Taboo

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a cura di Antron93

Dopo 8 puntate, siamo arrivati alla conclusione di Taboo, serie creata e interpretata da Tom Hardy. Se non l’avete vista vi consigliamo di rimediare: guardatela e poi tornate a leggere la recensione. Purtroppo parlarne senza fare spoiler sarebbe impossibile quindi, arrivederci o benvenuti!
Strange tides, stranger things, same London
Londra, 1800. James Keziah Delaney torna a casa dopo anni, assiste al funerale del padre, rivede la sorella e diventa ereditiere di un appezzamento di terra conteso tra Stati Uniti e Inghilterra. Fin qui, una serie come tante. 
È lo sviluppo della serie a paralizzarci. Tom Hardy è il creatore, sceneggiatore e protagonista. Si vede. Il ruolo di James è letteralmente cucito sull’attore britannico che sfoggia una recitazione davvero di altissimo livello. I grugniti sono i soliti, quelli alla Mad Max, ma le occhiate, la recitazione corporea e quelle poche battute dette ci aiutano a rendere l’idea di quando Hardy sia uno degli attori più sottovalutati nell’odierno panorama cinematografico. Il suo James è un uomo tormentato, pazzo, riflessivo e calcolatore.
Una cosa da apprezzare è sicuramente la costruzione di tutti gli altri personaggi. Sì, perché ogni altro ruolo è approfondito, studiato, pensato e affidato all’attore adatto: se nella prima puntata il focus è su Oona Chaplin, sorella di Delaney, tutto il resto della serie viene centellinato e cucito su tutti gli altri personaggi che vanno a formare un mosaico eterogeneo, sfaccettato e totalmente unico. Rivediamo volti noti del grande schermo e volti meno noti del piccolo schermo. C’è Tom Hollander ad interpretare il chimico Cholmondeley, che passa dall’essere il lord comandante della East Indies Company in Pirati dei Caraibi a nemico della stessa compagnia in Taboo. Tra gli altri attori non possiamo non citare Jonathan Price nel ruolo del main villain, Stuart Strange; o Edward Hogg nei panni del travestito Godfrey, ruolo che mi è davvero piaciuto. Ma anche tra i personaggi principali nessuno riesce a sfigurare: degni di nota, sicuramente, Jessie Buckley come Lorna Bow o David Hayman nel ruolo di Brace, fido maggiordomo di casa Delaney.
Ma uno dei veri e proprio protagonisti rimane la cara vecchia Londra. Come nei romanzi di Charles Dickens, la città è sporca, umida, buia e avvolgente. Le strade sono dei mendicanti, degli orfani e delle prostitute. La vita è qualcosa che scivola via senza accorgersene, le giornate passano stancamente, i ricchi sono i padroni e i poveri sono gli schiavi. Londra è spezzata in due, da una parte la compagnia delle Indie, dall’altra la sovranità del futuro re Giorgio IV. Le leggi funzionano solo per i pochi che non possono difendersi, la tortura è la soluzione per far confessare peccati mai commessi. Dall’Old Bailey alle periferie vige la legge del più forte.
Scacchi, navi e the
Potremmo riassumere l’intero serial con una partita di scacchi. I due contendenti sono Delaney e Strange. Mossa, contromossa. Apertura di Delaney, sviluppo del gioco e chiusura sempre di Delaney. Scacco, arrocco. Ogni mossa è calcolata alla perfezione ma tutti noi sappiamo sempre che James è avanti. Ogni volta pare che la compagnia arranchi sotto i colpi di una mente brillante, cinica e sprezzante. Le mosse di James sono perfette e riescono a tenere in scacco due paesi, la Compagnia delle Indie e i suoi stessi compagni d’armi. Tutto questo per cosa? Per il monopolio del the in India? Si, nel 1800 era probabilmente il commercio più redditizio all’epoca. 
La polvere da sparo, i rapporti tra USA e Inghilterra, il testamento di James e tante altre cose contribuiscono alla riuscita di una serie TV con pochi fronzoli e dialoghi perfetti. Ogni singola linea di sceneggiatura sviluppa le storie, evitando sottotrame inutili e scontate; unica forse, la questione Zelpha-James buttata via un po’ a casaccio. Tutto ci porta a capire come il periodo storico fosse un punto di transizione importante nei rapporti tra paesi, commercio e gli stessi abitanti della City.
L’azione viene ridotta all’essenziale ed è proprio questo il bello. Le scene di pathos si riducono all’osso ma la serie si regge benissimo sui dialoghi. La tensione rimane altissima e l’ultima puntata ci fa sussultare ben più di una volta, ci tiene incollati allo schermo, ci fa esultare per un finale ben costruito e che ci fa piangere qualche personaggio a cui ci eravamo affezionati.

Taboo è sicuramente una delle serie TV meglio scritte del piccolo schermo. Questo 2017 si è aperto alla grande e il serial di Tom Hardy è stato un grande opening. Volendo, Taboo potrebbe concludersi qui ma, a quanto pare, ci è stato lasciato un piccolo cliffhanger: le Azzorre sono il prossimo obiettivo di James. Come avrete capito, Taboo rimane una piccola perla consigliatissima. Se vi piacciono le serie riflessive, introspettive e con un pizzico di esoterisimo, la creazione di Tom Hardy fa per voi. Altrimenti guardatela lo stesso, non ve ne pentirete.