Occhio Critico - L'inglese, questo sconosciuto

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a cura di Gianluca Arena

Senior Editor

In un mondo sempre più globalizzato, in cui espressioni di altre lingue hanno fatto stabilmente il loro ingresso nel linguaggio comune, venendo accettate, obtorto collo, anche in ambienti accademici o scolastici, molti dei videogiocatori italiani, tra i quali tantissimi nostri lettori, sono convinti che la mancanza di localizzazione nella nostra lingua all’alba del 2018 sia un fatto inaccettabile.
Occhio Critico la pensa diversamente (come anche un’altra corposa fetta dei nostri lettori) e oggi parlerà diffusamente di come non si possa pretendere l’italiano ovunque, per ragioni di opportunità e, perché no, anche di arricchimento personale.
 

Night in the woods

La miccia che ha innescato il dibattito è venuta dalla mancata localizzazione di Night in the Woods, recensito pochi giorni fa nella sua eccellente versione Switch: il prodotto Infinite Fall, figlio di un team di sviluppo composto essenzialmente da tre persone, con l’ausilio minimo di uno sparuto gruppo di collaboratori esterni in determinati passaggi del processo di sviluppo, è infatti disponibile nella sola lingua inglese, senza nemmeno i sottotitoli nell’idioma di Dante.
Cionondimeno, parliamo di un’esperienza fantastica, che meriterebbe assolutamente di essere esperita da una larghissima fetta di pubblico e non solamente da coloro i quali masticano la lingua d’Albione in maniera più che adeguata: in calce all’articolo, i nostri lettori si sono divisi in due schieramenti contrapposti, ognuno con le proprie ragioni.
Da una parte, coloro i quali professano il dogma “no italiano, no acquisto”, ritenendo semplicemente inaccettabile che al giorno d’oggi escano sul mercato nostrano prodotti che non supportano la lingua italiana, dall’altra chi rispondeva che non è sempre possibile godere di una localizzazione, perché, oltre ad avere dei costi, questa richiede tempistiche notevoli.
Nello specifico caso, è difficile non dare ragione ai secondi: il team di sviluppo dietro le avventure di Mae Borowski è così risicato che pretendere una completa localizzazione nella nostra lingua significa non comprendere a pieno le dinamiche del mercato e le ristrettezze con cui i team indipendenti si ritrovano a fare i conti.
Pur avendo riscosso un grande successo soprattutto da parte della critica, tanto nell’edizione PC quanto su console, Night in the woods rimane un prodotto indie a basso budget, che ha venduto discretamente bene in rapporto a quanto è costato ma che non renderà milionari i suoi creatori, e men che meno batterà i record di prodotti ben più blasonati.
Pretendere che il team di sviluppo ne ritardasse l’uscita e si sobbarcasse l’onere di affidare a terzi la localizzazione in una lingua come l’italiano, parlata solamente al di qua dei nostri confini (a differenza dello spagnolo, ad esempio, o del francese), equivale a pretendere da un’utilitaria le stesse prestazioni di una muscle car, o da uno smartphone di una sotto-marca la stessa qualità costruttiva di quelli che provengono da Cupertino. 

Fischi per fiaschi

Certo, l’ultimo FIFA è pienamente localizzato in italiano, dal parlato ai testi, come l’ultimo Call of Duty e quello prima, come lo saranno anche i prossimi Assassin’s Creed e, siamo sicuri, anche Far Cry, God of War e l’episodio che segnerà il ritorno di Uncharted sugli schermi.
Ma questi sono franchise tripla A, con budget con tantissimi zeri e tempi di sviluppo spesso mastodontici: è davvero così difficile comprendere che ciò che offrono prodotti di questo calibro non può essere offerto da titoli indie che costano una frazione di ognuno di essi?
Qualcuno potrebbe obiettare che alcuni titoli indipendenti sono comunque dotati quantomeno della sottotitolazione nella nostra lingua, ma questa, quando presente, va considerata come una piacevole sorpresa piuttosto che come una regola ferrea da seguire; peraltro, abbiamo assistito ad una sfilza di prodotti che, nel tentativo di accalappiare più fan possibili,  hanno finito con l’accontentarsi di traduzioni poco più che amatoriali (quando non basate su Google Translate), che hanno danneggiato il prodotto e lo hanno reso involontariamente comico (torna alla mente la versione pre-patch di Salt and Sanctuary, ad esempio).
Le lamentele di parte del pubblico sarebbero giustificate se uno o più dei colossi sopra citati bocciasse inopinatamente il mercato nostrano da un giorno all’altro, considerando quanto buone sono le vendite dei franchise riportati sopra e il prezzo di lancio, ormai stabilmente sopra i settanta euro.
Al contrario, ogni lamentela decade quando il prezzo richiesto da un gioco non arriva nemmeno ad un terzo di questa cifra e quando, per motivi di vario genere, mancano i sottotitoli, la cui assenza, peraltro, diviene veramente un problema solamente in concomitanza con i titoli di maggiore impatto narrativo, come appunto Night in the woods, e non per la stragrande maggioranza dei prodotti.
Per quanto apprezzabile sia lo sforzo dei rispettivi team di sviluppo, insomma, molti dei blockbuster succitati (se non tutti) potrebbero essere tranquillamente giocati anche da quanti abbiano una conoscenza “solo” scolastica della lingua inglese.

Autocritica

E qui, al capitolo “conoscenza della lingua inglese”, casca l’asino.
Personalmente, avendo iniziato a giocare quando la lingua italiana era solamente un’utopia e tutto era in inglese, ho usato la mia passione per i videogiochi come leva per imparare una lingua nei confronti della quale nutrivo curiosità e che nella vita, come nel lavoro, mi è poi tornata utilissima.
La spiacevole impressione è che, ben abituati da anni di traduzioni capillari in italiano, divenute la regola a partire, grossomodo, dalla scorsa generazione di console, certe fasce di videogiocatori  si siano un po’ impigrite, nonostante la lingua inglese si studi in tutte le scuole italiane da almeno trent’anni.
Alla fine della fiera, il consumatore ha sempre il coltello dalla parte del manico, perché ha il potere di acquistare un prodotto, premiando così lo sforzo del team di sviluppo, o lasciarlo sullo scaffale (fisico o digitale che sia), ma la questione può essere affrontata anche dal punto di vista opposto, ovvero che rifiutando di mettere alla prova il proprio inglese, magari facendosi aiutare da un dizionario o da traduttori online, ci si perde perle della strabiliante qualità di Night in the woods, visto che questo è stato il titolo attorno al quale il dibattito si è infiammato.
E, occhio, qui non si tratta di fare i “radical chic”, come qualcuno ha commentato: chi scrive gioca in italiano tutti i giochi che lo supportano, anche perché spesso (pensiamo ai team che lavorano con Nintendo e alla traduzione italiana di Thimbleweed Park, giusto per fare un paio di nomi) il lavoro di localizzazione è di qualità eccelsa, ma non esclude per partito preso titoli potenzialmente meritevoli solamente perché non contengono almeno i sottotitoli nella nostra lingua.
Farlo, e rinunciare a prescindere ad esperienze videoludiche di grande valore, mi sembra miope ed aprioristico, e, se è vero che a perderci è il team di sviluppo quando non si investono soldi nel suo indie, è pur vero che un giocatore che ha passato venti ore con un titolo mediocre solamente perché interamente in italiano e ha tralasciato un piccolo capolavoro solo perché in inglese ha speso male tanto i suoi soldi quanto il suo tempo.
E chiudiamo con una provocazione, utile a far riflettere: coloro che pretendono l’italiano ovunque sono davvero sicuri di preferire rimanere con un inglese zoppicante e tanti giochi meritevoli lasciati da parte piuttosto che applicarsi maggiormente durante le ore di lezione di inglese a scuola (o all’università)?
Ai posteri (e ai vostri commenti) l’ardua sentenza.

Il diritto di acquistare quello che si vuole e quello di lamentarsi sono sacrosanti, e sulle pagine di Spaziogames.it c’è spazio per tutte le opinioni espresse con garbo e pacatezza.

Ma, prima di lamentarci dell’assenza della localizzazione italiana in titoli indipendenti composti da team assai ristretti con budget ancora più ristretti, non sarebbe meglio impegnarci a fondo per migliorare la nostra conoscenza della lingua più parlata al mondo, che torna utile in tantissimi ambiti della vita privata e lavorativa?

E, secondariamente, perché, dopo aver accettato, negli anni, pratiche come i DLC, i servizi online a pagamento, le microtransazioni, le patch monstre al day one e i controller con la batteria che dura meno di un rapporto sessuale ci lamentiamo di cose che a livello puramente commerciale non fanno una grinza?

Nel darvi l’appuntamento alla prossima puntata, Occhio Critico aspetta le vostre risposte a queste domande nei commenti.