Retrospettiva Final Fantasy: part 3

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a cura di Naares

La progressiva maturazione nel campo della computer graphic stava per portare Square al suo punto di non ritorno, con la produzione del film Final Fantasy: The Spirits Within che avrebbe causato la perdita ci circa 60 milioni di dollari e portato Square Pictures quasi alla bancarotta. Hironobu Sakaguchi dovette prendersi la responsabilità dell’accaduto, cosa che portò a un suo ridimensionamento all’interno della società e al suo successivo autolicenziamento. Final Fantasy X fu l’ultima creatura realizzata dal padre della saga.
Final Fantasy VIII aveva causato un certo scontento, soprattutto nei fan di vecchia data. Le nuove leve avevano apprezzato l’ultimo prodotto Square, chi si era approcciato alla saga per la prima volta se ne era addirittura innamorato, ma Sakaguchi non restò sordo alle richieste dei vecchi appassionati, decidendo di mettere da parte tecnologia e steampunk per ritornare alle origini. Final Fantasy IX rappresentò una sorta di canto del cigno per la prima PlayStation, un chiarissimo esempio di fan service, nonché il capitolo preferito da Sakaguchi in persona.
Largo quindi nuovamente al fantasy nudo e crudo, spazio ad ambientazioni medievali, a regni fantastici, a principesse ribelli e alla magia così come non si vedeva da tempo. La nona fantasia finale resta un prodotto epico come ogni altro capitolo, ma non si prende altrettanto sul serio, permettendosi un tipo di ironia e giocosità mai talmente sviluppati nella saga.
La storia inizia nella città di Alexandria, quando un gruppo di attori viene invitato a dare uno spettacolo celebrativo per il sedicesimo compleanno della principessa Garnet. Gli attori sono in realtà dei criminali di cui fa parte anche il protagonista Zidane (o Gidan, nella versione italiana), che hanno l’intento di rapire proprio la principessa. Questa si rivelerà incline a lasciarsi portar via, determinata a scoprire cosa si cela dietro il recente cambiamento della madre, la regina Brahne. Da qui avrà inizio la lunga avventura dei nostri personaggi, in un turbinio di eventi, colpi di scena, incontri con splendidi personaggi, l’immancabile love story e tanti, tantissimi segreti di gioco. Il cast di Final Fantasy IX è pesante, di quelli che restano nella memoria, allo stesso modo in cui era accaduto per il quarto e sesto capitolo della saga. Al di là di un protagonista che non regge il confronto con lo splendido Squall del precedente episodio abbiamo infatti dei comprimari eccezionali, come il dolcissimo maghetto Vivi, il divertente Steiner e la sua amata Beatrix, la sublime Freija, ad oggi uno dei più bei personaggi giocabili della serie, e ancora l’assassino Amaran o l’assurda Quina. Ma a brillare su tutti è il cattivo di turno, quel Kuja dall’aspetto elegante e raffinato, che sotto certi aspetti può ricordare il Sephiroth di Final Fantasy VII. Kuja paleserà una personalità complessa, dimostrandosi un abile manipolatore e scadendo infine in un vortice di follia da cui non riuscirà più ad uscire. Considerato insieme allo stesso Sephiroth e a Kefka tra i migliori antagonisti della serie, Kuja resta ancora oggi una delle figure più caratteristiche dell’intera saga.
Il gameplay di FFIX mette una pezza dove l’ottavo capitolo aveva fallito, rimuovendo del tutto il Junction System e riproponendo anche in questo caso un ritorno alle origini, con gli MP usati per la gestione delle magie. Manca il Job System, ma i personaggi appartengono comunque a determinate classi non modificabili, tra cui White Mage e Summoner (Garnet ed Eiko), Paladin (Steiner), Black Mage (Vivi), Blue Mage (Quina) e Dragoon (Freiya). In controtendenza con gli ultimi episodi sarà di nuovo possibile portare sul campo di battaglia fino a quattro personaggi, aumentando il livello di strategia e conferendo grande ritmo agli scontri grazie all’uso dell’Active Time Battle. Dopo un timido tentativo già fatto nel precedente episodio, Final Fantasy IX vede l’introduzione di un minigame basato sulle carte, che avrà un certo ruolo anche all’interno della trama e che verrà ripreso negli anni a venire durante il progetto PlayOnline.
Dal punto di vista stilistico il registro è totalmente diverso rispetto all’ottavo capitolo, con l’abbandono di uno stile realistico e l’adesione a un modello più vicino al gusto giapponese. I personaggi tornano ad essere super deformed, i colori si fanno più vivi, offrendo un risultato piacevole e somigliante all’aspetto di un cartone animato. I full motion video mostrano anch’essi notevoli passi avanti, con una qualità grafica che si va sempre più affinando e presto farà nascere la malsana idea di realizzare un film in CGI, errore che segnerà l’inizio della fine.
Uematsu lavora all’accompagnamento musicale di questo titolo e lo fa con grande ispirazione, realizzando degli splendidi pezzi, tra cui ricordiamo l’evocativa The Place I’ll Return to Someday, il main theme Melodies of Life, il malinconico Freiya’s Theme, e l’inquietante Kuja’s Theme.
Ancora oggi Final Fantasy IX è riconosciuto dalla stampa specializzata come uno dei migliori capitoli della serie, e riporta su Metacritic l’incredibile media di 94/100.
Final Fantasy X esce in Giappone il 19 luglio 2001 sulla nuova PlayStation 2 di Sony. Si tratta del primo titolo della saga per 128 bit, e dell’ultimo realizzato dal fondatore Hironobu Sakaguchi. Il team era già stato diviso internamente, con un gruppo guidato da Sakaguchi a occuparsi di questo decimo capitolo, mentre un altro si curava dello sviluppo dell’undicesimo sotto la direzione dell’esperto Hiromichi Tanaka
Il gioco è tecnicamente su un altro pianeta rispetto ai precedenti titoli, presentando per la prima volta una veste grafica totalmente tridimensionale, personaggi con espressioni facciali e un doppiaggio durante i dialoghi più importanti, tutte caratteristiche che ci si aspettava dai prodotti di nuova generazione. Per questo episodio si decide di eliminare l’estremismo favolistico di Final Fantasy IX, optando per una via di mezzo tra la tecnologia di Final Fantasy VII e il naturalismo del predecessore. A dispetto di scene iniziali ambientate in un mondo super tecnologico, superando le prime fasi dell’avventura ci ritroveremo catapultati in un’ambientazione fantasy molto più convenzionale, resa eccelsa dall’ispirata direzione artistica e dai muscoli della nuova console. 
Nella grande metropoli di Zanarkand saremo chiamati a vestire i panni di uno spaesatissimo Tidus, un campione di blitzball che, insieme al misterioso Auron, assisterà impotente alla distruzione della propria città per mano di una immensa creatura chiamata Sin. Risucchiato all’interno del mostro, Tidus si ritroverà improvvisamente da solo in un mondo sconosciuto, dove apprenderà dalla giovane Rikku che Sin ha distrutto Zanarkand ben mille anni prima. Da qui in avanti verranno introdotti i vari protagonisti, e in particolare la dolce Yuna, evocatrice in pellegrinaggio per ottenere l’Evocazione Suprema con cui sconfiggere Sin. Spinto da Auron, Tidus deciderà di accompagnare la ragazza nel suo viaggio attraverso il mondo di Spira, cercando intanto di fare chiarezza su quanto è accaduto.
Il gameplay del decimo capitolo viene pesantemente modificato rispetto al passato, con la rimozione di alcune caratteristiche da sempre presenti quali la World Map e nuove soluzioni applicate allla struttura di base. Diversamente dal nono episodio si ritorna questa volta a combattere con tre personaggi, ma sparisce del tutto l’Active Time Battle, in favore di un sistema a turni tipico della maggior parte dei JRPG. Una barra sulla destra dello schermo ci indicherà con delle icone chi sarà chiamato in causa durante i successivi sette turni di gioco, permettendoci di sapere in anticipo quando toccherà ai nostri avversari attaccarci. E’ una meccanica molto funzionale, che predilige una pianificazione tattica in base ai turni disponibili e alle abilità del personaggio, piuttosto che generiche e confusionarie strategie d’attacco. La novità funziona, e l’approccio tattico ottiene l’apprezzamento di pubblico e stampa. Cambia la maniera di gestire la formazione, avendo adesso il giocatore la possibilità di cambiare i personaggi anche nel bel mezzo delle battaglie. Una modifica radicale interessa anche le Summon, qui chiamate Eoni, che adesso combatteranno in nostra vece, piuttosto che sferrare un unico attacco e poi sparire.
L’aspetto tecnico della produzione è di altissimo livello, e mostra ciò di cui può essere capace la nuova ammiraglia Sony. Dopo l’ottimo lavoro svolto nel lip sync giapponese, nelle animazioni facciali per sottolineare gli stati d’animo e i nei superbi full motion video, si resta esterrefatti di fronte alla negligenza con cui è stata trattata la versione europea del gioco. Le localizzazioni sono state fatte senza intoppi, ma la società ha pensato bene di evitare ulteriori investimenti, non ottimizzando il gioco per lo standard PAL. Ci troviamo quindi di fronte ad un mero porting da NTSC, che sulle nostre TV significa bande nere ai lati e una spaventosa perdita di fluidità nelle animazioni. Muovere lo stick analogico in avanti e vedere il nostro personaggio correre stile moviola è dannatamente irritante, soprattutto in una produzione di questo calibro. Moltissime sono state le lamentele volte a Square per questo motivo, con migliaia di fan e la stampa contrariati dalle scelte della compagnia.
La colonna sonora è stata realizzata prevalentemente da Uematsu, ma il maestro si è avvalso della collaborazione di altri artisti per via della grande mole di lavoro da realizzare in tempo per l’uscita. Tra le tracce più significative segnaliamo To Zanarkand, Suteki da ne e l’intro Otherworld.
Final Fantasy X resta oggi l’ultimo grande capitolo realizzato da Hironobu Sakaguchi.
Sviluppato dal veterano Hiromichi Tanaka, Final Fantasy XI rappresenta la prima incursione della saga nel campo dei MMORPG. Lo sviluppo del gioco è parallelo a quello del precedente capitolo, e la release avviene su PlayStation 2 circa un anno dopo le avventure di Tidus e compagni. 
Il gioco non vendette molto al lancio, vuoi per la particolare natura del prodotto, vuoi per la necessità di possedere un hard disk per la console. Si dimostrò da subito terribilmente hardcore, poco user friendly e totalmente incentrato sul gioco di gruppo. La lentezza nella progressione e la difficoltà nell’ottenere risultati concreti allontanarono gran parte dei curiosi occidentali. Nonostante la sfida fosse molto ardua anche ai bassi livelli, ciò che davvero sorprese fu l’endgame, talmente ostico da far impallidire perfino il mai dimenticato Final Fantasy III. I forum di discussione cominciarono ben presto ad animarsi, con i giapponesi che studiavano e pianificavano possibili strategie per uccidere questo o quell’altro boss, mentre i poveri occidentali cercavano di tradurre e osservavano con attenzione i loro tentativi. In breve tempo ci si rese conto di quanto tatticismo e quanta matematica ci fossero dietro al titolo, così i giocatori più preparati si misero al lavoro con test approfonditi (spesso durati mesi), scoprendo algoritmi complessi, funzioni e formule assolutamente da comprendere per sperare di aver successo. Inutile dire che un approccio simile non era per tutti, davvero troppo elaborato per il giocatore occidentale medio. Tuttavia lo zoccolo duro riuscì a non demordere, ormai immerso in nozioni e meccaniche così sofisticate da non poter prendere in considerazione alternative viste come troppo casual, nemmeno se l’alternativa si chiamava World of Warcraft
Col tempo le cose cambiarono, gli sviluppatori apportarono una serie di modifiche volte a rendere il titolo meno punitivo. I personaggi vennero potenziati rendendo alcuni scontri meno difficili, la quantità di exp persa morendo venne sensibilmente ridotta e alcuni mostri vennero depotenziati. Ciò nonostante la difficoltà rimaneva ancora molto alta, con un 2003 in cui il tempo necessario per abbattere uno dei boss più semplici (Kirin) poteva superare le tre ore per un gruppo di 18 persone. L’exp continuò ad essere il problema più grande, con utenti che passavano giornate intere alla ricerca di un gruppo, spesso senza avere successo. 
Quando fu rilasciata la seconda espansione (Chains of Promathia) la difficoltà subì una nuova impennata, con missioni praticamente impossibili per la maggior parte dei giocatori. I pochi che riuscirono a superarle si ritrovano in un nuovo universo endgame terribilmente più difficile del precedente. Dalle 3 ore necessarie per Kirin si passò alle oltre 4 di Jailer of Love per un gruppo di circa 30 giocatori, penultimo boss delle nuove aree. Il nome di Absolute Virtue cominciò a divenire famoso nei vari forum di discussione, nemico finale della nuova espansione che a volte si manifestava in seguito all’uccisione di Jailer of Love. Immaginiamo quindi 30 persone, dopo una sessione di almeno 4 ore, che si ritrovano ad aver davanti un nuovo boss da sconfiggere. Al di là dell’ovvia stanchezza e delle discutibili scelte di design, Absolute Virtue fece sollevare un polverone durato anni, in quanto l’avversario era, a detta di chi l’aveva affrontato, imbattibile. 
Il tempo passò, nuove espansioni vennero rilasciate, i personaggi furono potenziati con equipaggiamenti più poderosi, ma nessuno riuscì mai a sconfiggere Absolute Virtue senza ricorrere a cheat o bug (cosa che tra l’altro comportava la sospensione dell’account), e tra calcoli esasperati, ipotesi su strategie fuori dal mondo ed esaurimenti nervosi per le centinaia di ore buttate al vento, Square Enix si decise infine a rilasciare un video dimostrativo contenente la strategia corretta per sconfiggere il mostro. Non fu sufficiente, Absolute Virtue rimase imbattuto.
Nel 2006 esce Treasures of Aht Urhgan, la nuova espansione del gioco. Il gameplay viene pesantemente alleggerito, vengono introdotti dei nuovi eventi brevi per agevolare uno stile più casual, si aggiungono delle nuove classi potenti in solitaria. La svolta porta una ventata d’aria fresca, bene accolta dal pubblico e dalla critica, riportando molti vecchi giocatori a riattivare gli account cancellati. Ma, non sazia dell’esperienza maturata con Absolute Virtue, Square Enix decide di far arrabbiare nuovamente l’utenza inserendo un nuovo boss sproporzionatamente forte chiamato Pandemonium Warden. 
Nonostante le decine e decine di ore necessarie per riuscire soltanto ad accedere a tale scontro, una delle gilde più forti tra tutti i server (BeyondTheLimitation) volle tentare un attacco in grande stile, organizzando un combattimento che coinvolse circa una sessantina di personaggi ben equipaggiati. Nonostante l’enorme mole di giocatori – gli eventi endgame sono concepiti intorno a gruppi di 18 persone – il tentativo non portò al successo, e lo scontro si protrasse per ben 18 (diciotto!) ore, prima che i giocatori cominciassero a sentirsi male, a vomitare e a perdere i sensi. Square Enix rischiava grosso, i genitori inferociti minacciarono di denunciare la compagnia, la rete supportò i giocatori in quanto vittime di meccaniche definite folli, e il caso apparve su un gran numero di quotidiani e riviste. La società accusò il colpo, premurandosi di rilasciare un comunicato stampa per scusarsi, garantendo che si sarebbero presi provvedimenti. Nel giro di pochi mesi sia Pandemonium Warden, che Jailer of Love, che Absolute Virtue vennero pesantemente depotenziati con una sensibile riduzione degli HP e dell’abilità rigenerativa degli stessi, imponendo tra l’altro un limite di due ore agli scontri, allo scadere dei quali i nemici sarebbero semplicemente scomparsi.
Da quel momento l’atteggiamento di Square Enix verso il suo prodotto online cambiò radicalmente. I vecchi eventi endgame si fecero più facili, vennero apportate migliorie al sistema di gioco atte a renderlo appetibile ad un pubblico più vasto, fu migliorata esponenzialmente la qualità del gioco in singolo e la facilità nel trovare gruppi per exp, qualora non si volesse andare da soli. La svolta casual rese il gioco molto più semplice, allineandone la difficoltà a quella dei MMORPG più impegnativi presenti sul mercato, ma lasciando comunque intatta la parte matematica e tecnica alla base. Queste scelte di design hanno portato negli ultimi anni a una seconda giovinezza del titolo, grazie soprattutto al rifacimento dell’endgame e all’aumento del cap, adesso fissato a livello 99 contro il precedente 75. Un consistente numero di nuovi giocatori si sono quindi lanciati sulle terre di Vana’diel, a dispetto di una veste grafica ormai datata e di un sistema economico ancora basato su sottoscrizione mensile. 
Andando a vedere la situazione attuale e tralasciando il periodo più hardcore del gioco, Final Fantasy XI presenta dei meccanismi parecchio approfonditi. In modo simile a quanto succedeva in Final Fantasy III anche in questo capitolo saremo liberi di cambiare la classe (Job) del nostro personaggio, modificando radicalmente lo stile di gioco. Avremo in ogni caso a che fare con combattimenti in tempo reale, dove in base al nostro ruolo dovremo saperci muovere con intelligenza e rapidità. Affrontare un nemico in maniera sconsiderata ci porterà alla morte, così come il non seguire le tattiche decise prima degli scontri più impegnativi. Final Fantasy XI offre notevoli gratificazioni se giocato con gente competente, ma continua ad essere molto frustrante qualora avessimo a che fare con persone non all’altezza del tipo di evento affrontato. Ciascun giocatore ha una grande responsabilità, e anche un singolo errore commesso da un solo membro del gruppo può portare alla morte di tutti gli altri. E’ richiesta una notevole precisione e una attitudine all’ascolto purtroppo poco comuni, pena l’impossibilità di aver successo negli eventi di gioco più difficili.
L’aspetto tecnico è lievemente inferiore a quanto avevamo visto su Final Fantasy X, con colori più spenti, effetti speciali presenti in minor quantità e texture decisamente meno definite. Il motivo di questa soluzione è il limite tecnico imposto da PS2, che non sarebbe riuscita a processare ambientazioni così vaste (siamo pur sempre in un MMORPG) se la qualità grafica fosse stata superiore.
Al momento il gioco è la più grande fonte di guadagni di Square Enix, ospita orientativamente un milione di utenti paganti, ed è prevista una nuova espansione per il prossimo anno che aggiungerà tra le altre cose due nuovi job.
Final Fantasy XII fu l’ultimo capitolo della saga sviluppato su PlayStation 2. Silurato Hironobu Sakaguchi, la direzione del titolo passò inizialmente nelle mani di Yasumi Matsuno, già autore dello splendido Vagrant Story e del superlativo Final Fantasy Tactics. A causa di una serie di complicazioni (ufficialmente ragioni di salute), Matsuno fu sostituito durante lo sviluppo del gioco da Akitoshi Kawazu, autore della serie SaGa. Dopo uno sviluppo durato cinque anni il gioco uscì il 16 marzo del 2006 ed ebbe un ottimo successo sia di critica che di vendite, ma presentò uno stacco nettissimo con i precedenti capitoli della saga, palesando una direzione molto diversa da quella del maestro Sakaguchi.
Il setting è Ivalice, la stessa terra che i fan avevano conosciuto in Final Fantasy Tactics. La storyline pone l’accento su tematiche molto più politico/militari rispetto agli episodi precedenti, incentrando l’intera vicenda intorno agli attriti esistenti tra l’Impero di Arcadia e quello di Rozaria. Nei panni di un povero ladro di nome Vaan ci ritroveremo invischiati in macchinazioni e giochi di potere molto più grandi di noi, incontrando intanto una pletora di personaggi di tutto rispetto, su cui spiccano Basch (che originariamente doveva essere il protagonista della vicenda) e il pirata dei cieli Balthier. Nonostante l’assenza di Sakaguchi la sceneggiatura del gioco è eccellente, piuttosto incalzante e di certo sufficientemente intricata. La stampa ha molto elogiato tale aspetto della produzione ma, a distanza di qualche tempo, i fan si sono resi conto che forse mancava qualcosa. C’è chi la definirebbe la mano del maestro, o quell’alchimia che distingue un ottimo gioco di ruolo da un vero Final Fantasy. Fatto sta che il dodicesimo capitolo, seppur eccelso dal punto di vista registico, manca di quella componente sentimentale che dal quarto capitolo era sempre stata dolce accompagnamento allo scorrere degli eventi. In Final Fantasy XII non ci sarà nessun Cloud e Aerith/Tifa, nessuno Squall e Rinoa, solo la crudezza di una guerra che occupa con prepotenza una pur ottima narrazione. E’ una mancanza che si fa sentire, comporta un trasporto emotivo meno intenso, un godere del gioco più per le sue qualità oggettive che per il bisogno di tifare per un lieto fine, verso cui ci si sente estraniati. La dodicesima fantasia finale è un prodotto solidissimo, eccellente, un titolo da 10 e lode e da premiare sicuramente con tutti gli onori del caso. Ma se davvero lo si possa chiamare Final Fantasy dipende molto dal tipo di aspettativa coltivata negli anni da parte del giocatore. Sakaguchi è fuori dai giochi, il suo modo di sviluppare è andato via con lui. Adesso c’è da accettare un cambiamento inevitabile, cambiamento che forse, per alcuni, comporterà anche la fine della serie che avevano imparato a conoscere e con cui erano cresciuti. E’ triste avere pensieri simili nei confronti di un gioco di simile eccellenza, ma se guardiamo la storia questo è esattamente ciò che è avvenuto. Un undicesimo capitolo considerato a sè per la sua natura online, poi un dodicesimo episodio che appare come un concentrato di eccellenza e personalità, eppure un’eccellenza ove non batte il cuore della fantasia finale.
Anche il sistema di gioco viene stravolto, attingendo palesemente dalla tinozza di Final Fantasy XI ma semplificandone la complessità per adattare il tutto a un pubblico più vasto. L’esplorazione è molto più libera, le ambientazioni decisamente più vaste di quanto visto nel decimo episodio, i nemici sono presenti a schermo e vengono eliminati gli scontri casuali. Il sistema di combattimento è in tempo reale, senza le classiche transizioni verso schermate di battaglia. Controlleremo un solo personaggio, mentre le azioni dei nostri compagni saranno decise da un sistema chiamato Gambit, che ci permetterà di scegliere l’approccio dei vari personaggi al manifestarsi di determinate situazioni. Il sistema è sia approfondito che funzionale, permettendoci un’alta personalizzazione delle strategie e adattandosi a vari stili di gioco. Sempre da Final Fantasy XI vengono riprese le Hunt, ovvero battute di caccia esterne alla trama di gioco volte a stanare e uccidere dei boss di gioco particolarmente potenti. Le ricompense sono svariate, e in generale si tratta di un’attività piacevole, che diversifica e spezza il gameplay promuovendo l’esplorazione del mondo. Si tratta in effetti di una versione riveduta e semplificata dei Notorius Monsters dell’undicesimo capitolo, dove invece eravamo costretti ad attendere per ore (in base al mostro potevano passare anche giorni, o addirittura settimane) prima che uno di questi boss si manifestasse ingame e avessimo la possibilità di attaccarlo.
Escludendo l’atipico episodio online, Final Fantasy XII è il primo titolo della serie a non fregiarsi delle musiche di Nobuo Uematsu. Il compositore aveva infatti lasciato la compagnia per mettersi in proprio e lavorare da freelance, impegnandosi principalmente nel supportare Hironobu Sakaguchi con i suoi nuovi progetti. Per qualche ignoto motivo Square Enix decise di non affidare la composizione al maestro Yasunori Mitsuda (Chrono Cross), ottenendo infine quella che è considerata la peggior colonna sonora della saga. 

Dopo i vari Final Fantasy IX e X, ancora perfettamente in linea con la vecchia scuola, Hiromichi Tanaka si prende la responsabilità di un undicesimo capitolo che, seppur online e diverso dal solito, conserva tutto lo stile e il fascino della saga, e ancora oggi continua ad essere giocatissimo sui server di PlayOnline. Final Fantasy XII viene acclamato, vende circa 5,5 milioni di copie, tanti magazine lo eleggono gioco dell’anno, e la sua qualità è innegabile agli occhi di tutti. Ma a prescindere da tanta perfezione, un nota stonata comincia a stridere nel cuore degli appassionati di vecchia data, avvertendo di un cambiamento, gridando una mancanza difficile da razionalizzare. Il papà della saga non c’è più. Forse la fantasia finale è andata via con lui.