Retrospettiva Silent Hill - Prima Parte

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a cura di andymonza

Correva il settembre 1996 quando l’aria di rinnovamento che si respirava in Konami portò alla decisione di supportare lo sviluppo di una proprietà intellettuale completamente nuova, che avesse come tratto fondamentale una forte strizzata d’occhio al cinema di Hollywood. Lo scopo del neonato Team Silent era allora quello di mettere insieme un’idea in grado di attirare innanzitutto le attenzioni del pubblico occidentale, e le atmosfere horror sembravano il miglior punto di partenza. Agli autori fu lasciata completa libertà artistica, tipica di un periodo in cui le case erano ancora abituate a budget ben più ridotti di quelli odierni, senza la quale probabilmente il primo Silent Hill sarebbe risultato molto diverso da come lo conosciamo oggi.Questa serie di fortunate coincidenze ha dato origine a una saga senza tempo, amata incondizionatamente da una foltissima schiera di fan, che tuttavia negli ultimi anni ha vissuto una piccola crisi, con la perdita della preziosa guida firimata Team Silent e la discontinuità dei prodotti delle terze parti, incapaci di scegliere tra innovazione e omaggio ai capostipiti.Ormai vicinissimi al rilascio di Silent Hill: Downpour, ripercorriamo insieme questi lunghi anni di evoluzione, piccoli passi falsi e soprattutto indimenticabili capolavori della videoludica.

Silent Hill – 1999Il team dei reietti, così potrebbe essere definito il Team Silent, descritto dallo stesso Akira Yamaoka (compositore ufficiale delle soundtrack della saga) come una squadra di sviluppatori disillusa da progetti precedentemente falliti, che considerava quella nuova IP come l’ultima spiaggia per decidere se rimanere in Konami oppure partire verso nuovi lidi.Grafica 3D, horror psicologico, regia di livello, musiche d’autore: di certo le basi per un prodotto di qualità c’erano tutte. Il gameplay fu elaborato come un bilanciato mix tra esplorazione, soluzione di puzzle e combattimenti, ma l’idea migliore, quella in grado di cambiare davvero le carte in tavola, fu quella di proporre un protagonista diverso dai consueti militari tutti muscoli e armi pesanti, un cittadino comune, un everyman dalla faccia dimenticabile.Già, perché affrontare orde di aberrazioni nei panni di Rambo è una cosa, farlo nei panni del vicino di casa apre le porte ad una nuova forma di terrore, molto più credibile a suscettibile d’immedesimazione.E così, anche gli strumenti su cui il protagonista Harry Mason può basarsi sono molto limitati: una radio, una torcia tascabile, qualche oggetto contundente e limitatissime armi da fuoco.Altro fattore determinante per il successo del gioco è frutto di una scelta obbligata da parte degli sviluppatori: l’intenzione di proporre ambienti completamente in tre dimensioni mise il team di fronte a una dura sfida nel tentativo di sfruttare al meglio le limitate potenzialità hardware dell’epoca, dando vita all’idea di avvolgere tutta la città nella nebbia. Senza saperlo, i ragazzi del Team Silent stavano dando all’opera quel tocco che l’avrebbe resa senza tempo.La loro natura di outsider all’interno di Konami diede loro sia la libertà di andare ben oltre i limiti economici e creativi imposti dai piani alti, sia lasciò un’impronta indelebile nel plot e nel gameplay dell’opera, dove la paura dell’ignoto, le domande senza risposta e la natura contradditoria di diversi dettagli sembrano riflettere alla perfezione la bizzarra situazione lavorativa dei suoi autori.Le notevoli difficoltà nello sviluppo e i piccoli aneddoti non si contano, ma, come spesso accade in ambito artistico, furono proprio le premesse non favorevoli e il disagio degli sviluppatori a cristallizarsi nell’opera stessa, sentimenti ed emozioni veri e tangibili che andarono a stratificarsi nel processo creativo.Il contributo finale all’opera viene tuttavia dal compositore Akira Yamaoka, che subentrò a progetto già iniziato, proponendo un metodo di lavoro atipico: invece di concentrarsi sulle scene di gioco, l’autore preferiva isolarsi e lavorare su concept astratti. Il risultato è una delle migliori colonne sonore mai proposte per un videogame.A quasi quindici anni di distanza, sono queste in retrospettiva le ragioni che fecero di Silent Hill quell’eccezionale successo che oggi noi tutti conosciamo e appreziamo: più di due milioni di copie vendute e un notevole riconoscimento internazionale diedero succesivamente vita ad una meritata serializzazione.

Silent Hill 2 – 2001Gli ottimi successi di critica e pubblico riscossi dal predecessore non lasciarono dubbi a Konami: nonostante i rischi corsi, il Team Silent era degno di un grosso investimento e di grande fiducia.I lavori sul sequel cominciarono molto presto, e fu subito chiaro come mantenere invariato il protagonista non sarebbe stata una scelta gradita: molto meglio invece strutturare l’universo di Silent Hill come un sistema di scatole cinesi, di storie parallele, che come le realtà proposte nel plot si lambiscono e hanno effetto le une sulle altre, senza tuttavia intrecciarsi mai davvero. Fu così che Harry Mason e la sua ricerca della figlia lasciarono il passo a Jmes Sunderland, all’inseguimento della moglie Mary. Ancor più che ne precedente capitolo, la natura psicologica dell’horror proposto dagli autori risulta evidente: la città di Silent Hill viene sempre più identitificata come un luogo metafisico, un limbo che come una spugna “assorbe” la coscienza di coloro che vi rimangono inviaschiati, mutando nella forma durante la rilettura della paure e dei sensi di colpa di ognuno. La perfetta sublimazione di questo concetto è il personaggio di Piramid Head, destinato nonostante il suo ruolo marginale a entrare di petto nell’immaginario collettivo del videogiocatore medio, identificato come un vero e proprio parto della mente del protagonista, come la risposta ad un profondo bisogno di espiazione nei confronti dei peccati commessi. In questo senso, il secondo capitolo rimane ad oggi come il miglior esempio di videoludica mai offerto dalla saga: l’ambiguità di molti elementi del plot, la dualità dei personaggi comprimari, le molteplici chiavi di lettura hanno lasciato un’eredità e un’impronta forse mai pienamente raccolte, eppure in grado di influenzare profondamente il media del videogioco.Un risultato quantomeno curioso, soprattutto se si considera che il secondo capitolo risulta ad oggi il più “slegato” dai temi portanti della saga, più concentrato sul protagonista e sui suoi fantasmi interiori.Ancora una volta, a firmare la colonna sonora c’è Yamaoka, qui in vero stato di grazia, in grado di proporre alcuni pezzi destinati a entrare nella storia.

Silent Hill 3Giunti al terzo capitolo, i ragazzi del Team Silent sentirono il bisogno di rinnovarsi, e poco dopo il rilascio del primo capitolo cominciarono a lavorare su due progetti separati: un sequel ufficiale del primo episodio e un vero e proprio spin off, nome in codice Room 314, che diventò successivamente il quarto capitolo della saga.Mentre le spinte innovative venivano tutte convogliate nel “capitolo apocrifo”, il terzo episodio della saga assunse duqnue le forme di un sequel tutto sommato tradizionale, che fece sue le maccaniche ormai ben note ai fan, senza uscire troppo dal seminato. La protagonista dell’avventura è la teenager Heather, adottata da Harry Mason in seguito agli avvenimenti del primo episodio, anch’essa destinata ad attraversare la città di Silent hill e a subirne i devastanti effetti. Esplorazione, atmosfere horror rarefatte e puzzle solving si accompagnano come sempre ai combattimenti, confermando le colonne portanti del gameplay e senza grosse sorprese.Ad essere apprezzata dal pubblico e dalla critica fu soprattutto la storia, in grado di riprendere efficacemente quanto lasciato in sospeso dal primo capitolo e fare ammenda per il “criptico” secondo episodio. Emersero tuttavia anche svariate critiche, legate alla scarsa innovazione: ormai giunta alla terza iterazione, la serie necessitava davvero di una nuova direzione.

CONTINUA….