Elden Ring è bellissimo, ma mi piace ancora Bloodborne

Elden Ring è un kolossal e non si discute, ma che succede quando cuore e testa non vanno d’accordo?

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Elden Ring è uscito a inizio 2022, e da allora mi sono preso il mio tempo per giocarlo. Mesi spesi nell’Interregno, in compagnia di una vecchia armatura e del paziente ronzino Torrente.

L’ultima opera di Hidetaka Miyazaki scritta a quattro mani con George R.R. Martin per me ha travalicato l’intrattenimento per divenire un’esperienza totalizzante come poche altre cose nel corso di 25 anni di gaming (se interessati, trovate Elden Ring su Amazon).

Eppure, anche dopo due personaggi e più di cento ore, l’unica cosa che continua a venirmi di fare è rimettere su Bloodborne. Perché? Passato l’iniziale straniamento, mi sono messo a indagare.

Elden Ring e Bloodborne: tra ispirazione e tributi

Partiamo dalla considerazione più banale ma anche necessaria: Elden Ring e Bloodborne sono fratelli. Questa loro natura va però oltre l’ovvietà di provenire dal medesimo studio e dall’avere la medesima regia (Hidetaka Miyazaki): sono fratelli prima di tutto per le premesse e per i concetti sottesi agli avvenimenti rappresentati.

Uno dei contatti più palesi è l’elemento sovrannaturale, imperscrutabile e di provenienza extra-terrestre. Che si chiamino Divinità Esterne, Volontà Superiore (Elden Ring) o Grandi Esseri (Bloodborne) il loro interesse è il medesimo: manipolare le specie a loro inferiori per scopi non meglio chiariti.

La loro presenza sottesa ma onnipotente influenza la storia, le facoltà e la filosofia degli umani, che si beano dei loro doni ma si interrogano sul perché siano stati loro concessi. Un lambiccarsi inutile in quanto giungere alla Verità potrebbe solo generare altre domande o, nei casi peggiori, portare a follia e morte.

Così descritta sembra che le premesse di Bloodborne ed Elden Ring si assomiglino fin troppo e che George R. R. Martin (il creatore de Il Trono di Spade che ha co-sceneggiato Elden Ring) si sia semplicemente limitato a copiare.

In realtà è qualcosa di più profondo, in quanto sia Miyazaki che Martin hanno un’ispiratore comune: Howard Phillips Lovecraft, il grande scrittore che, oltre a essere uno degli innovatori del genere horror (tanto da essere fondatore unico di un suo sottogenere, chiamato appunto “horror lovecraftiano”), ha riflettuto anche sulla mente umana e i suoi misteri, dalla razionalità alle emozioni, fino alla paura e alla malattia.

Proprio da lui i due autori hanno ripreso l’idea degli esseri superiori grandi, terribili e imperscrutabili, nonché il loro provenire dallo spazio profondo.

Miyazaki nel 2015 ha fatto nascere Bloodborne incrociando Lovecraft con la letteratura gotica e vampiresca, mentre Martin ha più volte ammesso che Lovecraft è stata la sua principale ispirazione letteraria a pari merito con J.R.R. Tolkien.

Proprio da quest’ultimo Martin ha poi pensato le premesse di Elden Ring, le quali a conti fatti non sono altro che il ribaltamento di quelle de Il Signore degli Anelli: dove l’avventura di Frodo ruotava intorno alla distruzione dell’Unico Anello, Elden Ring ha come incipit la frantumazione dell’Anello Ancestrale e la conseguente missione per ricomporlo.

Tra continente e città… vince la seconda?

Se vogliamo costringerci a un confronto tra fratelli, i primi argomenti sono ambientazione e progressione. La risoluzione è all’apparenza abbastanza impietosa, con il sistema che è lo stesso tra i due videogiochi e l’immenso Interregno di Elden Ring che vince a mani bassissime sulla minuscola città di Yharnam.

Ma ragionare così significherebbe farsi abbindolare da un paragone improprio, che non vede che in realtà parliamo di due formule simili ma non identiche.

Il sistema punitivo, l’enfasi quasi totale sui combattimenti e la profondità dell’esplorazione sono comuni, ma l’uno è un’ambientazione aperta e ramificata, l’altra si costruisce in una struttura a cerchi concentrici.

Elden Ring punta alla libertà esasperata, Bloodborne a un percorso più concreto e diretto, dove le attività collaterali (i Calici) sono veramente facoltativi. Elden Ring è un discorso magniloquente dove un intero continente reagisce alle sollecitazioni del giocatore; Bloodborne trova invece realizzazione nella delicata costruzione urbana, oltretutto con la doppia difficoltà dell’ambiente sia compresso che autolimitato dal vittoriano-steampunk.

Un ambiente che, proprio in virtù della sua piccolezza, fa in modo che ogni cambiamento che il giocatore vi apporta (dallo sconfiggere un boss al raccogliere un oggetto) appaia come monumentale, dove invece Elden Ring procede per accumulo. A voler spaccare il capello comunque uno dei difetti riconosciuti di Elden Ring è stata la poca varietà ambientale dei dungeon opzionali, mentre i Calici di Bloodborne erano stati visti come fin troppo velleitari.

Le righe precedenti potrebbero far sperare in un qualche collegamento tra Elden Ring e Bloodborne, o quantomeno che i due siano ambientati nel medesimo pianeta con qualche secolo di distanza l’uno dall’altro; per quanto affascinante, è un’ipotesi senza fondamenta.

Bloodborne ha infatti evidenti indizi che lo collocano in una versione alternativa del nostro pianeta Terra, non presenti in Elden Ring. In questo senso (e ne abbiamo già parlato) gli elementi finora presenti rendono più plausibile una coesistenza di Bloodborne con Sekiro: Shadows Die Twice (e, se ve lo siete perso, trovate anche lui su Amazon).

Ho studiato da Arthur di Ghosts’n Goblins

Seconda questione, ovvero la difficoltà. Anche in questo caso il paragone è difficile: è abbastanza assodato che nessuno dei due si può arrogare il diritto di “videogioco più difficile della Fromsoftware moderna” (ecco la loro storia); se vogliamo quella è una disputa attualmente in corso tra Demon’s Souls e Sekiro: Shadows Die Twice.

Elden Ring e Bloodborne si confrontano nella varietà di approcci, in quanto il Senzaluce di Elden Ring fa i conti con una varietà che sfocia nell’ipertrofico, mentre il Cacciatore di Bloodborne si limita volutamente nei combattimenti per costruirsi sull’agilità e la leggibilità. Fattori che invece Elden Ring si strappa via, costruendo minacce (grandi e piccole) con movenze e attacchi vari, prolungati e pericolosi. Catene di mosse faticose ma sfidanti, che un veterano di Bloodborne potrebbe trovare troppo aleatorie o che incoraggiano a un azzardo eccessivo.

Di nuovo Bloodborne ruotava intorno a un concept più concreto e diretto, che limasse gli spigoli del primo Dark Souls e costruisse un’esperienza Soulslike che fosse il più "letteraria" possibile, passante per un design certosino e scritto da plurime penne: il team di design di Bloodborne accredita ben 22 persone più il lead Kazuhiro Hamatani (poi co-regista di Sekiro).

Guardando quanto scoperto dai giocatori, specialmente nelle secondarie Elden Ring “gioca” con il suo stesso design, tra trappole di trasferimento ed eventi inaspettati, nascosti o cavillosi. E qui possiamo solo spezzare una lancia a suo favore, riconoscendone il ruolo rivoluzionario nell’attuale settore videoludico.

Il suo sconvolgimento è stato soprattutto strutturale: come faceva Michelangelo, Elden Ring ha innovato i mondi aperti non aggiungendo, bensì togliendo, in modo da far emergere le radici e i fattori originari che si celano dietro a una struttura ormai abusata come quella dell’open-world.

Elden Ring e Bloodborne: tra kolossal e astrattismo

Continuando per questa china, l’altra differenza tra Elden Ring e Bloodborne da evidenziare sta nelle premesse. È vero che entrambi sono figli del primo Dark Souls e del suo impatto nel settore (tra l’altro ancora non esauritosi dopo oltre 10 anni); la differenza sta nella mediazione.

Elden Ring infatti è profondamente debitore di Dark Souls III e di continuo cerca di raccogliere, mettere in ordine e reinventare quanto fatto da quest’ultimo. Un debito così grande che, all’inizio, fu confuso da molti per un riciclo spudorato di asset e animazioni (ignorando che FromSoftware ha sempre fatto così). Non è un caso che a co-dirigere Elden Ring ci sia Yui Tanimura, che in affiancamento a Miyazaki era a capo proprio di Dark Souls III.

Tralasciamo l’ennesima polemica-sogno che dice «Elden Ring è tutto quello che Dark Souls III doveva essere e che non è stato». La differenza qui sta nel fatto che per Bloodborne il buon Miyazaki non ha avuto alcun co-regista.

Volendo questo può spiegare anche altri fattori ai tempi polemici, come la durata sensibilmente inferiore di Bloodborne o lo stacco fin troppo netto tra Yharnam e i dungeon dei Calici.

Ma con Bloodborne Miyazaki, per l’ultima volta nella sua carriera, ha potuto portare avanti integralmente la sua visione.

Bloodborne così ribadisce la sua natura più riservata e intima, fondamento che si riverbera anche filosoficamente: Elden Ring presenta retroterra e storyline molto comprensibili (per la media From); Bloodborne ha sì ancoraggi concreti e ricostruibili, ma su tante cose la storia di Yharnam e i motivi dell’agire del Cacciatore rimangono irrisolti e misteriosi, e per questo incredibilmente affascinanti.

Conclusione: Siamo Senzaluce o Cacciatori?

Quindi, se Elden Ring è bellissimo, perché per molti (me compreso) è ancora inferiore a Bloodborne? Abbiamo visto che non è solo una questione di cuore: parliamo di due discorsi diversi, i cui elementi di comunanza provengono sia dalle opere precedenti che dal provenire dal medesimo autore.

La discriminazione viene da altre parti, in quanto uno è una grande epopea, l’altro un racconto più crudo e psicologico, che porta a riflettere su ambizione, conoscenza e cupidigia.

Elden Ring ha avuto una meritata acclamazione per la sua volontà di innovare un game design vecchio ma geniale (quello dei Souls) e rimettere in riga un genere ormai abusato (l’open-world virtuale).

Una profondità che ancora a mesi dalla pubblicazione fa andare a fuoco le teste di tutti coloro che ne entrano in contatto con lui, dimostrando che si può diventare popolari senza rinunciare alla propria personalità.

Dal canto suo, Bloodborne è invece l’ultimo prodotto della FromSoftware “delle origini”, quella artigianale non per scelta ma per necessità, con sotto la sedia la carica di innovazione e al timone una regia solitaria.

Un intelligente fervore che lo fa ancora rilucere di buio anche dopo più di un lustro: senza nulla togliere al fascino immortale del fantasy medievale, Bloodborne è ancora su un altro pianeta anche per gli standard di FromSoftware.

Se, pure dopo essere arrivati in fondo a questo articolo, vorrete ancora scegliere tra i due, allora ricordate che dovrete essere sia razionali che irrazionali, perché dove non arriva l’uno arriva l’altro e viceversa. E che dovrete a tutti i costi evitare l’errore stupido di dire che chi non sceglie come voi non capisce niente.

Oltre al fatto che non abbiamo bisogno di altro odio, dimostrereste di non aver capito il vero messaggio dei Soulslike: siamo speranze travestite da nichilismo. E che non importa quanto la situazione sia irrecuperabile, ogni minima buona azione conta.