Recensione

Tetrobot and Co.

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a cura di Aeffe87

Chi è solito spulciare i commenti dei lettori all’interno dei siti specializzati in materia videoludica non può negare come i puzzle game, se relazionati ad altri generi attualmente sul mercato, abbiano subìto un ragguardevole calo d’interesse nell’utenza core da diversi anni a questa parte. Assegnare motivazioni incontrovertibili a fenomeni di questo tipo è sempre compito improbo, ma è chiaro come, nel caso specifico, l’ascesa del mobile gaming abbia avuto un ruolo preciso nel graduale processo di svalutazione. Che la bassa unità minima di gioco richiesta da gran parte delle sfide di ragionamento ben si presti alle modalità di fruizione di smartphone e tablet è questione assodata, così com’è in egual modo evidente come tanti rompicapo digitali realizzati per tali device – e non solo – siano poco più che riflessi sbiaditi di vecchie glorie del passato, spesse volte martoriati da una qualità complessiva alquanto infima. Spiccare il volo da un tale coacervo di mediocrità non è affatto facile, ma, come spesso accade, in anni recenti non sono mancate produzioni in grado di ricordare ai giocatori che fare di tutta l’erba un fascio equivalga a peccare di un po’ troppa superficialità. Una di queste è sicuramente Tetrobot and Co., seguito diretto del puzzle/platformer Blocks That Matter ad opera del team francese Swing Swing Submarine, fattosi apprezzare su Steam nel 2013 per aver proposto una struttura a livelli medio-brevi tipicamente da gioco mobile, abbinata però a competizioni logiche di spessore nonché estremamente appaganti. Il recente port per l’eShop di Wii U ci ha dato modo di rispolverare questo titolo forse passato un po’ troppo in sordina nel generale marasma dell’underground indipendente. In questo scritto partiremo dal già noto, per infine analizzare in che misura la versione per home console Nintendo sia meritevole di una valutazione d’acquisto. Bentornati – o benvenuti – all’interno di Tetrobot: attivate i neuroni, ce ne sarà bisogno.

Matrioske ciberneticheI giocatori di Blocks That Matter non faticheranno di certo a ricordare i Tetrobot, robottini scavatori dalla forma “a lavatrice” dotati di un oculare esattamente al centro del volto. Caso vuole che, forse a causa degli sforzi compiuti nel corso della precedente avventura, i piccoletti si trovino ora in uno stato di malfunzionamento, probabilmente dovuto a un qualche danno interno al sistema. E non soltanto loro: tutte le varianti del Tetrobot principale paiono avere problemi nell’attivarsi correttamente, e necessitano quindi di pronto intervento. Maya, appassionata di meccanica e neodirettrice della Tetrobot Company, ha appena terminato di assemblare il prototipo di Psychobot, microscopica unità di riparazione fluttuante che esteticamente ricorda alla lontana Wheatley di Portal 2, il cui scopo è di sistemare il suo fratello maggiore tramite inserimento nei suoi circuiti danneggiati. La trama alla base di Tetrobot and Co. è più che altro un canovaccio, che si ampia leggermente con l’avanzare del gioco pur rimanendo sempre piuttosto esile, il cui unico obiettivo è quello d’approfondire alcuni personaggi e accadimenti tratteggiati nel precedente capitolo. La buona notizia è che la storia, seppur ricca di rimandi al passato, non è assolutamente in grado di precludere l’esperienza ai novizi del brand, in quanto davvero poco rilevante e oscurata totalmente dalla centralità del gameplay, fulcro incontrastato dell’intera esperienza.Priva di tutorial approfonditi, la produzione Swing Swing Submarine getta il giocatore direttamente nelle interiora cibernetiche di Tetrobot e dei suoi derivati, ciascuno ospitante un mondo di gioco suddiviso a sua volta in sei stage, più di cinquanta in totale. Ogni livello comprende porzioni di scenario a inquadratura fissa collegate tra loro da tubature, che Psychobot deve percorrere fino all’uscita, previa però la ricerca di fino a tre frammenti di speciali unità di memoria dorate, da accumulare di livello in livello in quantità sufficiente per sbloccare i mondi successivi. Come in ogni puzzle game ambientale che si rispetti, il giocatore è chiamato a intervenire modificando il percorso a uso e consumo del proprio avatar; per farlo, i developer hanno disseminato in ciascun quadro un determinato numero di blocchi, che Psychobot è in grado d’inglobare nel proprio occhio meccanico per poi eiettarli orizzontalmente, in linea retta. La particolarità, come ben sa chi ricorda Blocks That Matter, è che tali cubi differiscono tra loro per materiale di fabbricazione; come diretta conseguenza, diventa necessario comprendere in che modo essi reagiscono se affiancati l’un l’altro e, soprattutto, quando entrano in contatto con l’ambiente circostante. Per fare alcuni esempi, i blocchi di legno bruciano istantaneamente se sfiorati da una fonte infuocata, quelli di sabbia mutano in vetro oltrepassando fasci laser, quelli di metallo accumulano tensione se prossimi a barriere elettrificate, e così via. Anche in questo caso, gli usi specifici di ciascuna tipologia non vengono mai esplicati dal software di propria sponte, ma viene lasciato al gamer il piacere di sperimentarne gli effetti sul campo o di scovarli consultando Faceblox, parodia del famoso social network nel quale i commenti postati dai cubetti fungono da suggerimenti più o meno espliciti.

Challenges That MatterCome qualcuno potrebbe giustamente far notare, le meccaniche appena descritte non basterebbero da sole a elevare il titolo dalla norma del genere se alla base non ci fosse un valido design dei puzzle. È proprio sotto questo aspetto che la produzione tira fuori gli artigli, sfoderando sfide di logica che si dimostrano da subito concrete e intriganti per una motivazione sostanziale, strettamente collegata al sapiente lavoro di level design portato a compimento dal team di sviluppo francese. In prima battuta, ogni stage non è affatto da intendersi come mero contenitore di quadri dalla risoluzione a sé stante, ma necessita invece di una certa visione d’insieme. Non di rado è utile avanzare nel percorso al fine di recuperare blocchi essenziali per il completamento di enigmi lasciati precedentemente in sospeso; un certo grado di backtracking è di fatto insito nell’esperienza, non soltanto appannaggio esclusivo dei completisti, ma spesse volte obbligatorio anche soltanto per giungere all’uscita dello scenario. La pratica non risulta molesta poiché abbinata a rompicapo intelligenti, basati non soltanto sul corretto utilizzo e abbinamento dei blocchi, ma altresì sul posizionamento di Psychobot rispetto agli elementi in scena nonché sul tempismo con cui il giocatore ne innesca gli input. Tra congegni elettrici, portali di teletrasporto, cannoni rotabili, barriere automatiche e mostriciattoli appiccicaticci, intuire il giusto impiego dei blocchi a disposizione diventa impresa non banale, specie perché l’esatta soluzione è spesso univoca e richiede una spremitura di meningi considerevole. Se è vero che ricorrere al trial & error può sembrare alle volte operazione allettante, è ugualmente lecito affermare che il software tenti di scoraggiare tale pratica a beneficio dell’uso dell’intelletto e del pensiero laterale, e lo fa anzitutto negando un vero e proprio game over, per cui il giocatore ha la possibilità di tornare sui propri passi in qualsiasi momento grazie a un comodissimo comando di undo. Ulteriore vanto del prodotto Swing Swing Submarine è l’ottimo bilanciamento della competizione proposta. Caratterizzato da una curva di difficoltà in crescita progressiva, che mai s’impenna in modo repentino, l’in-game di Tetrobot and Co. cresce insieme alle abilità del gamer e lo accompagna in sfide di ragionamento sempre più impegnative, ma mai scorrette. Piccoli stratagemmi di puzzle design suggeriscono costantemente come la soluzione del problema sia in effetti sempre a portata di mano, motivo per cui il rischio di provare frustrazione è invero assai remoto. Ne consegue un’esperienza di gioco estremamente appagante, in grado di spingere l’utente al proprio massimo e infine gratificarlo per il risultato raggiunto.

Quel tocco in piùLa ciliegina su questa torta fatta di circuiti e cubetti spigolosi è senza dubbio il control system, il vero specifico della versione Nintendo rispetto alla controparte per computer da noi già analizzata lo scorso anno. Delle quattro opzioni disponibili – fruizione tramite funzionalità tattili, comandi analogici del Wii U GamePad, Wii U Pro Controller o Wiimote classico – è certamente la prima a spiccare sulle altre, mostrandosi più che consona alle dinamiche di gioco. Abbandonando totalmente le vesti platform di Blocks That Matter, il sequel getta Psychobot all’interno di una sorta di scacchiera virtuale, dove il robottino volante può spostarsi di una o più unità sia in orizzontale che in verticale. Trattandosi di azioni gestibili con un singolo input, è palese come, stilo alla mano, lo schermo touch del paddone divenga focolare perfetto per Tetrobot and Co. Con un semplice tap è possibile compiere tutto il necessario, dallo spostare istantaneamente il droide lungo il numero di caselle desiderato al fargli risucchiare i blocchi, per poi ancora espellersi verso la meta stabilita. Non solo: godersi l’avventura direttamente sullo schermo secondario, comodamente spaparanzati sul divano o sul letto, è un piacere che difficilmente il fruitore riuscirà a negarsi. Nonostante l’immediatezza donata dal touchscreen sia impagabile, è comunque indubbio che tale modalità di fruizione tenda ad eclissare totalmente quanto di buono il port abbia da offrire a monitor, in quanto la conversione è graficamente eccellente. È comunque un sacrificio più che accettabile: provare per credere.

– Sfide logiche molto varie e appaganti

– Design dei livelli realizzato con criterio

– Difficoltà ben bilanciata

– Perfetto per esser giocato sullo schermo tattile del Wii U GamePad

– Background narrativo piuttosto esile

– La comodità del touchscreen oscura completamente ogni altra modalità di fruizione

8.0

Chi è solito apprezzare il genere non dovrebbe per nessuna ragione trascurare la proposta digitale di Swing Swing Submarine. Pur non rinunciando a meccaniche squisitamente tradizionali, il gioco si fa carico di rompicapo degni di tale nome, che uniscono un level design studiato con criterio a una sfida eccezionalmente bilanciata. Soprattutto, il titolo intrattiene egregiamente poiché, pur non negando all’utente il piacere del ragionamento, non rinuncia a stuzzicarlo con indizi più o meno velati, senza però correre il rischio di mortificare il puzzle solving né d’incorrere in sgradita frustrazione. La natura tattile e semi-mobile del Wii U GamePad è semplicemente un plusvalore per l’esperienza, che permette al gamer di lambiccarsi il cervello in panciolle durante sessioni più o meno prolungate. Senza troppi giri di parole, Tetrobot and Co. non fatica a entrare di diritto tra le proposte puzzle ad oggi più interessanti dell’intera libreria digitale di casa Nintendo.

Voto Recensione di Tetrobot and Co. - Recensione


8