Recensione

Oreshika:Tainted Bloodlines

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

Giunto sullo store europeo senza clamore, con un battage pubblicitario minimo, figlio anche della distribuzione esclusivamente in digitale, <b si candida al ruolo di sorpresa finora più piacevole del 2015, quantomeno in ambito PSVita, proponendo un gameplay classico ma nondimeno ingegnoso ed assuefacente, che vi porterà via un monte ore insospettabile per una produzione di questa caratura, nonostante qualche difetto qua e là.Ansiosi di saperne di più? Continuate a leggere.

Tare geneticheLa storia dietro Oreshika è spinta da uno dei due motori più antichi, ovvero l’odio (l’altro, ovviamente è l’amore): l’odio ne genera altro, la violenza porta solo ad altra violenza, e il ciclo sembra non spezzarsi mai, nemmeno con la morte.Tutto inizia con il furto di cinque strumenti sacri, sottratti dalla custodia del clan cui erano stati affidati, che altro non è che quello che il giocatore sarà chiamato a rifondare: Abe no Seimei, perfido consigliere dell’Imperatore, ordina di passare a fil di spada tutti i componenti della casata, donne, anziani e bambini compresi, per lavare l’onta con fiumi di sangue.Come se ciò non fosse sufficiente, il fellone getta due maledizioni sulla famiglia: nonostante siano gli dei stessi a muoversi a compassione e a riportare in vita il clan trucidato, il peso di questi malefici continua a gravare sulle spalle dei suoi membri, costretti ad una vita assai breve (nell’ordine di un paio d’anni al massimo) e impossibilitati a generare figli con altri umani.Se alla prima maledizione non v’è soluzione, con i membri del nostro clan che moriranno, immancabilmente, tra i sedici e i ventiquattro mesi, si può aggirare la seconda unendo uomini e donne in età fertile con uno degli dei del Pantheon del Giappone feudale, popolato da divinità tra le più strambe e folkloristiche mai viste, da gatti antropomorfi a balene parlanti.Questo assicurerà una prosecuzione della razza aldilà della prematura morte dei membri della casata, con i tratti genetici, che nel gioco includono abilità e mosse speciali, tramandati di generazione in generazione, per la gioia dei darwinisti più convinti.La nemesi è sempre e comunque l’Abe No Seimei di cui sopra, e l’esercito di demoni (gli “oni”) che si frapporranno tra il nostro party e lo spregevole individuo.Nonostante premesse affascinanti e filmati di intermezzo di ottima fattura a punteggiare il prosieguo della storia, non è il comparto narrativo la punta di diamante della produzione Alfa System.

Che donnola!Più che un JRPG, a tratti Oreshika sembra un gestionale dei più complessi, in cui programmare a tavolino un piano d’azione utile a massimizzare lo scarso tempo a disposizione dei membri del nostro party: unirsi ad una divinità per generare un erede consuma unità di tempo, tanto quanto l’esplorazione dei dungeon, con il risultato che gli anni, suddivisi in mesi, scivolano via senza nemmeno accorgersene.Ad aiutarci nella gestione del tempo e delle risorse a nostra disposizione ci sarà Kochin, donnola antropomorfa che, sporadicamente, saprà rendersi utile anche in battaglia: i giocatori più pigri, o messi in difficoltà dalle sfaccettate dinamiche di gioco di Oreshika, potranno demandare a lei la gestione delle scorribande e quella degli accoppiamenti, che rappresentano, di fatto, il cardine dell’esperienza di gioco.Per potenziare il nostro gruppo di combattenti, selezionabile tra un massimo di sei unità (con quattro schierabili in battaglia e due di riserva), sarà necessario avventurarsi in una serie di dungeon a difficoltà crescente, dalla struttura labirintica ma ahinoi poco ispirata: punteggiati da un buon numero di nemici ad alto tasso di respawn, i cunicoli dei dungeon si somigliano fin troppo l’un l’altro, generando confusione nel giocatore e rendendo inutilmente lunghi compiti altrimenti basilari.Entrando in contatto con le sagome dei nemici ben visibili a schermo, il gioco sposta la visuale e si attiene in maniera piuttosto rigida ai canoni dei giochi di ruolo di matrice nipponica, con un combat system a turni che non rischia mai, sacrificando ogni parvenza di novità sull’altare della solidità e della riconoscibilità da parte degli appassionati di JRPG.Sia il nostro party che i nemici sono schierati su due linee, con l’impossibilità di attaccare la retroguardia se prima non si è avuta la meglio sulla prima linea, e le classi tra cui scegliere sono grossomodo quelle già viste in altre centinaia di produzioni, dallo spadaccino, letale nell’uno contro, all’uno all’alabardiere, capace di colpire un’intera linea di nemici ma dal potere di attacco decisamente inferiore.Prima di dare inizio alle danze, a schermo viene visualizzata una sorta di roulette, sottesa all’unica decisione di un certo peso che il giocatore sarà chiamato a prendere: attaccare il solo leader ed ottenere gli oggetti scaturiti dalla roulette, sacrificando l’esperienza che si guadagnerebbe dall’uccidere tutti i membri del party nemico, o fare un massacro con il rischio che il leader fugga, portando con sé gli oggetti di cui sopra?In realtà la risposta è abbastanza semplice: dinanzi ad un buon loot (alquanto raro, invero), varrà sempre la pena sbarazzarsi del solo leader nemico, mentre in tutte le altre circostanze fanno decisamente comodo i punti esperienza e la quantità di “fede” utile a potersi unire con divinità sempre più potenti.Se la classicità delle meccaniche di gioco infonde solidità e godibilità al gameplay, è pur vero che il team di sviluppo sembra aver avuto paura di osare, proponendo soluzioni già viste piuttosto che provare a cimentarsi con qualcosa di nuovo, e, visti i risultati, è davvero un peccato.

Arte dal Giappone feudaleSolo applausi, invece, per la peculiare caratterizzazione dei personaggi e del mondo di gioco, che sembrano trasposti direttamente da una di quelle splendide pitture medievali nipponiche sullo schermo OLED di PsVita: i colori, le pennellate, i tratti dei disegni, ogni cosa è al suo posto ed eccelle nel ricreare la sensazione di stare vivendo davvero all’interno di un dipinto.L’unica produzione per la console portatile di Sony che si avvicina per stile a quanto Oreshika mette in campo è l’eccellente Muramasa Rebirth, e in entrambi i casi si balla sul confine tra videogioco ed opera d’arte.Stessa falsariga anche per il comparto audio, che rievoca le sonorità e i ritmi di uno dei momenti più affascinanti della storia giapponese, e reclama a gran voce un buon paio di cuffie per essere goduto fino in fondo.Che dire della longevità? Ad inizio partita, al giocatore viene concesso di scegliere quanto rapidamente vuole che scorra il tempo, e quanta esperienza debbano rilasciare i nemici uccisi, in modo da dilatare la durata del titolo da un minimo di trenta ore ad un massimo di oltre cento: niente male per un titolo per console portatile, venduto solo in digitale e a meno di 20 euro.</b

– Direzione artistica ispiratissima

– Profondo e complesso…

– Decine di ore di gioco a meno di venti euro

– Propone spesso soluzioni già viste

– …a volte anche troppo

7.5

Se i ragazzi di Alfa System avessero mostrato un pizzico di coraggio in più, probabilmente staremmo parlando di uno dei JRPG migliori in assoluto nella nutrita libreria di PSVita, soprattutto grazie ad un design artistico meraviglioso e a meccaniche di gioco di grande profondità.

Invece, nel suo battere strade già ben note, Oreshika: Tainted Bloodlines perde un po’ di smalto, rimanendo comunque un prodotto consigliato a tutti gli appassionati di giochi di ruolo e a quanti cercano un titolo nel quale investire decine e decine di ore, peraltro a fronte di un esborso minimo.

Voto Recensione di Oreshika:Tainted Bloodlines - Recensione


7.5