Anteprima

Shroud of the Avatar

Avatar

a cura di Mascalzone

Quindici anni. Tanto tempo è passato da Ultima IX Ascension, l’ultimo capitolo della storica serie di giochi di ruolo che ha elevato al ruolo di guru Richard Allen “Lord British” Garriott. Un’eternità nel corso della quale costui ha fatto nientemeno che un viaggio spaziale, sviluppato un MMORPG fallito in men che non si dica e aperto una propria software house per preparare questo suo attesissimo ritorno.

Dai tribunali a Kickstarter Non vi posso biasimare se non conoscete Portalarium, fondata da Garriott nel già lontano 2009: inizialmente avrebbe dovuto occuparsi di videogame per social network, e infatti inizialmente lo fece con un paio di titoli tutt’altro che memorabili. Accadde poi che il publisher del compianto Tabula Rasa, NCsoft, perse in tribunale la causa milionaria che gli intentò cercando di rivalersi del completo disastro che fu il lancio e la successiva chiusura del titolo. Di colpo Garriott si trovò con diverse decine di milioni di dollari da investire. Più di quanto gli serviva per riappropriarsi dei diritti della saga di Ultima che la sua Origin Systems aveva ceduto a Electronic Arts nel 1992. Per un breve periodo parve che il vecchio binomio potesse tornare a lavorare insieme per lo sviluppo di un nuovo Ultima Online, ma entrambi sapevano di non poter ripetere gli stessi errori che li avevano portati a una truculenta separazione un decennio prima, perciò non se ne fece nulla. Questo sino alla definitiva esplosione del crowdfunding, avvenuta alla fine del 2012: dopo aver supportato l’amico Chris Roberts durante la prima campagna di Star Citizen (e sappiamo com’è andata) alla fine Garriott si decise: era giunta l’ora di dare una risposta a tutti i fan che gli chiedevano a gran voce di realizzare un nuovo videogioco della serie Ultima e nel marzo 2013 annunciò ufficialmente Shroud of the Avatar, raccogliendo il doppio del milione di dollari inizialmente richiesto attraverso Kickstarter per farne partire lo sviluppo. Il ritorno di Lord British era compiuto.

Non MMORPG, ma multiplayer selettivoTutti si aspettavano che Garriott riprendesse la dà dove il suo percorso di sviluppatore si era interrotto, ovvero dai MMORPG. E infatti già dal primo annuncio si seppe che SotA sarebbe stato un titolo fortemente incentrato sull’esperienza multigiocatore. Ma, reclutati il vecchio compagno di merende dei tempi di Origin Starr Long come produttore esecutivo e Chris Spears come direttore tecnico “rubato” a NCsoft, nonché l’arcinoto (per la saga di Dragonlance) scrittore Tracy Hickman per il ruolo di Lead Story Designer, prevalse l’idea di creare qualcosa di più accessibile rispetto a Ultima Online senza comunque in alcun modo minarne quello che più di ogni altro ne è stato il punto di forza, ovvero l’enorme profondità e la grande versatilità quale piattaforma per il gioco di ruolo. Questo mantenendo una struttura di gioco assolutamente votata alla persistenza. Non esclusivamente attraverso la necessità di collegarsi a un server e le note meccaniche dei MMORPG per lo più votate al farming, ma un ibrido che prendesse il meglio di quest’ultime e le trasportasse all’interno di un contesto ben familiare agli amanti dei giochi di ruolo. Soprattutto quelli della vecchia scuola. In altre parole ai canoni più apprezzati della serie Ultima, cui questo prodotto indubbiamente vuole ricollegarsi. Non è affatto un caso che SotA riprenda il sostantivo del quarto capitolo, Quest of the Avatar del 1985, dichiaratamente il prediletto da parte di Garriott e non è nemmeno un caso la seconda parte del titolo, Forsaken Vitues. Il significato è infatti diretto a ciò che fece di Ultima IV il primo gioco di ruolo che si focalizzava più sullo sviluppo delle caratteristiche empatiche del personaggio piuttosto che su meri numeri, ovvero le statistiche, fornendo un’immedesimazione nel proprio avatar decisamente superiore rispetto a ogni altro videogioco sul mercato. In senso lato Forsaken Virtues vuole anche riferirsi al mondo videoludico tutto, quello che ha perso la propria innocenza in nome del business, realizzando prodotti sì sempre più spettacolari ma pure meno pensati per fornire a ogni giocatore un’esperienza in grado di essere realmente unica. Votata cioè alla completa libertà di scelte nella crescita del proprio alter ego, non solo per quello che riguarda la fase di progressione ma anche per la pluralità di funzioni cui il gameplay deve ottemperare. Un approccio che si può definire intimista poiché non contempla il videogioco solo come forma d’intrattenimento ma vuole offrire qualcosa di maggiormente appagante per coloro che non cercano solo azione e combattimento, ma anche l’interazione e il coinvolgimento di attività partecipate. Ciò che insomma si suole definire giocare di ruolo, nella sua interezza, ed è per fare questo che SotA è stato strutturato in maniera da offrire ambientazioni e sistemi di gioco per quanto possibili aperti all’interpretazione, sia tramite la fantasia sia l’organizzazione con eventi, situazioni variopinte e persino le intere sceneggiature che costituiscono il cuore del sistema di missioni, come la deliberata mancanza di specifici obiettivi in un quest log fa recepire.

In Early Access su Steam Questo in buona sostanza il manifesto programmatico di Shroud of the Avatar, ma è anche bene parlare di quanto il gioco sia attualmente in grado di offrire dato che da un paio di giorni si è reso disponibile in accesso anticipato sulla piattaforma digitale di Valve, schiudendo quindi le sue porte a una grande massa di potenziali acquirenti. Innanzitutto va detto che il gioco è in alpha già da un anno, e che in questi dodici mesi sono stati davvero molti i passi avanti fatti da Portalarium. Oltre naturalmente al sistema di progressione del personaggio basata su alberi di skill complementari (le virtù per l’appunto) e non sulle tradizionali classi per descrivere il funzionamento delle quali servirebbe uno speciale intero, al momento la feature maggiormente sviluppata è probabilmente l’housing system, che consente di costruire edifici adibiti a varie funzione e di personalizzarne gli interni nel contesto delle scene istanziate raggiungibili attraverso la mappa di gioco seguendo appunto il medesimo stile dei giochi di ruolo vecchio stile ma nel contesto del multiplayer moderno, compresa l’opportunità creare stanze facendo da host col proprio PC. È possibile giocare in modalità singleplayer, con un gruppo selezionato di amici oppure in open world rendendosi visibili a tutti i player collegati in uno stesso momento, e va in questo senso precisato che una modalità offline, seppur limitata in certi aspetti, è prevista ma al momento ancora non implementata. Esplorando la mappa si affrontano dunque le quest, presenti già in buona quantità, e gli incontri causali, ovverosia i combattimenti PvE con creature gestite dall’intelligenza artificiale il cui affinamento e aumento di numero è una costante dello sviluppo, cosa che vale anche per i dungeon. Non mancano poi nemmeno il PvP, per il momento in una forma ancora iniziale e con solo poche ambientazioni dedicate, e il crafting già più approfonditamente sviluppato seppur ancora il gioco non offra gran parte delle feature della player driven economy che vuole esserne il punto focale. 

– Ottima progressione del personaggio

– modalità singleplayer interessante

Shroud of the Avatar è un progetto nato sull’onda dell’entusiasmo degli appassionati dei giochi di ruolo old style che lo hanno direttamente finanziato, che grazie al continuo sviluppo sta riuscendo a ridimensionare l’iniziale scetticismo generale provocato dalla decisione di mettere sin da subito in vendita beni virtuali come terreni, capi d’abbigliamento e privilegi di varia natura, seppur certamente non può ancora definirsi un prodotto completo e adeguatamente ottimizzato. Sono però senz’altro già molteplici le caratteristiche interessanti che può offrire a chi si annovera tra quelli che cercano un titolo che possa dare qualcosa di diverso rispetto al solito combattere draghi e troll come non ci fosse un domani e che dia modo di sfruttare creatività e intraprendenza senza per questo doversi rivolgere a sandbox o survival.