Anteprima

Tacoma

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a cura di Matteo Bussani

Durante una corsa e l’altra per i padiglioni della fiera losangelina, siamo riusciti a incastrare appuntamenti che dessero il giusto spazio a quelle produzioni indipendenti in grado di distinguersi dal mare magnum di titoli che popolano questo settore. Sebbene molte di esse rimangano per lo più ignote alla massa, altre, particolarmente ben riuscite, vengono notate da grossi publisher che le prendono sotto la propria ala protettrice e ne agevolano lo sviluppo in termini di risorse economiche e non: Tacoma dei Fullbright ne è un chiaro esempio. Ci siamo quindi recati al booth di Microsoft, nonostante qualche acciacco fisico, per non lasciarci sfuggire alcuna informazione dedicata al nuovo gioco degli sviluppatori di Gone Home che si preannuncia imperdibile per tutti coloro che amano le esperienze narrative dei piccoli team indipendenti. 
La narrativa al centro
Per mia personalissima opinione, mi ha sempre emozionato assistere alle presentazioni 1 a 1 tenute dagli ideatori di un videogioco e anche in questo caso non mi sono dovuto ricredere. È stato un piacere poter incontrare Steve Gaynor e Kate Craig, i fondatori di Fullbright, e notare il genuino entusiasmo di queste persone nel rispondere a me, giornalista interessato, che mi ero lanciato in considerazioni e domande. 
Esattamente come in Gone Home, con Tacoma saremo di fronte a un’esperienza videoludica fortemente narrativa che limita gli elementi del gameplay a poche e intuitive funzioni in grado di rendere interattivo il rapporto con il mondo di gioco. Tutto dovrà essere funzionale al racconto e ogni meccanica di gioco dovrà entrare nel quadro senza rovinare l’atmosfera o in qualche modo romperne il ritmo.
Alla domanda se la storia di Tacoma sia in qualche modo correlata alla loro precedente creazione, ci dicono che le due sono completamente separate fra loro, ma potrebbero benissimo appartenere allo stesso immaginario, o perlomeno loro l’hanno sempre immaginata così. 
Realtà aumentata e intelligenza artificiale: un futuro plausibile
C’era una volta una stazione spaziale commerciale, nata con lo scopo di scambiare materiali tra luna e terra; per il mantenimento di questa è stata formato un equipaggio di sei membri completamente sconosciuti fra loro, provenienti da varie realtà sociali e dalle diverse formazioni professionali. Chiaramente se le premesse finissero qui non ci sarebbe nulla da raccontare, motivo per cui ci è stato finalmente mostrato l’elemento di rottura da cui tutto ha avuto inizio: la stazione è stata pesantamente danneggiata al punto da dover evacuare l’equipaggio e la protagonista Amy Verrier verrà quindi mandata in loco per indagare sull’accaduto.
All’apparenza sembra la solita storia poco innovativa o interessante, e sono gli stessi sviluppatori a dircelo provocandoci un po’ per invitarci a chiedere in che cosa Tacoma, allora, sia effettivamente diverso dai giochi di esplorazione narrativa che popolano il mercato.Sulla stazione non troveremo nessuno se non l’intelligenza artificiale a guida di essa di nome Odin che, una volta sul posto e sbloccati i vari moduli di memoria, ci riproporrà le scene che hanno coinvolto l’equipaggio prima e dopo l’accaduto. Tutto sarà realizzato tramite ologrammi che si sovrapporrano agli ambienti come nella realtà aumentata; verremo dunque in possesso dei controlli per far andare avanti, riavvolgere e stoppare l’azione, potendo così riascoltare le parole dei singoli personaggi e studiarli come se fossimo il settimo elemento dell’equipaggio. Avremo accesso oltre a queste riprese anche a ogni singolo documento che loro stessi stavano studiando nel momento in cui la scena è stata registrata, con quella che gli sviluppatori chiamano multi-augmented-reality. Ovviamente non tutto filerà liscio e ci saranno alcuni dati corrotti e altre complicazioni che intricheranno la strada per la soluzione dell’enigma. 
Libertà totale a zero-g
A impreziosire la struttura della narrazione vi sarà la totale libertà nel gestire le varie fasi dell’indagine. Se saremo fortunati avremo modo di ascoltare subito le riprese con gli elementi utili alla comprensione della storia, mentre al contrario potrà capitare di fermarsi a cercare di carpire uno strascico di informazione anche dove esso non c’è. Il tutto poi è da associare a una progressione strutturata senza obiettivi; se per arrivare all’informazione “b” fosse logicamente necessaria “a”, ma per caso ci capitasse di scoprire comunque prima “b”, avanzeremmo nella storia anche senza aver mai trovato “a”.
Ci è stato poi mostrato un altro aspetto interessante riguardante stavolta l’esplorazione: durante la demo siamo passati da sezioni “zero-g” ad altre con gravità normale in maniera “flawless”, ovvero fluida e senza interruzioni. Questa soluzione oltre a cambiare in tempo reale l’esperienza di gioco è stata più volte ribadita dagli sviluppatori come un elemento centrale del titolo e siamo stati spinti a supporre che possa avere una funzione chiave anche per la comprensione della storia.

– Core concept interessante

– Completa libertà esplorativa

– Meccanica zero-g con probabili risvolti nella narrazione

Tacoma si mostra come un prodotto indipendente dalle ottime idee e un core-concept che potrebbe riuscire a far bissare ai Fullright il successo di Gone Home. La multi-augmented-reality sembra davvero un modo nuovo per veicolare storie diverse su più fronti paralleli fra loro e la libertà nella progressione della storia potrebbe eliminare quel senso di imposizione finora proprio di gran parte del genere. Il fatto poi di aver alle spalle un colosso come Microsoft a supportarne la produzione non può che far accrescere le speranze nei confronti di questo titolo, la cui uscita è prevista nella primavera 2017.