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Uscito ormai nel lontano 2009 su PS3, l’originale Demon’s Souls rappresenta un gustoso viaggio nel passato che si pone, ancora oggi, come tappa obbligata per chiunque voglia saggiare il capostipite di quella formula che, ad oggi, all’unanimità compendia molte delle caratteristiche del fortunato sottogenere degli action-rpg noto sotto il nome di soulslike caratterizzato peculiarmente da una cripticità ermetica immanente che attraversa tutta la lore del gioco e le brutali meccaniche.
Ermetica, scoperta ed interpretazione
Un tempo, il grande regno di Boletaria godeva del pregio dovuto alla dedizione di Re Allant che aveva trovato il modo di incanalare il potere delle anime. Un giorno, il Re risvegliò l’Antico ed una nebbia fitta ed incolore coprì Boletaria facendola precipitare nel caos ed in preda al giogo dei demoni. Poche righe accompagnate da pannelli illustrati ci introducono ad un mondo in rovina pronto ad essere salvato, o condannato, dal classico personaggio anonimo tanto impavido da tentare l’impresa di una rischiosa missione. Dall’incipit in avanti, il gioco è a dir poco avaro di indizi, peraltro estremamente ermetici, che possano aiutare il giocatore nell’interpretare la lore. Si segnala che, pur non impegnandosi nella ricerca di tali dettagli, il gioco risulta estremamente godibile grazie al suo gameplay e la sua atmosfera suggestiva ed oscura.
Un piacere masochistico
Il titolo si caratterizza per un particolare, ma oramai familiare, gameplay loop. Si prova, si muore, si riprova, si apprende, si affina ed infine, si trionfa. A strutturare il tutto funge da nucleo una componente ruolistica che sostiene la crescita del personaggio, in grado di avanzare di livello in cambio di anime, apprendere tecniche magiche ed acquisire nuovi pezzi di equipaggiamento. La struttura da simil dungeon crawler getta le fondamenta per un’esplorazione profonda e accattivante che funge da perno finalizzato alla valorizzazione del brillante level design sempre foriero di scorciatoie, zone segrete e cosparso di trappole di ogni tipo. L’essenza dell’esperienza sta nelle meccaniche di gameplay legate al combat system. Esso risulta brutalmente impegnativo, appagante una volta perfezionate le manovre che portano a scoprire set di mosse caratteristiche per ogni tipo di arma e, nonostante ciò, facile da apprendere nonostante qualche scoglio iniziale costituito dall’esiguo tutorial. In termini di penalità, occorre ribadirlo, il gioco non perdona il benché minimo errore. Il personaggio è un composto di forma corporea ed anima, una volta persa la prima per via del game over, si sarà costretti a giocare in forma spirituale con una permanente decurtazione dei punti ferita (la vita) e si verrà privati delle anime accumulate fino alla morte. Ci si può riappropriare delle anime ritornando nel luogo ove si è morti e toccando la propria macchia di sangue. La forma corporea viene reintegrata sconfiggendo un boss o grazie ad oggetti speciali.

Un vecchio ricordo, l’online
Ad arricchire l’esperienza vi era, sino al 2018, una componente online estremamente originale. Si trattava di un sistema di multiplayer asincrono in cui era possibile lasciare e leggere messaggi d’avvertimento, utili a scongiurare pericoli, evocare NPC controllati da altri giocatori, invitandoli a partecipare ad una boss fight e, ancora, era possibile una modalità PvP in cui era possibile invadere la partita di altri giocatori allo scopo di sconfiggerli e depredarli, riacquisendo eventualmente, la forma corporea. Inutile dire che si trattava di una rivoluzione.
Impatto visivo
Visivamente il gioco oscilla tra il mediocre, per la gestione del frame rate e la conta poligonale di alcuni nemici ed il più che buono per la direzione artistica d’eccezione ed alcuni dettagli architettonici ed ambientali potenzialmente suggestivi in grado di trasmettere il senso dell’intera mappa e testimoni del lavoro certosino di From Software. Menzione di particolare encomio meritano i boss, tratteggiati in modo talora mostruoso e talora etereo.