importanza di un terzo capitolo della saga è solo relativo. Il primo Shenmue rimane una testimonianza, un libro aperto di come la società (non solo giapponese) stava cambiando, e di come da quella voglia di libertà sia scaturito un nuovo modo di pensare, che puntasse prima di tutto all’autorealizzazione, partendo dai principi tradizionali ma non dipendendo da essi. Per questo, Shenmue ancor prima che videogioco è un documento storico di un’epoca, e non si può che essere lieti che sia adesso raggiungibile al grande pubblico sull’attuale generazione.