Anteprima

The Evil Within

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a cura di LoreSka

Il mondo dei videogiochi è un po’ come quello del cinema. A Hollywood è sufficiente cambiare una persona – un attore, un regista, un produttore – per stravolgere completamente il senso e la qualità di un prodotto, e trasformare qualcosa di amato in qualcosa di odiato dai fan. Nel campo dei videogiochi ci sono decine e decine di esempi simili, che hanno portato schiere di fan ad allontanarsi da quei prodotti che amavano alla follia. Certo, alle volte vi è qualche pregiudizio. Ma in molti casi i fan hanno semplicemente ragione a rimpiangere i tempi in cui la loro serie preferita era in mano ad altre menti creative.
La serie Resident Evil ha avuto una sorte analoga: amato alla follia nei primi tre episodi, ha iniziato a spartire le acque con il quarto ed ha preso una strada diversa a partire da Resident Evil 5, sposandosi verso altre tipologie di pubblico. Molti fan si sono sentiti traditi, e hanno iniziato a parlare dei “bei tempi” in cui la serie era in mano a Mikami. Così, all’annuncio di The Evil Within, quegli stessi fan hanno gioito, perché il gioco sembrava puntare nella direzione dei primi titoli della saga di Capcom. In altre parole, ci sono molte speranze attorno a questo gioco, e siamo stati sinceramente curiosi di provarlo in anteprima nella versione che sarà presentata fra qualche settimana all’E3 di Los Angeles.
Resident Evil Within
Prima di tutto, un chiarimento: sì, The Evil Within ricorda in molti aspetti i vecchi Resident Evil, ma al contempo ne prende le distanze in elementi di primaria importanza. Parliamo di un gioco survival horror in cui abbiamo a disposizione poche risorse e dove la fuga e l’astuzia possono davvero fare la differenza rispetto a un approccio più action. Al contempo, abbiamo a che fare con encounter certamente non sporadici, che ci obbligano a fare uso delle armi e a dosare sapientemente i proiettili. Gli zombie – pardon – “infetti” con cui abbiamo a che fare hanno la capacità di rigenerarsi, e l’unico modo per poterli annichilire definitivamente consiste nell’usare i fiammiferi e creare un bel barbecue di mostri. Il fuoco distrugge i corpi dei nemici ma, al contempo, si basa su di una risorsa limitata. Grazie a questa meccanica, il gioco si permette alcune deviazioni verso l’action senza mai perdere la componente survival: è davvero difficile mettere la parola fine sulla presenza dei mostri in un’area, e le soluzioni ad armi spianate sono spesso temporanee e finiscono per farci sprecare un gran numero di risorse in maniera totalmente vana.
Forte degli insegnamenti dati da un capolavoro del calibro di The Last of Us, The Evil Within ha introdotto un’interessante componente stealth. I nemici, infatti, possono essere distratti producendo dei rumori tramite il lancio di bottiglie e mattoni, permettendoci di aggirarli completamente. In alternativa, si può giungere alle loro spalle e metterli fuori combattimento con un colpo corpo a corpo, evitando di produrre un rumore che potrebbe atterrare ulteriori abomini verso la nostra posizione.
Contrariamente alle nostre aspettative, l’inventario non richiama quello dei primi Resident Evil. Non abbiamo a che fare con slot contati e con l’organizzazione spaziale del nostro zaino: tutto è contenuto in una ruota che consente di selezionare le armi e gli oggetti, il cui uso attiva una modalità slow-motion. In questo modo diventa davvero difficile cambiare le proprie armi o curarsi durante un combattimento, ed è dunque necessario affidarsi a una sapiente pianificazione o alla preventiva assegnazione dei nostri oggetti e armi preferiti al d-pad del nostro controller. Da segnalare, infine, la presenza di una barra della stamina che regola la nostra capacità di effettuare degli scatti: la fuga, in molti casi, non è un’opzione.
Morirete spesso…
Il gioco presenta quattro livelli di difficoltà: casual, survival, nightmare e akumu. Soltanto i due livelli più bassi erano disponibili nella demo a noi presentataci, e gli uomini di Bethesda ci hanno parlato dell’elevata difficoltà del gioco, assicurandoci che saremo morti diverse volte e consigliandoci di provare la prima run in difficoltà casual. Abbiamo scelto di seguire il loro consiglio, e dobbiamo ammettere di essere morti. Ma, come vedremo, non a causa dell’elevata difficoltà del gioco.
Per la verità, sia a livello casual che survival The Evil Within non è apparso un gioco particolarmente difficile. Se la difficoltà casual permette di affrontare l’intera avventura spegnendo quasi completamente il cervello e procedendo in ogni stanza con le armi in pugno, la difficoltà survival ci ha obbligati a tenere conto delle nostre risorse e a cercare in ogni angolo munizioni e fiammiferi necessari per eliminare le numerose minacce presenti. Il problema è che, ad entrambi i livelli di difficoltà, c’è un sistema di rigenerazione (parziale) dell’energia, che in numerosi casi ci ha permesso di proseguire indisturbati anche dopo qualche scontro maldestro. Nella demo, per ragioni legate al breve tempo a disposizione, i salvataggi avvenivano attraverso un sistema a checkpoint. Questa funzione sarà rimossa nella versione definitiva del gioco, e i salvataggi saranno disponibili solo in alcune zone designate, in maniera non dissimile alle macchine da scrivere di Resident Evil 4.
Come abbiamo scritto, siamo effettivamente morti nel gioco, anche a difficoltà casual. Il problema è che i nostri game over sono giunti attraverso delle dinamiche trial and error che ci hanno fatto storcere il naso. Nello specifico, siamo morti a causa di un nemico che si è improvvisamente rigenerato in un ascensore e a causa di un tritacarne che doveva essere disattivato tramite un preciso colpo di pistola a un interruttore. Questo genere di pericoli ci portano a una morte praticamente inevitabile al primo tentativo, ma possono essere facilmente aggirati al secondo. Si tratta, in altre parole, di un mezzuccio da quattro soldi per prolungare l’esperienza di gioco, che abbiamo sinceramente trovato fuori luogo e che avremmo preferito non vedere in un gioco firmato Mikami.
Ma fa paura?
In questo paragrafo, scriverò in prima persona. Se avete seguito i nostri live, sapete benissimo che io ho qualche personalissimo problema con i giochi survival horror. In una parola: sono un cacasotto. Quando sono stato designato per partecipare all’evento di The Evil Within, quel bastardo del Pregianza ha chiesto a un collega di un’altra testata di spaventarmi durante l’evento: conoscendo la mia suscettibilità, era uno scherzo sicuro. Il problema è che The Evil Within non mi ha fatto paura. Neanche un pochino. In questo gioco, infatti, è più corretto parlare di “inquietudine” più che di “paura”. Nonostante ci abbiano presentato soltanto una breve porzione di storia e, al momento, non sia chiaro quali siano gli eventi che hanno portato alla situazione in cui si trova il nostro protagonista, abbiamo assistito ad alcune sequenze piuttosto crude, in cui ci siamo trovati ad infilare degli spilloni in teste mozzate, o le nostre mani nude nel ventre di un cadavere putrescente nel corso di un’autopsia. Si ha la sensazione di essere all’interno di un incubo, in cui si fatica a distinguere il vero dal falso. 
Il fatto che The Evil Within non cerchi lo spavento facile non è un aspetto negativo, tutt’altro. Dai due capitoli che abbiamo avuto modo di giocare, allo stesso modo, non possiamo capire se la storia riuscirà a tenerci con il fiato sospeso: questi dubbi verranno certamente fugati in fase di recensione, quando ci troveremo di fronte a una versione completa e non frammentata del gioco. 

– Inquietante e ricco di atmosfera

– Gameplay solido

– Mikami è una garanzia

Avremmo voluto scrivere “Resident Evil ritorna con un altro nome”, ma dopo la prova al cospetto di The Evil Within possiamo affermare che non sarà così. Vi sono troppi elementi che lo distanziano dalla grande saga, ma francamente siamo felici che il gioco stia cercando una sua identità. Oltre a ciò, la firma di Mikami si nota, e il generale senso di inquietudine trasmesso ci lascia ben sperare per la riuscita narrativa del gioco. Il gameplay, però, ci ha lasciato l’amaro in bocca con la presenza di pseudo-QTE in entrambe le sezioni della demo, introdotti per portarci al game over e obbligarci a ripetere le medesime azioni. Di conseguenza, ammettiamo di avere lievemente ridimensionato il nostro entusiasmo: The Evil Within potrebbe rivelarsi un buon gioco, a patto di riuscire a scrollarsi di dosso la nostalgia: la delusione potrebbe risultare davvero bruciante.