Anteprima

White Day: A Labyrinth Named School, Primi spaventi tra i banchi di scuola coreani

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a cura di Sir Drake

Poche cose sono sicure nella vita: le tasse, la morte, la cacca di piccione sopra la macchina appena lavata e il terrore che serpeggia nelle scuole asiatiche al calar del sole. Se una cosa ci hanno insegnato infatti decenni di film horror, oltre alla grande scaltrezza del dividersi quando inseguiti da una misteriosa presenza, è che accedere di nascosto alle strutture scolastiche di Giappone e Corea in tarda nottata equivale al fare un picnic al chiaro di luna in un cimitero all’interno di un film di Romero.
Tuttavia, nonostante l’ormai ridondante cliché di tale ambientazione, bisogna ammettere che l’austero fascino dei licei asiatici è sempre di sicuro impatto.
Le premesse perché White Day: A Labyrinth Named School, potesse risultare quatomeno un solido survival dall’intrigante retrogusto orientale c’erano tutte, e un plauso va certamente ai ragazzi di Sonnori per aver “riesumato” questo piccolo blockbuster indipendente, diffusosi anni orsono sui pc di mezza Corea grazie alla pirateria, come per il peggiore degli snuff movie, diventando un popolarissimo fenomeno di costume condannato tuttavia (per ovvie ragioni) all’insuccesso commerciale.
La speranza era che questo remake da poco sbarcato su Ps4 potesse andare a riscattare le alterne fortune del titolo originale, ma come vedremo le nostre prime impressioni non sono poi così confortanti.
Horror di serie Z
Il primo impatto col gioco è devastante. No, non in senso positivo.
Ad un comparto grafico che definire mediocre è forse un eccessivo complimento, si accompagnano cut scene cancerogene e un abbozzo di trama che sa davvero di mero pretesto. 
Anche volendo considerare gli eventi mostrati in sede di introduzione come un divertente affronto agli stereotipi degli horror asiatici, è evidente come la scelta non si riveli affatto funzionale, lasciando il giocatore a dir poco stranito, confuso sulla valenza ironica o meno degli eventi narrati.
Per fortuna, le sensazioni migliorano non poco una volta preso il controllo del nostro protagonista, ed iniziata l’esplorazione della labirintica scuola.
Il level design, seppur non appaia troppo ispirato, lascia presagire comunque una discreta complessità degli ambienti, mentre la scuola seppur povera di poligoni e caratterizzata da texture non certo convincenti riesce in qualche modo a restituire lo stato di oppressione e continua tensione che gli sviluppatori volevano trasmettere al giocatore.
Tutto sommato ad un primo impatto le ambientazioni e l’atmosfera sembrano gli elementi più solidi dell’esperienza di gioco, come spesso avviene per titoli indie che non possono per la loro stessa natura fregiarsi di un comparto tecnico all’altezza.
Outlast Isolation
Se il comparto tecnico sembra decisamente imperfetto, mentre l’atmosfera risulta a tratti convincente, la sensazione è che sarà il gameplay a risultare l’effettivo ago della bilancia per la valutazione del titolo. White Day: A Labyrinth Named School da questo punto di vista ricorda da vicino survival di successo come Outlast e Alien Isolation, anche se è difficile considerarlo un prodotto derivativo vista l’età del titolo originale. 
Girovagando per i labirintici corridoi del nostro infausto liceo, già dalle prime ore di gioco i continui “jump scare” e sbalzi d’audio metteranno a dura prova le nostre coronarie, mentre la frustrazione sarà pronta a far capolino all’ennesima morte inattesa.
Rimandando il giudizio alla recensione finale, non si può far altro che suggerire ai nostri lettori di attendere tale verdetto prima di imbarcarsi in questa avventura (peraltro venduta non proprio a prezzo budget) visto che le avvisaglie di un gioco non troppo rifinito e largamente imperfetto ci sono tutte.
E questo è un vero peccato, sopratutto per chi come me non vedeva l’ora di visitare una classica scuola coreana, piena zeppa di ogni tipo di orrore.

– Atmosfera di sicuro impatto

– Elementi di contorno curati e intriganti

White Day: A Labytinth Named School è un titolo molto intrigante nelle premesse, ma che in sede di anteprima ci ha convinto solo in parte.

Tecnicamente non riesce a ben impressionare, mentre le atmosfere e gli elementi di contorno sembrano poter risollevare almeno in parte l’intera produzione.

Se questo survival horror coreano solleticava i vostri istinti più reconditi, il consiglio è quello di attendere la recensione finale per scoprire se valga davvero la pena investire non pochi euro su questo travagliato prodotto.

Le possibilità quantomeno di un titolo da “So Bad is So Good” ci sono tutte.