Un videogioco con ghiaccio, grazie - Puntata 2

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati a Un Videogioco con Ghiaccio, l’appuntamento settimanale per parlare di videogiochi da scoprire (o riscoprire) abbinandoli a una bibita fresca. Ci avviciniamo alla parte più critica dell’estate, con la fine di luglio e l’inizio di agosto. In questi mesi notoriamente parchi di novità c’è bisogno di un videogioco che possa divertire, appassionare ma che non sia troppo cervellotico. Anzi deve essere pervaso dalla calma e dal grande respiro, da gustare quotidianamente come una serie TV da centinaia di episodi. Se nella puntata precedente avevamo parlato dei vichingo videoludico occidentale, oggi andiamo nell’emisfero opposto: ecco a voi Odin Sphere Leifthrasir.
La bambina che legge
Sviluppatori del gioco sono i Vanillaware, e a dirigerli c’è George Kamitani. Questi, oltre a essere un game designer abbastanza conosciuto nell’ambiente, è da sempre animato da un grande amore per i coin-op degli anni Ottanta e Novanta. Prima di dimostrare tale affetto con Dragon’s Crown, però, egli si era impegnato in qualcosa di assai più ambizioso ed elaborato. Ecco qui che era nato su PlayStation 2 l’originale Odin Sphere, di cui questo Leifthrasir è “Remaster Plus”. Le date di riferimento sono quindi due: 2008 e 2016.
La trama è ambientata a Erion, continente fittizio dall’aspetto vagamente nordico. C’è una guerra in corso tra Ragnanival e il Reame delle Fate. Oggetto di contesa è Calderone, punto di accesso alla psilite, potentissimo minerale in grado di assorbire l’essenza stessa della vita. In tale sfondo si intrecciano le vicende di cinque personaggi: Gwendolyn la valchiria, Cornelius il principe maledetto, Mercedes erede al trono delle Fate, Oswald il cavaliere delle tenebre e Velvet, ex-principessa. La trama è quindi assai elaborata, un po’ parca di colpi di scena ma coinvolgente al punto giusto. Una volta che impersonati tutti i personaggi potremo accedere al libro dell’Armageddon, il grandioso epilogo che li vedrà tutti presenti. Le vicende sono infatti raccontate con un espediente originalissimo per il videogioco: in realtà impersoniamo Alice, una bambina che ritrova nella soffitta di casa dei libri d’avventura. L’ambientazione nordica è quindi sono un punto di partenza per rappresentare un mondo fiabesco, dipinto dalla coloratissima mente di una bambina che legge.
Videogioco a pennello
È proprio della grafica che ora dobbiamo parlare: Kamitani e i suoi collaboratori hanno realizzato qualcosa di assolutamente unico. Il mondo di gioco è completamente in 2D, dominato da uno stile che incrocia l’anime giapponese, la graphic novel e l’illustrazione in movimento. La grafica infatti vive di fitte pennellate e sottili animazioni, dove la profondità viene creata sovrapponendo digitalmente più strati di disegni. I personaggi sono carismatici e caratterizzati senza scadere nella caricatura. A questo si aggiungono ambientazioni assai studiate e buona varietà dei nemici. Completano il quadro boss enormi, così grandi che lo schermo non riesce a inquadrarli integralmente.
Il paradosso più bello è però nel contrasto che si viene a creare tra questo stile visivo e la trama stessa. Sotto infatti l’atmosfera di fiaba il gioco introduce di tematiche assai più adulte: inganno, paternità, avidità, lascivia, politica, ambiguità del male. Nei fatti, il libro ci racconta di una nuova generazione che si va opponendo alle pesanti e terribili prevaricazioni di “grandi vecchi” che pensano solo ad autoconservarsi. C’è infatti molta tristezza nelle trame di Odin Sphere, che potranno solo convergere in un finale dai toni imponenti. In tal senso aiutano molto il buon doppiaggio inglese e le musiche orchestrali dal ritmo sincopato.
Mangio e combatto
Odin Sphere e Leifthrasir sono titoli ambiziosi per un semplice motivo: rappresentano un punto di incontro notevole  tra gioco di ruolo, dungeon crawling e picchiaduro a scorrimento. E quest’ultima la natura che emerge in maniera più preponderante, almeno se ci si limita a una prima occhiata. L’azione si svolge infatti in livelli stagni, suddivisi in “schemi”. Ciascuno di essi, a scorrimento sia orizzontale che circolare, prevede che si affronti un quantitativo variabile di nemici prima di poter proseguire. Certi livelli, inoltre, comportano il recupero di chiavi e di oggetti per proseguire. La sconfitta dei nemici frutta sia fozoni (globi che fanno le veci dei punti esperienza) che oggetti. Ognuno dei cinque personaggi ha inoltre mosse e caratteristiche uniche, che obbligano a diversificare l’approccio. Se Gwyndolin e Cornelius sono guerrieri ben piantati, la balestra di Mercedes viene impiegata per inaspettate sezioni sparatutto in cui bersagliare ogni nemico proveniente dalla destra dello schermo. Oltre ai combattimenti, i personaggi crescono mangiando cibo, comprabile in appositi hub o procurandosi gli ingredienti negli schemi.
Insomma, un gameplay semplice solo in apparenza: dà anzi grandi soddisfazioni, specialmente quando si comincia ad avanzare lungo l’albero delle abilità e inanellare combo e abilità speciali. Rimane comunque ancorato alla sua natura “da sala”: quando i nemici si accumulano e le mosse si susseguono, la confusione diviene preponderante. La varietà dei nemici è limitata, e nessuno di loro è particolarmente minaccioso. L’unica occasione in cui il rischio di morte si fa concreto è la bossfight, e comunque mai in maniera preoccupante.
Vecchio, nuovo e remaster
Tanto l’originale quanto Leifthrasir hanno avuto responsi contrastanti ai tempi della loro pubblicazione. La critica ne premiò i meriti, ma in termini di vendite tanto l’originale quanto la remaster non hanno volato alto. Le ragioni sono tante e qui ne accenneremo soltanto un paio. L’originale aveva diverse limitazioni tecniche e di design, tanto da renderlo inutilmente complesso (oltre che artificialmente difficoltoso). Per quanto tali barriere all’entrata siano state eliminate dalla riedizione Leifthrasir, quest’ultima non ha avuto molto successo forse a causa del prezzo pieno. Rimane il fatto che molti boss potrebbero rappresentare degli scogli notevoli, anche considerando la lunghezza della trama: non è irrealistico pensare a una trentina di ore abbondanti.
Per quanto sia presente una modalità classica per tutti coloro che vogliono rivivere l’originale PS2, il consiglio scontato da dare in questa torrida estate sta nell’immergersi nella remaster. Ed è Leifthrasir a meritarsi un posto in questa rubrica non per le sue modifiche positive, ma per il coinvolgimento che è in grado di creare. Le versioni per le nuove console (PS4, PS3 e PSVita) godono inoltre di una perfetta pulizia degli artwork, cosa che li fa apprezzare ancor di più.

Odin Sphere Leifthrasir col ghiaccio sta veramente bene. Una grafica costruita ad audaci pennellate, un gameplay profondo ma semplice e una trama elaborata come quella delle migliori serie TV. Un videogioco dall’atmosfera invidiabile, che si maschera dietro il viaggio fantastico che un libro inscena nella mente di una giovane lettrice. Una ripetitività di fondo e alcune goffaggini da “vecchia gen” non dovrebbero fermarvi dal riscoprire una piccola perla, sorella maggiore e progenitrice del ben più apprezzato Dragon’s Crown. Aprite la finestra, riempite il bicchiere e mettetevi comodi: è tempo di una bellissima leggenda.