Planescape: Torment

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a cura di Plinious

Il mese scorso ha fatto un gran parlare di sé l’annuncio di Torment: Tides of Numenera. Il progetto, finanziato tramite una campagna su Kickstarter, ha battuto tutti i record divenendo il videogame più finanziato sulla nota piattaforma, tanto che gli abbiamo dedicato un’anteprima apposita. Certamente tra i motivi di questo successo c’è il fatto che il gioco si presenta come il successore spirituale di Planescape: Torment, titolo che gode di un’aura sacrale tra i fan degli RPG e che merita ampiamente di essere ricordato in questo speciale.
Sviluppato dalla defunta Black Isle (divisione della software house Interplay) e uscito nel 1999, Planescape: Torment a suo tempo venne, se non ignorato, quantomeno accolto freddamente, non tanto dalla critica (che già allora ne tesse le incredibili doti) quanto piuttosto dal pubblico, abituato a gameplay dallo stile più veloce e basati sul combattimento: il prodotto non vendette uno sfracello di copie, assurgendo solo successivamente (e meritatamente) allo status di cult. Ne è una dimostrazione il fatto che, dopo essere stato rilasciato sul sito di retrogaming Good Old Games, è diventato presto “the second most wanted game on GOG”. Si tratta dunque di un gioco che ha saputo primeggiare nell’olimpo dei GDR, assieme a campioni del calibro di Deus Ex, Baldur’s Gate e Fallout con relativi seguiti, e che val la pena analizzare con maggior dovizia di particolari.
“I’m looking for my lost mortality”
Visionario, enigmatico, filosofico, metafisico: Planescape: Torment è tutte queste cose assieme e anche di più. Ma l’aggettivo che forse più si addice a descrivere l’atmosfera che permea il gioco è “labirintico”, come approfondiremo più avanti.
Come da titolo, Torment è ambientato nel mondo (anzi, nei mondi) di Planescape, uno tra i setting più complessi e maturi concepiti per l’universo di Dungeons & Dragons. Ambientazione semplicemente unica, che mischia insieme letteratura, filosofia medievale e suggestioni esoteriche, la cosmogonia di Planescape comprende un intero multiverso su cui si strutturano tanti piani, separati eppure connessi da portali, sorretti da un misterioso equilibrio. I diversi piani dipendono dagli elementi naturali che li dominano (come il piano elementale del fuoco o quello dell’acqua), oltre che dal loro allineamento morale tra Legge, Neutralità e Caos: ecco quindi che l’Abisso è un piano malvagio caotico, mentre ad esempio il Limbo rappresenta la perfetta neutralità; questi piani sono però in continuo mutamento e possono “spostarsi” col tempo, in base all’etica e alle credenze spirituali di coloro che li abitano. Al centro del multiverso, in una specie di disco sospeso nel cielo, è infine collocata Sigil, la città delle porte, di cui parliamo meglio nel terzo paragrafo.
Passando alla trama in sé, l’incipit è piuttosto bizzarro: subito dopo la creazione del personaggio (limitata alla sola scelta delle statistiche, visto che il protagonista è obbligato), il gioco ci catapulta in un mortuario, in cui ci risvegliamo insieme a Morte, un teschio fluttuante e un po’ troppo chiaccherone. Il problema è che il nostro alter ego non ricorda nulla, né sa chi è: tutto ciò che riguarda il suo passato è buio totale, e le inquietanti scritte che porta tatuate sulla schiena non aiutano più di tanto a dissipare i dubbi. Come se questo non bastasse, egli sembra immortale: morire difatti non comporta altre conseguenze se non il risvegliarsi su una fredda lastra dell’obitorio. Dovremo allora condurlo fuori dal mortuario, alla ricerca di un diario che dovrebbe contenere le risposte che cerchiamo, e tentare di capire cosa gli sia successo. Così facendo, scopriremo presto che le cicatrici più profonde del “Senza Nome” non sono quelle del corpo, ma quelle che si porta dentro nell’anima.
Il gioco si serve dunque di un tòpos, un luogo comune quantomeno abusato (quello di una forte amnesia del protagonista), ma lo usa per costruire una delle storie più originali e meglio scritte nella storia dei giochi di ruolo. Niente principesse da proteggere o mondi da salvare dall’antagonista di turno, insomma; tutta la vicenda ruota attorno a un uomo (non a caso chiamato Nameless One) e alla maledizione che sembra perseguitarlo da tempo immemore, costringendolo a un ciclo continuo e innaturale di morte e rinascita. Un intreccio sulla carta sicuramente meno epico e più “intimo” rispetto a molti altri RPG classici, e che forse anche per questo resta marchiato a fuoco nella mente del giocatore.
D’altro canto molta della forza del gioco sta nella vividezza con cui sono tratteggiati personaggi e ambientazioni, il cui merito va al lead designer Chris Avellone, artista che ha contribuito a titoli quali Fallout 1-2, Star Wars: Knights of the Old Republic II e Neverwinter Nights 2, giusto per nominarne alcuni. Infatti, pur disponendo di una propria rappresentazione grafica, Planescape: Torment integra l’esperienza ludica con accurate descrizioni testuali, che arrivano persino a delineare odori, rumori e sensazioni ricordando da vicino l’atmosfera dei giochi di ruolo cartacei.
“Endure. In enduring, grow strong”
Dal punto di vista della giocabilità, Planescape: Torment si presenta di fatto come un RPG old-school basato sul regolamento di Advanced Dungeons & Dragons, anche se non privo di alcuni spunti di originalità; per esempio il Senza Nome inizia il gioco come un guerriero, ma parlando con appositi trainer è possibile cambiare classe e diventare un mago o un ladro, mantenendo in ogni caso le caratteristiche già apprese.
Rispetto a molti altri GDR, la differenza più marcata consiste nel fatto che i combattimenti ci sono ma rivestono un ruolo marginale, poichè qui tutto si gioca sull’interazione tra i personaggi e sui dialoghi (che a tratti raggiungono vette di bellezza davvero sublimi). A questo proposito le statistiche più importanti sono l’intelligenza e soprattutto la saggezza, perchè permettono di influenzare i dialoghi, aumentare l’esperienza ricevuta e accedere a frammenti di memoria del protagonista con il proseguire del gioco. Questo può avvenire tramite dei flashback, che il Nameless One ha quando incontra una persona, un luogo o una situazione familiare o in qualche modo connessa alle sue vite precedenti, facendogli prepotentemente riaffiorare alla mente ricordi del passato.
Come in ogni gioco basato su D&D che si rispetti, fondamentale è la questione dell’allineamento: ogni personaggio (compreso il nostro) dispone di una morale che lo guida e lo costringe ad attuare delle scelte, che si ripercuoteranno poi con delle conseguenze, ed avere un protagonista “caotico buono” piuttosto che uno “legale malvagio” cambierà sensibilmente, sia in fatto di interpretazione sia di risposte operabili durante i dialoghi. Oltre all’allineamento, dovremo presto decidere a quale fazione affiliarci tra la moltitudine presente a Sigil, come gli Harmonium, i Dustmen o i Sensates, ciascuna con un proprio culto e visione del mondo; unirsi a uno di questi gruppi consente di accedere a rituali e negozi riservati, e ci condizionerà per il resto della partita.
Durante la campagna è inoltre possibile arruolare nel party una serie di companion, tutti caratterizzati da pensieri, ideali e personalità distinte con cui non potremo fare a meno di incontrarci o scontrarci; tra questi si annoverano Morte, il cinico teschio che segue ovunque il protagonista, Dak’kon, saggio guerriero githzerai e fedele compagno di ventura, la tiefling Annah, cresciuta nei bassifondi di Sigil, schietta e dai metodi decisamente sbrigativi, ed altri compagni, ognuno con una sua storia da raccontare. Questi personaggi vanno a formare un party bizzarro e variegato, composto da tante voci diverse e spesso in contraddizione tra loro.
Welcome to Sigil
Un paragrafo a parte lo merita Sigil. Tentacolare e opprimente, in questa città è ambientata buona parte del gioco. Crocevia per le diverse razze che popolano il multiverso, Sigil è dominata dalla Signora del Dolore, un’entità misteriosa, da molti considerata al pari di una divinità, che vieta il culto di qualsiasi dio nella città (compresa lei stessa). Sigil funge da collegamento per tutti i piani grazie ai portali, cancelli invisibili che hanno bisogno di una chiave unica per essere attivati, sia essa un’arma, un oggetto, una filastrocca o un pensiero: solo una volta dopo aver fatto uso della giusta chiave un portale si aprirà e permetterà di passare “dall’altra parte”.
Sigil è divisa in tanti quartieri, dalla malfamata zona dell’Hive fino al burocratico rione degli uffici: si tratta di una città viva, che si evolve insieme ai suoi cittadini, a loro volta appartenenti ai più vari strati sociali, da nobili a straccioni, da studiosi a prostitute. Inoltre, Sigil è un luogo su cui circolano molte leggende e dicerie: spetta a noi, se vogliamo, cercare di scoprire quali di queste siano vere e quali invece una fantasia dei suoi abitanti.
Per il Senza Nome, Sigil è un enorme labirinto di specchi, in cui più ci si addentra e più si trova riflessa la propria immagine. Questo labirinto non è soltanto fisico ma anche metaforico, e corrisponde al cammino interiore di un uomo per risalire alle proprie origini e alla propria “natura”. La città infatti è come uno specchio dell’anima tormentata del protagonista: impariamo a conoscere Sigil, con i suoi dedali, angoli bui e vicoli dimenticati, e conosceremo meglio pure noi stessi, facendoci strada nei recessi della memoria smarrita del Nameless One. L’introspezione dunque riveste un ruolo fondamentale in Planescape: Torment.
Updated my journal (anche in italiano)
Per esplorare tutte le sfumature di un prodotto così complesso e stratificato non basterebbe un libro; allo stesso modo, un solo playthrough non è sufficiente per godere del gioco nella sua interezza. Impossibile quindi pronunciarsi sulla longevità: a seconda di come lo giochiamo, la durata dell’avventura potrebbe variare da un minimo di trenta ore necessarie per finire la questline principale fino a un centinaio abbondante, nel caso in cui scegliessimo di addentrarci a fondo nelle storie e nei mille segreti del multiverso.
Costruito sull’Infinity Engine, lo stesso motore di Baldur’s Gate, il titolo originale gira a una risoluzione che il gamer moderno definirebbe “preistorica”. Per fortuna, in aiuto intervengono i widescreen mod reperibili in rete, che permettono di fruire di Planescape: Torment a tutto schermo e in HD.
Il gioco presenta invece una colonna sonora d’eccezione grazie al composer Mark Morgan, con musiche orchestrali cupe e affascinanti ad accompagnarci durante il nostro viaggio. Un’imperdibile chicca riguarda infine il menu principale, in cui il bottone per uscire dal gioco (e tornare perciò alla vita reale) è significativamente chiamato “The Abyss”.
Capitolo traduzione: nel 2000 un gruppo di coraggiosi giocatori italiani ha deciso di tradurre in lingua natìa Planescape: Torment, fino a quel momento disponibile solo in inglese. Un’iniziativa encomiabile, vista l’immensa mole di dialoghi e considerato anche il lessico difficile e con molte parole in slang, che è stata completata con successo due anni dopo: chiamata Italian Translation Project, la patch è facilmente trovabile cercando su google.
Il lavoro, per quanto purtroppo non esente da qualche difetto e imprecisione (probabilmente dovuti alla natura amatoriale del progetto), denota comunque un grandissimo impegno nella volontà di tradurre le migliaia di linee di testo. La versione originale è superiore, ma nel caso in cui non conosciate alla perfezione l’inglese quella proposta dall’ITP è un’ottima alternativa, nonché l’unica per godersi il titolo in italiano.
In conclusione, Planescape: Torment non è soltanto un “semplice” videogame, ma una vera esperienza interattiva, che ogni giocatore vivrà a modo suo. Noi l’abbiamo vista come un’intensa riflessione sulle grandi domande che da sempre attanagliano l’uomo e, contemporaneamente, sulla necessità della ricerca della conoscenza, soprattutto di se stessi, tanto difficile quanto spesso data per scontato. A questo proposito esemplari sono le parole di Dak’kon, riportate in italiano per una più facile comprensione:
Quando una mente non conosce se stessa, è imperfetta. Quando una mente è imperfetta, l’uomo stesso è imperfetto. Quando un uomo è imperfetto, tutto ciò che tocca diviene imperfetto. Si dice che tutto ciò che un uomo imperfetto vede, le sue mani lo spezzano.

Planescape: Torment è il miglior esempio di tutto ciò che un vero RPG dovrebbe rappresentare: non solo combattimenti, ma dialoghi, esplorazione e introspezione. Graficamente sarà superato, ma dal punto di vista delle scelte morali e delle interazioni tra i personaggi costituisce ancora oggi una vetta ineguagliata, da cui molti videogiochi che si professano “di ruolo” dovrebbero prendere a piene mani. A patto di avere un PC e di non odiare i GDR, non ci sono scuse per non provare Planescape: Torment, perfettamente godibile pure in italiano grazie alla localizzazione dell’ITP.

Parafrasando il famoso motto del gioco (“Che cosa può cambiare la natura di un uomo?”), è il caso di dire che la natura essenziale di un videogioco non cambia nel tempo: i capolavori restano tali, anche a distanza di quattordici anni.