Recensione

Fire Emblem Echoes Shadows of Valentia

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Da franchise di nicchia, del quale si vedeva un episodio per ognuna delle console Nintendo, Fire Emblem è divenuto, negli ultimi quattro anni, un punto di riferimento importante per un pubblico decisamente più ampio, grazie ad un’intelligente opera di svecchiamento da parte di Intelligent Systems. Per stessa ammissione del team di sviluppo second party di Nintendo, se Awakening, uscito nel 2013, non avesse avuto riscontri positivi dal mercato (la critica è sempre stata uniforme nel promuovere la serie), il brand sarebbe andato definitivamente in pensione. Invece, i dati di vendita sono stati confortanti, tanto da richiamare un altro episodio, l’enciclopedico Fates uscito solo dodici mesi fa, e il qui presente Fire Emblem Echoes Shadows of Valentia, remake del secondo capitolo canonico, fino ad oggi riservato al solo mercato nipponico. Se la nostra anteprima della settimana scorsa vi ha ingolosito, non avete che da continuare a leggere.
Luce ed ombra
La struttura narrativa di Fire Emblem Echoes si regge sulla dualità: quella dei due protagonisti, Alm e Celica, cresciuti come fratelli da Mycen, guerriero di mille battaglie, e legati da un sentimento fortissimo, sempre a cavallo tra l’amore fraterno e qualcosa di più romantico. Due sono anche i regni in lotta, quello di Zofia, che è la terra natia dei due personaggi principali, e quello di Rigel, che invade le terre confinanti in barba ad un patto di non belligeranza in essere da secoli; due, infine, sono anche le divinità fondanti dei regni in guerra, ognuna delle quali ha impartito ai propri figli un modus vivendi ben preciso: Mila, dea protettrice di Zofia, tende verso il bello, il superfluo, la pace ad ogni costo, soffermandosi sui piaceri della vita, laddove suo fratello Duma, dio fondatore di Rigel, instilla nei suoi sottoposti una brama di potere, strutturando la società in rigide gerarchie militari. Entrambi i regni funzionerebbero sulla carta, se non fosse per l’elemento umano, che tende sempre al caos e all’eccesso: ecco, allora, che l’agio declina nella dissolutezza, il lusso nell’ozio e il rigore nell’aggressività.
L’accordo di non belligeranza, durato per secoli, ha fine quando le mire espansionistiche di Rigel, soppresse per millenni, riescono ad emergere nuovamente, spinte fuori dall’ombra da una forza oscura, che spinge gli umani a tradire, mentire, colpire alle spalle, dando sfogo al lato peggiore della loro natura.
Il tono è assai più greve rispetto al recente passato, e le lotte di classe, a partire dalla differenza di rango sociale che divide i due eroi, rivestono un ruolo affatto secondario: i primi episodi del franchise, d’altronde, si rifacevano espressamente al medioevo europeo, calcando la mano su aspetti quali il valore dell’onore, la ribellione popolare, il disprezzo dei nobili nei confronti della cosiddetta plebe.
Non siamo ai livelli di Tactics Ogre Let us Cling Together o di Final Fantasy Tactics, beninteso, ma Fire Emblem Echoes eccelle nel raccontare, su due binari paralleli, la storia personale di due ragazzi e quella di due regni, con tutte le vite dei loro abitanti in ballo. Alm è impulsivo, persegue sempre la giustizia e non ha paura di sporcarsi le mani nel farlo, mentre Celica, che pure condivide la visione del mondo del suo amico fraterno, non intende spargere sangue inutile, tenendo viva l’utopica fiammella di poter accontentare tutti: ognuno percorrerà la sua strada, vivendo le vicende di Echoes secondo la sua bussola morale, e proprio questa coerenza dei personaggi li rende umani, tangibili, empatici. A fronte di un ottimo doppiaggio inglese, con un cast di voci azzeccato e in linea con il tono delle vicende, abbiamo riscontrato una sottotitolazione italiana meno curata di altre volte, con qualche licenza di troppo e alcuni dialoghi resi in maniera alquanto discutibile, cosa che comunque non sottrae più di tanto alla godibilità dell’arco narrativo del titolo.
Una strada diversa
Fire Emblem Echoes è come un’autovettura con il motore modificato ma con la carrozzeria di serie: i cambiamenti sono numerosi, e vanno ad impattare in maniera considerevole sul gameplay, eppure la struttura generale da strategico a turni è rimasta sorprendentemente invariata nella sua qualità e nel livello di profondità tattica, che invece, durante le prime ore di gioco sembrava un po’ sacrificato. Queste prime impressioni derivavano perlopiù dall’assenza di negozi dove acquistare armi ed oggetti, che restituiva la spiacevole sensazione che la personalizzazione dei personaggi fosse stata annacquata rispetto ai canoni della serie: niente di più sbagliato, invece, perché, come per altri elementi del suo gameplay, Fire Emblem Echoes giunge agli stessi risultati dei suoi predecessori più illustri semplicemente percorrendo strade differenti. Le armi, ad esempio, vengono rinvenute nelle location ed in numero molto ridotto, ma ognuna porta in dote almeno un paio di abilità speciali, che possono essere imparate dal personaggio che le brandisce e, elemento non secondario, non sono più soggette ad usura, come quelle speciali nei capitoli precedenti. Questa modifica, se aggiunta all’abbandono dello storico triangolo delle armi, ha un peso notevole nell’economia del gameplay: il giocatore è spinto ad osare, abbandonando, in certi frangenti, la condotta difensiva che da sempre caratterizza le partite a Fire Emblem, motivata dalla spada di Damocle della morte permanente dei personaggi, e, cosa ancora più importante, adesso quasi tutte le unità si rivelano veramente utili durante la pugna.
Senza il triangolo delle armi a dettare legge, infatti, portare uno spadaccino al cospetto di un  fantino non significa necessariamente mandarlo al macello, ma la risultante dello scontro tra i due sarà data dalla differenza nel potere d’attacco e di difesa, da valori come l’elusione e la probabilità di colpo critico, che in passato venivano spesso messi in secondo piano dal sistema carta-forbici-sasso. Se non si agisce sconsideratamente, in Fire Emblem Echoes si può costruire un esercito di grande potenza, con combattenti in grado di destreggiarsi in molti frangenti, senza bisogno di allontanare dalla mischia le unità più deboli e chiamarle in causa solamente per sferrare il colpo di grazia (un classico della saga). I puristi della serie probabilmente inorridiranno, ed in effetti le prime schermaglie lasciano spaesati anche i veterani, ma ci si abitua presto, e la possibilità di muovere liberamente un cavaliere corazzato anche in presenza di maghi (per non parlare delle unità volanti in barba agli arcieri) rende il gioco più equo, senza spiacevoli episodi derivati dai famigerati, e frustranti, colpi one-shot. Un’altra modifica non da poco, che rende giustizia a tutte le unità magiche, spesso bistrattate nella serie regolare, deriva dal fatto che gli incantesimi, tanto curativi quanto d’attacco, consumino punti vita per essere castati, in proporzione alla forza dell’incantamento: se, da un lato, questa meccanica espone ulteriormente le unità al rischio di essere annientate, dall’altro premia i giocatori che sapranno ottimizzarne il posizionamento e metterle al riparo, sfruttandone il potere magico per infliggere danni ingenti.
Last but not least, la presenza di dungeon liberamente esplorabili in terza persona, all’interno dei quali i nemici respawnano ad intervalli regolari, consentendo così un po’ di grinding extra, aiutano a variare la formula di gioco, spezzando il ritmo degli scontri ed il continuo alternarsi di fasi dialogiche e combattimenti su griglia. Certo, avremmo gradito un design più raffinato e nemici più variegati, ma l’idea di fondo funziona, per quanto sia migliorabile l’esecuzione. Non tutti i cambiamenti apportati ci sono piaciuti, beninteso, altrimenti il voto, già ottimo, sarebbe stato eccellente: l’introduzione della ruota di Mila, che consente di riavvolgere il tempo per un certo numero di volte per un numero indefinito di turni, se, da un lato, consente di non dover ripetere un intero stage per un inatteso colpo critico di un avversario, dall’altro toglie tensione agli scontri, perché la paura di perdere per sempre una o più unità scema inesorabilmente. Peraltro, dopo solo una decina di ore di gioco, si saranno rinvenuti sufficienti ingranaggi per riavvolgere il tempo fino a sei o sette volte per mappa, che sono onestamente troppe anche per gli scontri più impegnativi. Anche le fasi simil-avventura punta e clicca, in cui spostare un cursore sullo schermo alla ricerca di oggetti ed armi nascoste nello scenario ci hanno convinto poco: stonano in un contesto completamente differente e fanno rimpiangere le care vecchie botteghe dove fare shopping prima di una battaglia. Menzione finale per le mappe, decisamente più lineari di quelle viste in Fates: qui il quarto di secolo del prodotto originale si vede tutto, ed il team di sviluppo ha deciso di preservare la gran parte di esse, modificandone una manciata ma lasciando da parte le piattaforme semoventi, le pozze velenose e le sperimentazioni degli ultimi episodi.
Splendido splendente
Il comparto tecnico e quello artistico dell’ultima fatica di Intelligent Systems ci hanno letteralmente conquistato, senza troppi giri di parole: costruendo sulle solidissime basi poste dai due episodi già pubblicati su 3DS, il team di sviluppo giapponese ha realizzato uno dei prodotti visivamente più intriganti della ricchissima libreria delle console portatili della grande N.
Se il motore grafico e la costruzione poligonale richiamano l’episodio uscito dodici mesi or sono, la direzione artistica rispecchia il tono greve della storia, virando su colori più smorti e su un character design meno appariscente, più vicino alla cupezza di Conquest che ai pastelli di Retaggio. Le scene animate, non troppo frequenti ma di qualità eccelsa, sono firmate dallo Studio Khara, già noto al grande pubblico per l’ottimo lavoro svolto con i lungometraggi di Evangelion e di Wolf Children e con la serie animata per la tv di Persona 4: sin dalla sequenza di apertura, Fire Emblem Echoes setta standard qualitativi elevati, impensabili fino a qualche anno fa, quando la serie rappresentava una voce in perdita per le finanze di Nintendo.
Chiude il cerchio una meravigliosa colonna sonora, che proviene da uno degli artisti di quella di Fates, ovvero Takeru Kanazaki, che riesce a non far sentire la mancanza di Hinoki Morishita, storico compositore della serie, impegnato con la colonna sonora di Fire Emblem Heroes: molte delle tracce rimarranno con voi anche a console spenta, e non possiamo che consigliare l’acquisto della Special Edition (che abbiamo utilizzato, non a caso, come cover del titolo) che comprende anche un CD dedicato alle musiche.

Meccaniche di gioco rodate e divertenti

Una ventata di aria fresca per la serie

L’eliminazione del triangolo delle armi apre a nuovi scenari ludici

Valori produttivi al top per 3DS

Fasi punta e clicca blande

Map design meno articolato che in passato

8.5

Come una strada di montagna che si inerpica su vette poco battute ma giunge nondimeno alla stessa destinazione dell’autostrada asfaltata a valle, Fire Emblem Echoes giunge al medesimo, ambizioso traguardo dei suoi predecessori, offrendo un’esperienza ruolistico/strategica di primo piano, ma lo fa percorrendo sentieri in parte nuovi, offrendo scenari alternativi per una serie che potrebbe necessitare di una ventata di aria fresca visto che Nintendo sembra intenzionata a sfruttarla a pieno, dopo anni di incertezze. Non manca qualche inciampo, dall’alleggerimento del livello di sfida complessivo alla sbavatura delle fasi punta e clicca, ma in quest’ultimo capitolo ci sono tantissime idee che ci piacerebbe rivedere negli episodi futuri del franchise, su tutte l’abolizione del triangolo delle armi e l’inedita gestione degli incantesimi. Curioso che, per trovare sentieri nuovi, il team di sviluppo abbia dovuto volgere lo sguardo al passato, ma se il risultato è comunque un titolo di questa qualità, ben vengano le operazioni di recupero.

Voto Recensione di Fire Emblem Echoes Shadows of Valentia - Recensione


8.5