Recensione

Ryse: Son of Rome

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a cura di Pregianza

Un impero che ha cambiato per sempre il mondo, trasformato e inglobato intere culture e popolazioni, dominato terre vastissime e assicurato la sua eterna memoria con opere magnifiche sparse un po’ ovunque. Questa è Roma. 
E allora perché i titoli dedicati a questo tumultuoso e affascinante periodo storico si contano sulle dita di una mano? Perché poche opere sono riuscite a sfruttare le infinite possibilità offerte dagli intrighi politici, dalle terribili battaglie, e dalle personalità leggendarie dell’era dell’impero? 
Non lo sappiamo, sinceramente. Forse è dovuto all’effettiva difficoltà di gestire una massa di avvenimenti storici simile, e ai rischi che ciò comporta in sede di sviluppo. Fatto sta che alcuni sviluppatori, ogni tanto, ci provano, e di conseguenza catturano con facilità l’attenzione di molti appassionati. Così è accaduto con Crytek e Ryse, titolo inizialmente previsto per Kinect e poi magicamente trasformatosi in un hack n’ slash comune, pensato allo scopo di mostrare i muscoli della nuova macchina di Microsoft. 
Il gioco ha stupito subito, sia positivamente che negativamente. Da una parte la grafica è sempre sembrata da svenimenti multipli e mascelle implose, ma dall’altro il gameplay non ha soddisfatto i redattori che hanno avuto modo di testarlo, per via di un sistema di combattimento un po’ abbozzato. Noi ci abbiamo sperato fino alla fine, catturati dall’ambientazione ricca di potenziale e dalle incredibili capacità tecniche degli sviluppatori di Crytek. Alla fine, purtroppo, solo i nostri occhi sono usciti appagati dall’esperienza. 
Forse Marius la sua storia l’ha un po’ pompata
Di solito tentiamo di descrivere il comparto tecnico alla fine di un articolo, in un paragrafo dedicato, ma qui dobbiamo stravolgere un pochino la tipica struttura dei nostri pezzi. Questo perché Ryse è uno dei pochissimi titoli ad essere “davvero” next gen, un passo avanti grafico galattico rispetto a quanto visto nella generazione attuale, il cui comparto tecnico stupisce al punto da sovrastare ogni altro fattore, avvolgendo l’insieme come una morbida coperta. Il problema di Ryse è che, tolta questa meravigliosa copertura, non resta assolutamente nulla. 
Partiamo dalla narrativa, che non rappresenta uno degli elementi peggiori del titolo, ma brilla molto meno di quanto avremmo sperato. Nei panni di Marius, prode soldato dell’esercito Romano, vivrete il massacro della vostra famiglia ad opera dei barbari, per poi lanciarvi in un conflitto terribile contro le tribù bretoni, in una storia di vendetta ricchissima di violenza e morti. C’è intrigo nella storia di Ryse, c’è misticismo, e c’è onore, peccato che tutto sia a un livello da seconda elementare, con plot twist prevedibilissimi, una trama che avanza in modo alquanto banale, e personaggi estremamente piatti. 
La cosa assurda? Tutto risulta comunque godibile, sempre grazie al folle engine del titolo Crytek. I personaggi sono sciatti, ma le animazioni iper realistiche gli donano carattere: l’espressività degli eroi lascia trasparire la loro forza interiore, le smorfie e le movenze lascive dei malvagi rendono quasi impossibile non odiarli, e le tante scene epiche durante gli scontri spingono ad avanzare, quasi solo allo scopo di osservare qualche nuova meraviglia grafica. E’ una strana dualità, dove alla fine però l’impatto grafico soccombe, poiché, ammirato l’ammirabile, non resta niente che meriti di essere ricordato dal giocatore.
Il pancrazio qui non serve
Il vero problema di Ryse non sta ad ogni modo nella narrativa scialba, bensì nell’elemento che fin dalle prime presentazioni aveva destato le maggiori preoccupazioni, il combat system. Eviteremo inutili perifrasi, e non indoreremo la pillola in alcun modo: siamo davanti a un gameplay pessimo. In un action hack ‘n’ slash le meccaniche sono re e regina, IL fondamentale dell’intera produzione, la colonna portante di tutta la struttura. In Ryse questa colonna è fatta di cartone e riempita di sabbia, poiché quel che ci troviamo davanti è un combat system che scimmiotta il free flow visto nella serie Arkham, e cerca senza successo di applicarvi alcune modifiche legate alle tempistiche delle mosse.
Marius avrà a disposizione due tipi di attacchi, veloci e potenti, una schivata, e una parata difensiva con lo scudo. In battaglia punterà automaticamente sul nemico più vicino in base alla direzione dell’analogico, e potrà eseguire combinazioni con facilità usando a raffica i colpi rapidi. Esattamente come nelle opere Rocksteady, le serie di colpi verranno indicate da un counter numerico, che, tuttavia, non sbloccherà le esecuzioni bensì una modalità chiamata “aquila di fuoco”, che rende il nostro protagonista più rapido e si avvia solo dopo l’esecuzione di un tot di attacchi dal tempismo perfetto (per “tempismo perfetto” si intende far partire l’attacco successivo esattamente nel momento in cui la daga colpisce la carne nemica). Questo non significa però che le esecuzioni siano assenti, semplicemente derivano dai danni fatti e non dal counter delle combo, rappresentando una meccanica centrale del nuovo sistema. I colpi di grazia, infatti, una volta attivati, faranno partire un breve qte, che donerà invulnerabilità a Marius e a seguito dell’uccisione offrirà un bonus al danno, all’esperienza, alla furia o alla salute, in base a una passiva scelta con i direzionali. L’idea di fondo di unire tali bonus alle esecuzioni non è malvagia, ma il loro numero in Ryse è eccessivo, e i vantaggi ottenuti facilitano mostruosamente le battaglie, assicurando che non si resti quasi mai a corto di energia o rabbia. Proprio nell’appena citata furia poi è insita la maggior facilitazione del sistema, trattandosi di una tecnica attivabile che rallenta i nemici e rende inutile qualunque tipo di difesa derivante dagli scudi o dalla stazza dell’avversario. E’ efficace a tal punto da rendere quasi insignificanti le serie perfette descritte poco fa, ed è un pessimo segno quando una meccanica mette in ombra le altre per la sua esagerata possanza.
Il free flow funzionava nei titoli dedicati a Batman, perché appaiato a fasi esplorative e ad altri sistemi di gioco, qui invece rappresenta l’ottanta per cento della campagna, pervasa da scontri continui che, negli ultimi capitoli, vengono facilmente a noia. La situazione migliorerebbe se ci fosse una notevole diversificazione degli avversari, ma, ora della fine, abbiamo contato sì e no cinque tipologie totali, dove la differenza di approccio è rappresentata solo dall’obbligo di schivare certi attacchi imparabili di alcuni nemici, di sfruttare i colpi potenti per spezzare le guardie degli avversari armati di scudo, o di usare la parata perfetta per contrattaccare. Se siete puristi di giochi di questo tipo, e magari vi siete fatti il palato fino, questo titolo vi farà morire un po’ dentro. 
Soldati, sui binari!
Va detto che gli scontri all’arma bianca non sono l’unico elemento di cui Ryse si compone, ma vi consigliamo di non aspettarvi troppo dalle poche varianti. Si parla di fasi di comando, nelle quali a Marius viene dato il controllo di una truppa per conquistare determinate postazioni. Non è una sezione strategica, ma solo un linearissimo avanzamento della squadra su binari, ove al giocatore viene solo concessa la possibilità di alzare gli scudi per pararsi dai proiettili avversari e di contrattaccare a forza di lance.
I giavellotti sono utilizzabili come proiettili anche nell’avanzamento normale, eppure vengono spesso sfruttati in momenti altrettanto scriptati. Sono variazioni basilari, più noiose anche dei combattimenti comuni, e il fatto che non siano moltissime è forse un bene più che altro. L’uso del Kinect per chiamare il supporto di qualche arciere è, a sua volta, dimenticabile.
Persino le mappe sono limitate e chiuse, a causa di un’esplorabilità dei luoghi limitatissima, e correlata al ritrovamento di qualche collezionabile di poco conto. 
Ora della fine, non c’è scampo per il gameplay di Ryse. Le esecuzioni basate sui due attacchi si possono evitare, ma si è spinti ad usarle di continuo perché velocizzano scontri che in caso contrario si allungano fin troppo per ciò che offrono, le fasi alternative sono piatte e insulse, la varietà degli antagonisti è scarsa, la libertà d’azione inesistente, e persino lo sviluppo del personaggio è ridicolmente limitato a potenziamenti passivi e a esecuzioni extra, senza mosse, poteri, o combinazioni in più capaci di aggiungere brio alla formula. 
Credeteci quando vi diciamo che la cosa intristisce noi più di chiunque altro, perché avremmo desiderato con tutto il cuore un gameplay in grado di sorreggere il promettente background del lavoro di Crytek. Ma quando giocando ci si deve sforzare per apprezzare gli elementi minori del sistema di combattimento, in modo da ottenere un minimo di svago da una formula stantia e ripetitiva fino allo sfinimento, è chiaro che ci sono stati errori madornali a livello di game design. 
Roma è la città più bella del mondo
L’unico elemento su cui non si può recriminare è, per l’appunto, la grafica. Parliamo di un titolo maestoso, uno dei pochi prodotti davvero degno di essere definito “next gen”. I modelli tridimensionali di Ryse sono spaventosamente dettagliati, e indipendentemente che si tratti di scene d’intermezzo o gioco vero e proprio pare a tratti di trovarsi all’interno di un filmato cg interattivo. le animazioni sono superlative, precise al millimetro e ulteriormente nobilitate da tanti piccoli dettagli legati alla fisica di gioco. Carni che si spostano all’impatto, grasso di nemici pasciuti che si muove quando questi corrono, armature luccicanti, amputazioni con ossa visibili e sangue a fiumi, illuminazione superlativa con riflessi magnifici, strutture così dettagliate da lasciare a bocca aperta, ed effetti particellari superlativi vi ipnotizzeranno dall’inizio alla fine della campagna, e come un urlo dritto in faccia affermeranno con forza “la next gen può fare questo”. 
Ci sono bug, problemi di interpolazione poligonale, modelli ripetuti e un pattinamento brutale dei combattenti durante le battaglie, dovuto al riposizionamento degli stessi dopo i colpi inferti e ricevuti, ma sono inezie davanti a tanta bontà divina. Ryse è, innegabilmente, il gioco più bello da vedere tra i primi spuntati per la nuova generazione di console. 
Proprio questo splendore è la caratteristica più triste del titolo. E bello, bellissimo, sublime da vedere, ma la consapevolezza che questo spettacolo visivo poggia sul vuoto sarà un colpo terribile per chi lo attendeva con ansia. 
Cotanta mediocrità rende quasi un bene che la campagna duri solo cinque o sei ore. Almeno non morirete per il tedio prima della sua conclusione. Per i veri masochisti, comunque, c’è anche una modalità multiplayer cooperativa (giocabile anche in solo), che vi metterà nei panni di un prode gladiatore contro numerosi avversari presi di peso dalla campagna in missioni a obiettivi. Tolta la possibilità di sbloccare oggetti con cui personalizzare il protagonista, peraltro parzialmente acquistabili con le microtransazioni, o alcuni poteri limitati legati all’affiliazione a una divinità, non c’è davvero nulla che renda l’online degno di essere affrontato.

– Tecnicamente maestoso e davvero “next gen”

– Sistema di combattimento semplicistico e mal calcolato

– Struttura della campagna spaventosamente ripetitiva e lineare

– Narrativa scialba

– Breve

5.0

Ryse è uno spreco terribile. Da una parte è uno dei pochi titoli a poter realmente vantare di appartenere alla next gen, grazie al suo stratosferico comparto grafico, ma sotto al mare di meraviglie poligonali dell’opera di Crytek non c’è nulla, solo un action hack ‘n’ slash con un sistema di combattimento approssimativo, e una struttura lineare e tremendamente ripetitiva. E’ sconsolante vedere tale potenziale buttato alle ortiche, ma chissà che in futuro questi sviluppatori non riescano a fondere tanta bontà visiva a meccaniche all’altezza.

Voto Recensione di Ryse: Son of Rome - Recensione


5