Recensione

Killzone: Shadow Fall

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a cura di LoreSka

Non c’è più vita sul pianeta Helgan. Il Terricidio ha reso il pianeta un luogo inospitale, scosso da terribili terremoti. Le macerie sono l’unico segno che, una volta, in quel pianeta fioriva una civiltà. Dall’altra parte ci sono i Vekta, gli altri abitanti del sistema Alpha Centauri, vincitori della guerra ed esportatori di democrazia, che decidono di donare metà della loro capitale ai sopravvissuti dell’olocausto.
Vekta e Helgast, gli acerrimi nemici, si ritrovano a condividere la stessa casa. Ma non è una convivenza pacifica, tanto che viene eretto un muro alto centinaia di metri per dividere Vekta City da New Helgan. Alcuni profughi, cacciati dalla loro terra per fare posto agli storici nemici, organizzano una resistenza, ma si ritrovano sopraffatti da un sistema che li costringe alla povertà e alla schiavitù. Al contempo, i Vekta – chiusi nei loro moderni e lussuosi palazzi di vetro – sembrano agire con il solo scopo di inasprire ulteriormente i rapporti tra le due fazioni, nascondendo alcuni scopi ignobili dietro la bandiera della democrazia.
È una storia verosimile, quella di Killzone: Shadow Fall. Due popoli un tempo uguali, oggi divisi, costretti a condividere la stessa terra ma separati da un muro. Ognuno ha le proprie ragioni, ognuno agisce per il bene di se stesso, ognuno commette errori imperdonabili. Non passa molto tempo prima di iniziare a pensare che, forse, gli sceneggiatori di questo gioco hanno tratto ispirazione dalla questione israeliana e palestinese. O, se vogliamo, dagli eventi della Cortina di Ferro, quella in cui i muri venivano eretti per separare due pensieri, oltre che due popoli.
La premessa di Killzone: Shadow Fall, dunque, è davvero ispirata, e permette al giocatore per provare antipatie e simpatie per entrambe le fazioni in gioco, anche per gli stessi Vekta che – in teoria – dovrebbero rappresentare i buoni. Ma quella narrata è una storia di vincitori e vinti, non di buoni e cattivi.
Il problema è che un’idea così buona non è stata sfruttata a dovere, e come spesso accade nei videogiochi di questo tipo, la sceneggiatura inizia a naufragare dopo appena pochi minuti, tanto che si ha una grossa difficoltà a comprendere il susseguirsi degli eventi. Non aiutano i personaggi poco carismatici, e l’idea di non schierare il giocatore da nessuna delle due parti finisce per rendere pressoché impossibile l’identificazione del nemico. Così, dopo dieci ore di gioco, si giunge alla conclusione di una vicenda che lascia molti interrogativi e che, nell’epilogo, ci lascia pensare che una parte della storia verrà colmata con un copioso DLC.
Spazi aperti, tante strade
Uno dei pregi di questa storia, però, è certamente identificabile nella moltitudine di luoghi che si visitano. Subito dopo il prologo, ambientato nella nascente New Helgan, si visita un complesso nascosto fra la vegetazione, fatto di grandi spazi aperti. Qui, la linearità dei percorsi è stata sostituita da un’infinità di strade alternative. Persino gli obiettivi, indicati chiaramente da un segno rosso sull’HUD, quando sono multipli possono essere completati in qualsiasi ordine, in modo tale da concedere ampio spazio alle scelte strategiche del giocatore.
Persino quando ci si sposta in luoghi più chiusi e più cupi si ha la sensazione di poter procedere in maniera libera. Sono questi i momenti in cui il gioco si dimostra nettamente più moderno: vorremmo davvero che questo ampio raggio di azione concesso al giocatore diventasse una delle caratteristiche-base degli sparatutto next gen.
Alla fine, il giocatore segue comunque una vicenda totalmente guidata: non ci sono grossi bivi, e le eventuali scelte morali portano a ottenere qualche bonus o, al più, a sbloccare qualche obiettivo. La vicenda, insomma, inizia e termina seguendo un copione prestabilito e, nonostante la moltitudine di strade concesse al giocatore, tutti sono costretti a raggiungere i medesimi checkpoint e a compiere le medesime azioni. Siamo dunque convinti che, con un pizzico di libertà in più anche in questo senso, si sarebbe potuto aumentare il coinvolgimento del giocatore in maniera quasi esponenziale.
A parte questa nota, i grandi ambienti hanno aumentato la scala del gioco in generale, ed è davvero piacevole ritrovarsi coinvolti in scontri a fuoco sulla lunga distanza, spesso accompagnati da una quantità di nemici davvero alta, che sopperisce in parte a un’intelligenza artificiale sufficiente, ma non certo perfetta. I nemici, infatti, si comportano correttamente quando si tratta di attaccare e ripiegare, ma sembrano non voler cooperare tra loro. In breve, capita spesso che i nemici si isolino, tanto da rendere gli scontri contro molteplici Helgast più facili del previsto, dato che molti di loro sembrano avere qualche mania suicida.
Eppure, Killzone: Shadow Fall non è un gioco all’acqua di rose: alcuni passaggi sono davvero ostici, e anche se tutto può essere risolto con una tattica basilare, verso il finale del gioco qualche scontro a fuoco ci ha davvero tenuto con il fiato sospeso fino alla fine, complice anche un sistema di checkpoint non generosissimo. Una scelta, quest’ultima, che abbiamo apprezzato.
Un amico chiamato OWL
La più grande novità del gioco è data da un nuovo amico che ci accompagna per quasi tutta l’avventura. Si tratta di OWL, un drone da combattimento dotato di quattro funzioni. Può infatti attaccare i nemici, generare uno scudo, lanciare un impulso elettromagnetico e tendere una corda per calarsi da un precipizio. Ciascuna delle quattro funzioni è selezionabile strisciando il dito in una delle quattro direzioni sul touch pad frontale del DualShock 4: dopo un po’ di pratica con questo nuovo sistema di controllo, tutto diventa chiaro e funzionale. Il primo impatto con questa funzionalità di PS4, grazie a Killzone: Shadow Fall, è davvero positivo: il touch pad non sbaglia neanche un colpo e ben presto ci si ritrova a muoversi tra le funzionalità dell’OWL in maniera agilissima.
Il drone tattico diventa pressoché indispensabile nelle fasi finali del gioco, quando i nemici iniziano a differenziarsi tra nemici standard, nemici dotati di scudo e nemici dotati di corazza elettromagnetica. In questi ultimi due casi l’OWL è fondamentale, in quanto consente di rompere la guardia degli avversari e di sconfiggerli in maniera agile.
Infine, il nostro amico robotico permette di completare l’unica vera boss fight presente nel gioco, ed è triste che non sia stato sfruttato per altre occasioni di questo tipo, dove avrebbe certamente aggiunto un po’ di pepe alla miscela.
Con un poco di tattica l’Helgast va giù
Se il drone tattico contribuisce a migliorare in maniera considerevole la piattezza degli scontri a fuoco, uno dei problemi più comuni degli sparatutto in prima persona, Killzone: Shadow Fall migliora ulteriormente le cose con l’introduzione di un radar. Premendo il tasto destro sul pad a croce, infatti, si può scannerizzare l’area circostante e individuare oggetti nascosti e, naturalmente, nemici e alleati.
Questo ci permette di studiare una tattica in anticipo e di pianificare con attenzione le nostre mosse in scenari in cui, spesso, è obbligatorio ragionare. Anche tale aspetto contribuisce a migliorare in maniera sensibile il gameplay di Killzone: Shadow Fall, pur rallentandone vistosamente il ritmo in alcuni momenti. Peccato che non sia stato introdotto un vero e proprio sistema stealth: anche se ci sono nemici aggirabili e telecamere da disattivare, il nostro eroe è una macchina da guerra, e dopo qualche corpo a corpo ci si ritrova inevitabilmente invischiati negli scontri a fuoco, che alla lunga si rivelano un po’ ripetitivi. Senza spoilerarvi il finale, vi basti sapere che alla fine della vicenda il titolo ci dà un assaggio di quello che sarebbe potuto essere questo gioco con un po’ di elementi stealth in più, e il risultato ci ha impressionati così positivamente da lasciarci sperare – per una volta – in un DLC a tema.
Il problema del ritmo, però, si fa davvero sentire quando per proseguire dobbiamo risolvere dei piccoli puzzle. In alcuni casi siamo stati costretti a dei noiosissimi backtracking, il tutto per portare un oggetto da un posto a un’altro o per disattivare delle fastidiosissime torrette. Curiosamente, la tensione è salita a dismisura in alcune sequenze parzialmente scriptate, in cui ci siamo ritrovati in assenza di gravità o, addirittura, in caduta libera verso la superficie di Helgan, schivando palazzi che crollano.
Multiplayer
La componente multigiocatore di Killzone: Shadow Fall ci è parsa buona ma semplice. Le classi sono solo tre (Cecchino, Supporto e Assaltatore), apparentemente abbastanza bilanciate tra loro – con qualche punto a sfavore per il cecchino in alcune mappe, che si può sopperire raccogliendo un’arma dai nemici caduti.
La varietà delle classi è resa possibile da un sistema di progressione che sblocca armi e abilità mano a mano che si procede. A tal proposito, però, ci vediamo costretti a segnalare qualche problema nel sistema di matchmaking, che a volte ci ha collocato in partite in cui i nostri avversari erano semplicemente troppo armati per permettere uno scontro alla pari. 
Tra le varie modalità, notevole un multiplayer a squadre per 24 giocatori, che ovviamente fa uso degli ampi spazi aperti di alcune mappe. Gli scontri sono così su larga scala e potenzialmente molto concitati, anche se il servizio online di Playstation – in questa fase iniziale della console – non ci è sembrato all’altezza. La coda per entrare in una partita con 24 giocatori ha superato i 10 minuti, e in molti casi ci siamo ritrovati all’interno partite popolate da appena 4 giocatori, in mappe che ne dovrebbero ospitare almeno il triplo. Spesso ci è sembrato di giocatore a nascondino, più che a un deathmatch a squadre. Speriamo che questi problemi vengano risolti al momento del lancio europeo della console, quando un ripopolamento dei server (e un miglioramento dei ping dei nostri avversari) dovrebbe rendere più piacevole l’esperienza di un net code che, comunque, ci è sembrato potenzialmente buono.
Colori e pupazzi
L’esperienza visiva di Killzone: Shadow Fall alterna dei momenti che lasciano a bocca aperta, a dei momenti di enorme perplessità. La svolta cromatica di questa serie è quasi scioccante, tanto che in prima battuta ci è venuto in mente il passaggio dai primi due Bioshock allo splendido Infinite. In realtà, in alcune fasi del gioco ritroviamo la palette più (o)scura dei vecchi capitoli della saga, ma in generale è davvero bello che gli sviluppatori si siano spinti verso altri confini.
Alcuni momenti, specie quando si ha a disposizione una profondità di campo lunghissima, sono una vera festa per glio occhi. In qualche frangente ci siamo fermati semplicemente per ammirare il panorama, o anche solo per guardare gli straordinari effetti di luce e ombra. Questi ultimi, almeno in un caso, vanno ben al di là della mera estetica per trasformarsi in un elemento di gameplay, come quando ci siamo ritrovati a sfondare le finestre di un’astronave per far penetrare la luce di una vicina stella e abbrustolire i nemici.
Ciò che, invece, non convince è dato dalla modellazione dei personaggi e, in particolare, dei visi. Le espressioni sono poco convincenti, e – in generale – i personaggi sono molto ma molto brutti. Fortunatamente i nemici indossano quasi sempre un’armatura e una maschera, quest’ultima davvero ben realizzata e piena di dettagli.
Le texture spesso sono davvero dettagliate, mentre in alcuni casi ci siamo trovati di fronte a qualche immagine che ci è sembrata ben più che old-gen. Alcuni filmati che girano sui monitor nel gioco sono quasi osceni, e davvero non ci spieghiamo perché gli sviluppatori abbiano deciso di inserire delle sequenze così imbarazzanti in uno scenario grafico altrimenti davvero ottimo.
Da segnalare, infine, qualche piccolo problema di popup delle texture e di ragdoll dei nemici, oltre a qualche sporadico calo di frame rate. Onestamente, questi problemi non compromettono l’esperienza di un gioco che, per il 99% del tempo, gira a 1080p e 60fps. Ma, al contempo, stonano in un comparto grafico che, dalle prime immagini, ci aveva dato ben altre speranze.
Il comparto audio è senza infamia e senza lode. Le musiche sono buone, ma limitatissime in numero e in varietà, mentre il doppiaggio italiano alterna momenti buoni a dialoghi quasi imbarazzanti, certamente non aiutati da un mixage che – ancora una volta – ci costringe a leggere i sottotitoli per capire che diavolo stanno dicendo.

– Premessa narrativa eccellente

– Grafica, a tratti, mozzafiato

– Il drone tattico è una splendida aggiunta

– Ottime scelte di level design

– Qualche riciclo delle meccaniche

– IA non sempre brillante

– Alcuni momenti lenti e noiosi

7.0

Killzone: Shadow Fall è un buon titolo di lancio, ma non è un gioco che raggiunge l’eccellenza. Da un punto di vista prettamente tecnico, ci sono dei momenti davvero emozionanti, ma che forse avremmo potuto vedere – con qualche piccolo limite – anche sulla vecchia generazione. In particolare, la modellazione dei personaggi è a dir poco indecente per un gioco che si vuole fregiare del termine “next gen”. Dal lato del gameplay, Guerrilla Games ha fatto di tutto per renderlo meno monotono, e in parte ci è riuscita. L’idea del drone tattico è davvero ottima, e speriamo di ritrovarla in un successivo capitolo della saga. Peccato che le tante potenzialità offerte dalle nuove meccaniche e dalla premessa narrativa non siano state sfruttate a dovere, e i veri elementi originali finiscono per ripetersi in maniera ciclica, dall’inizio alla fine del gioco. In definitiva, Killzone: Shadow Fall è un gioco pervaso da parecchie scelte discutibili che ne hanno compromesso in parte il risultato. Tra i giochi di lancio per PS4 è indubbiamente un titolo da tenere in serissima considerazione, ma al contempo si ha la netta sensazione che i prossimi FPS per questa nuova console ne spazzeranno via il ricordo nel giro di un paio d’anni.

Voto Recensione di Killzone: Shadow Fall - Recensione


7