The Witcher, l’epopea del Lupo Bianco – Parte 2

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a cura di Adriano Di Medio

Redattore

Bentornati alla retrospettiva su The Witcher, la serie che (insieme ai Souls) ha contribuito a portare il dark fantasy nella settima e ottava generazione di console. Nella puntata precedente abbiamo ripercorso le origini di Geralt di Rivia, iniziando dal suo padre letterario Andrzej Sapkowski passando poi per CD Projekt RED e i suoi sogni di gloria. Grazie al Lupo Bianco la casa polacca è riuscita a trasformarsi da compagnia di localizzazione e distribuzione videoludica ad autentico sviluppatore. Con l’oltre mezzo milione di copie piazzato dal primo The Witcher, i tempi erano maturi per consolidare CD Projekt nel settore dei videogiochi di ruolo, ma l’impresa non sarebbe stata facile. In questa seconda parte parleremo delle nuove ambizioni e dei problemi affrontati da questi “capitani coraggiosi” vestiti di rosso, e del ritorno di Geralt di Rivia.
C’è crisi anche per i cacciatori di mostri
Per quanto di fatto autoconclusivo, il primo The Witcher conservava un piccolo epilogo che lasciava la “porta socchiusa” per il sequel. Dopo aver riscosso la sua ricompensa da re Foltest per aver fermato il Gran Maestro della Rosa Fiammeggiante, Geralt si accingeva a ripartire. Proprio in quel momento però Foltest veniva attaccato da un misterioso assassino, subito fermato dal witcher. Il cadavere dell’attentatore, però, presentava inequivocabili segni di mutazioni biologiche, le stesse cui vengono sottoposti appunti gli strighi. Il primo capitolo della saga si chiudeva attorno a questo particolare inquietante.
I lavori sul sequel erano comunque già avviati, stavolta con la consapevolezza da parte dei fondatori Marcin Iwinski e Michal Kicinski di organizzare meglio il percorso di sviluppo. Le cose inizialmente vanno abbastanza spedite, ma stavolta le ambizioni portano la casa di sviluppo un po’ fuori strada. Il loro primo obiettivo è portare The Witcher anche su console, con un ipotetico porting/remake dal titolo The Witcher: Rise of the White Wolf. Il lavoro viene appaltato ai francesi di Widescreen Games e, nelle intenzioni iniziali, doveva essere una rielaborazione del primo The Witcher da pubblicare su PlayStation 3 e Xbox 360. I lavori dei Widescreen Games però non tengono il passo e anche la situazione economica generale rema contro a CD Projekt: la crisi del 2008 arriva improvvisamente e tutta insieme. A questo si aggiungono le divergenze creative, i leak e le controversie lavorative con la Widescreen, che alla fine portano alla cancellazione di The Witcher: Rise of the White Wolf. Con la bancarotta alle porte (buona parte dei ricavi dell’esordio erano stati reinvestiti proprio in White Wolf) la creatura di Iwinski e Kicinski riesce a salvarsi solo grazie a tre fattori: un paio di fusioni finanziarie, il digitale e un patto con Atari. L’anno prima avevano infatti istituito Good Old Games (GOG), uno dei maggiori siti internazionali per la distribuzione digitale di videogiochi. L’accordo con Atari invece li obbligava a lasciare proprio a quest’ultima la distribuzione del futuro The Witcher 2. Ritornata la tranquillità, i CD Projekt RED possono finalmente lavorare sul seguito, che stavolta viene sviluppato sul motore grafico proprietario REDEngine.
The Witcher 2: il coraggio di chi non ha niente da perdere
The Witcher 2: Assassins of Kings esce quindi nel maggio 2011, e fortunatamente è di nuovo un successo: in tre mesi arriva quasi al milione di copie, che raddoppiano a un anno dall’uscita. Prima delle vendite la critica premia e riconosce la passione e la competenza dei CD Projekt RED. I polacchi fanno proprio e potenziano ancora di più sceneggiatura e comparto narrativo, facendo indirettamente passare un po’ in secondo piano il sistema di combattimento un po’ rigido e la difficoltà altalenante. Di contro, The Witcher 2 è probabilmente uno dei più sensibili passi avanti in tema di costruzione della trama e l’introduzione in essa di tematiche e situazioni mature. L’importanza data all’intreccio è tale che viene data da subito la possibilità di importare i salvataggi del primo capitolo, cosa che ha effetti sensibili sia sugli equipaggiamenti iniziali che su personaggi e missioni (secondarie e non). L’estro creativo dei CD Projekt si esplicita anche a livello di gameplay, con ambientazioni elaborate e molto più “vive”, QTE e una gradevole predilezione per i combattimenti contro boss giganti. 
A livello narrativo, se le missioni secondarie ancora abbondano di riferimenti ai racconti e romanzi originali, la trama principale sviluppa le vicende in una maniera assai più autonoma. Ci troviamo infatti qualche mese dopo il fallito assassinio di Foltest, il quale ha nominato Triss sua consigliera e Geralt ospite. Il re di Temeria è impegnato nell’assedio del castello dei La Vallette. Dopo una prima fase, gli scontri vengono disturbati da un misterioso drago, che feralmente si intromette tra i litiganti. Nonostante il contrattempo l’assalto è un successo, e l’esercito temeriano penetra nella fortezza. Lo stesso Foltest è in prima linea, pedissequamente assistito da Geralt e Triss. Ma la gioia è di breve durata: raggiunte gli appartamenti privati dei La Vallette Foltest viene inaspettatamente assassinato da un misterioso sicario che indossa un medaglione da witcher, che poi fugge dalla finestra. Accusato per un regicidio mai commesso, Geralt viene arrestato e messo ai ceppi.
Durante l’interrogatorio lo strigo racconta la sua versione dei fatti a Vernon Roche (capo dei servizi segreti temeriani) il quale si convince della sua innocenza e lo fa evadere con l’aiuto di Triss. Lo strigo non può che mettersi sulle tracce del misterioso sterminatore di re. Il trio raggiunge quindi la cittadina costiera di Flotsam, dove vengono a contatto con il leader degli Scoiattoli Iorveth. Dopo varie peripezie e l’aiuto di una seconda maga Geralt riesce a dare un nome all’assassino che lo ha incastrato: si chiama Letho ed è un witcher della scuola della vipera. Messo alle strette, Letho rapisce Triss e si teletrasporta nella regione dell’Aedirn.
Da qui in poi la trama di The Witcher 2 ha un’evoluzione inaspettata per l’epoca. La scelta di chi aiutare in tale fase finale del capitolo (Roche o Iorveth) cambierà del tutto il punto di vista tramite il quale verranno narrate le vicende rimanenti. Questa radicale biforcazione è la decisione più coraggiosa del gioco, e forse è ciò che l’ha reso il The Witcher più controverso. Il secondogenito di CD Projekt RED è infatti il capitolo più marcatamente politico della trilogia, ed esprime con doloroso cinismo quelli che sono i sempiterni contrasti tra la natura umana e la ragion di stato. Le scelte da compiere divengono quindi inaspettatamente gravose, e non vi è più la possibilità di rifugiarsi nella neutralità come agli esordi. Anche la componente erotica perde qualunque accenno “collezionistico” per diventare cinematografica e senza quasi nessun filtro. Le stesse scene d’amore (ovviamente velate da una giusta ironia e mai volgari) sono ben impostate e credibili. La società medievaleggiante del mondo di The Witcher appare quindi come l’evidente metafora di quella reale, e rende elementi più spiccatamente “fantasiosi” ben distinguibili. La sua missione è infatti di portare in scena le dinamiche umane, straordinarie perché riconoscibili.
Witcher potenziati e il debutto su console
Il finale di The Witcher 2 è, con buona pace di molte altre trilogie, sorprendentemente autoconclusivo. Si viene infatti a sapere che gli “assassini di Re” di cui fa parte Letho operavano per conto di Nilfgaard, il grande impero meridionale che fin dai tempi della saga letteraria minaccia i diversi stati indipendenti del settentrione. Il piano per la conquista, essenzialmente, faceva leva sulla litigiosità di tali stati, la quale aveva finito col minare alla base la loro fragile coalizione anti-nilfgaardiana. Anche se Geralt è riuscito a recuperare la memoria sulla Caccia Selvaggia e a fermare Letho, ormai la situazione è compromessa e Nilfgaard riesce a soggiogare tutta la parte nord del continente.
Per quanto tecnologicamente avanzato e dall’impatto visivo ancora oggi meraviglioso, il REDEngine degli esordi mette molto alla prova i computer dell’epoca. Non che fosse una novità per i CD Projekt: avevano già dovuto pesantemente riscrivere l’Aurora Engine per il primo capitolo, con il conseguente strascico di bug. Pertanto all’incirca nello stesso periodo della fondazione di GOG una parte del team lavorò a rivedere e correggere il primo The Witcher, ottimizzandone la resa grafica e inserendo anche contenuti aggiuntivi. Tali contenuti furono poi dati gratuitamente ai possessori del gioco originale, mentre per i novizi fu pubblicata l’ormai celebre Enhanced Edition. Lo stratagemma si ripeté anche per The Witcher 2, dove vennero aggiunte quest, un tutorial autoconclusivo, un’arena di combattimento e un nuovo livello di difficoltà estremo. The Witcher 2 Enhanced Edition viene però ricordato anche per un altro motivo: è con lui che CD Projekt RED è finalmente riuscita a debuttare su console. La prescelta è Xbox 360, su cui il loro pargolo esce nel 2012. Nonostante gli evidenti compromessi a livello grafico, il REDengine fa il suo dovere anche su una macchina ormai non più tanto performante. Il gioco ebbe infine un ultimo “lampo di gloria” due anni dopo: l’allora primo ministro Donald Tusk ne regalò una copia all’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama quando questi venne in visita in Polonia.
Nonostante i successi e i riconoscimenti anche internazionali, il debutto su console fu un successo solo a metà: PlayStation 3 fu scartata quasi a prescindere, a causa del suo hardware controverso che la rendeva un ambiente difficile su cui lavorare. Vi avrebbero rimediato in pochi anni…

Dopo gli esordi da “bancarella” e un The Witcher dall’impostazione “tradizionalista”, con The Witcher 2 i CD Projekt RED hanno trovato la piena maturità. Uno sforzo ambizioso, passato per la creazione di tecnologie proprietarie e peripezie anche finanziarie. Ne è risultato un titolo ambizioso e forse per la prima volta realmente “adulto”, che inquadrava il fantasy per quello che è: una visione e una metafora della società che lo produce. In tal senso gli sviluppatori polacchi furono intelligenti nel capire che era proprio in quegli anni che si andava delineando una visione più “realistica” della narrazione di fantasia, che avrebbe progressivamente spazzato via gli strascichi di una settima generazione videoludica fino a quel momento fin troppo “buonista”. Adesso non restava che concludere definitivamente le peripezie del Lupo Bianco. Rimanete con noi per l’ultima grande avventura!