Nei meandri del mercato delle chiavi PC

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a cura di Francesco Ursino

I giocatori PC più smaliziati sanno che i giochi, specialmente quelli destinati ad essere fruiti attraverso Steam, costituiscono un mondo a parte. Comprare un titolo a prezzo pieno, e con soldi veri, costituisce la punta di un iceberg che include, nella sua parte sommersa, molti altri modi per appropriarsi (legalmente) dei giochi. Un giocatore, infatti, può avvantaggiarsi dei siti che propongono giveaway gratuiti di titoli messi a disposizione da altri utenti, per non parlare dei giochi rilasciati liberamente dagli stessi sviluppatori, magari durante la fase di early access o mentre il titolo si trova nel limbo di Steam Greenlight. Abbiamo poi il mondo del farming delle trading card dei giochi Steam; con perseveranza e tanta abnegazione, gli utenti più “sgamati” hanno infatti l’occasione di costruire da zero un portafoglio Steam utile, poi, per acquistare giochi anche a prezzo pieno, semplicemente grazie ai ricavi della compravendita di carte. Quest’ultima strategia di acquisto, però, prevede una certa dose di perseveranza e fortuna; in altre parole, non è detto che tutti gli utenti Steam abbiano il tempo o la pazienza di effettuare la compravendita di centinaia di trading card. Nel caso non si voglia aspettare, allora, una delle strade percorribili dai giocatori è quella di rivolgersi al grey market costituito dai marketplace rivenditori di codici, che spesso propongono prezzi stracciati per giochi appena usciti. Dal lato dell’utente, difatti, questa pratica ha solo un inconveniente pratico: l’acquistare, cioè, codici che poi si rivelano essere rubati, duplicati, o comunque impossibili da utilizzare; in questo senso, almeno sul piano formale, molti siti di questo tipo si sono mossi in direzione di una auspicabile trasparenza, con programmi di protezione e di supporto al cliente. Che dire, però, di coloro i quali sono sostanzialmente dall’altra parte della barricata, ovvero gli sviluppatori di quei giochi che è possibile acquistare sui siti di key?

Fatto il mercato, trovato l’ingannoIl mercato delle chiavi PC è letteralmente invaso da codici in cerca di collocazione e, considerate le operazioni citate in apertura di articolo, non è difficile capire il perché. Alcuni titoli minori, specie negli ultimi tempi, vengono riproposti con assiduità attraverso giveaway gratuiti periodici, che difatti vanno a costituire un patrimonio di chiavi che non sempre trova posto nelle librerie dei giocatori. I più furbi, o meglio disonesti, trovano il modo di approfittare anche di queste occasioni, difatti appropriandosi di chiavi gratuite che poi vengono riproposte sulle piattaforme dedicate ai giveaway di giochi PC; la pratica del gifting di titoli gratis, in questo caso, va contro i principi di questo tipo di siti, e perciò viene combattuta in primo luogo dalla community. In questo caso, infatti, i soliti furbetti cercano di appropriarsi dei vantaggi dati dall’essere contributori – come la possibilità di partecipare a giveaway esclusivi – senza però seguire le regole dei vari siti in questione.Se a questo meccanismo aggiungiamo il denaro, poi, ecco che tutto diventa immediatamente più complicato; nei giveaway, infatti, è possibile vedere il passaggio del gioco da un utente all’altro come un vero e proprio regalo: in cambio del titolo il donatore non riceve benefici economici, e chi se ne appropria non deve sborsare alcunché. La piattaforma, ovvero il sito sul quale vengono pubblicati i giveaway, ha semplicemente il compito di tramite tra domanda e offerta; lo stesso discorso può essere fatto anche con i siti che vendono chiavi a prezzi ridotti: alcuni di questi portali, infatti, propongono i giochi che alcuni utenti hanno in esubero, acquistabili dietro pagamento. La piattaforma adotta il classico modello di business basato sulle commissioni, che coprono di norma tutta una serie di attività legate alla presentazione delle inserzioni. Gli ultimi casi saliti agli onori delle cronache dimostrano come tutto questo sistema, evidentemente, sia aggirabile da chi non è proprio ben intenzionato; utilizzando carte di credito rubate, infatti, è teoricamente possibile acquistare numerose chiavi dai rivenditori, per poi riproporle attraverso queste piattaforme. In un certo senso, si tratta di un’operazione di pulizia di denaro rubato, che genera anche un profitto.

Acque intorbiditeIl danno economico apportato da queste strategie, per gli sviluppatori, può arrivare ad avere cifre importanti, ma non è così semplice dimostrare l’eventuale disonestà delle operazioni in oggetto, a causa anche dell’immaterialità dei codici. Il problema nasce dal fatto che, una volta rilasciate, le chiavi sono libere di vagare per il web; capire se si tratta di codici rubati, oppure venduti illegalmente, sembra essere, a volte, impresa ardua. Uno dei motivi è da ricercare nella varietà dei canali di vendita; difatti, oggigiorno uno sviluppatore può distribuire il suo gioco attraverso giveaway (sia sul suo sito, sia su siti esterni), oppure attraverso bundle; il più importante di questi è l’Humble Bundle, ma sappiamo bene quanti altri siti propongano soluzioni di questo tipo, specie per i titoli più piccoli e indipendenti. Abbiamo poi le versioni beta che, in un secondo momento, diventano codici per la versione finale, le promozioni, i contest; infine arriviamo alla vendita diretta, a quella su piattaforme di digital delivery, quella su siti specializzati, oppure sui marketplace generalisti. Capire come gestire centinaia di batch di chiavi diventa complicato, visto che anche se si capisse di quale partita facessero parte le chiavi rubate, bisognerebbe comunque revocare tutte le copie facenti parte dello stesso batch; questo significa giocatori indispettiti, e un ritorno negativo d’immagine ben prevedibile. Per ovviare a questa situazione si potrebbe pensare di distribuire le chiavi in gruppi quantitativamente più piccoli, ma questa è una soluzione che richiede più tempo e maggiori competenze; fattori, questi, che non possono far parte di tutti i piccoli team che si affacciano sul mercato. Il risultato di tutto questo è un meccanismo in cui, difatti, sembra che il potere vada quasi esclusivamente verso i distributori di chiavi. Nel momento in cui non è possibile muovere accuse precise contro un dato portale, è evidente che questi intermediari di codici trovano fin troppo facile difendersi, ad esempio accusando a loro volta i rivenditori partner dei singoli sviluppatori, ovvero i soggetti che comprano i codici dalla fonte e li rivenderebbero, per convenienza, proprio alle piattaforme di vendita di codici a prezzi irrisori. Si comprende come questo tipo di accuse sia il più delle volte strumentale, ma nel momento in cui non si può dimostrare quali siano le chiavi rubate, e da chi siano state rubate, è evidente come si tratti della parola degli sviluppatori contro quella dei marketplace incriminati.

Rapporti di forza che forse stanno cambiandoNon è difficile capire perché queste piattaforme di vendita di codici a poco prezzo abbiano tutto questo successo: i giocatori, dal canto loro, hanno a disposizione offerte dai prezzi spesso irrisori; considerati i rapporti di forza espressi in precedenza, almeno nel caso degli sviluppatori minori, risulta chiaro come sia difficile riuscire a revocare una partita di chiavi che si sospetta sia rubata, sia per motivi logistici ma anche di immagine. La situazione cambia parzialmente nel momento in cui si parla di publisher e sviluppatori più potenti: il passato, infatti, ha già visto episodi in cui diverse chiavi, considerate illegali, sono state revocate proprio da marketplace incriminati. Qual è, in ogni caso, la via da seguire per evitare che gli sviluppatori debbano sottostare al potere di questi soggetti? Gli ultimi avvenimenti suggeriscono come, in effetti, qualcosa stia per cambiare, andando a riequilibrare i rapporti di forza tra sviluppatori e marketplace. La strada scelta sembra essere quella delle royalty, da girare agli sviluppatori per ogni titolo in vendita. In questo modo, difatti, i creatori di videogiochi hanno l’opportunità di monetizzare le vendite del grey market. Ma non basta: le rinnovate misure di sicurezza coinvolgerebbero un rapporto maggiore con gli stessi sviluppatori, per non parlare della possibilità, per gli utenti, di donare fondi direttamente agli studi attraverso gli stessi marketplace. Messa così, allora, è chiaro che la sopravvivenza di questi portali stia a cuore a tutti.Pur avendo la possibilità di dimostrare che le piattaforme di vendita a prezzi irrisori diminuiscono in parte i profitti degli sviluppatori, inoltre, è chiaro come l’equazione non possa riequilibrarsi in maniera automatica eliminando questi attori dal mercato; molto semplicemente, non è affatto detto che gli sviluppatori riescano a vendere la stessa quantità di copie, a prezzo pieno, piazzata invece dai marketplace di chiavi. Seguendo questo ragionamento, quale potrebbe essere la reazione del mercato a una possibile chiusura di queste piattaforme? Per gli sviluppatori, evidentemente, potrebbe voler dire (secondo noi in minima parte) maggiori guadagni, ma per i giocatori – ragionando concretamente – potrebbe significare anche un ritorno verso la pirateria.

Le piattaforme che rivendono chiavi a prezzi stracciati, dunque, operando da intermediari tra domanda e offerta, difatti a volte sembrano sottrarsi alle proprie responsabilità, che riguardano la qualità del servizio offerto. Il problema, però, più che la vendita in sé riguarda il “cosa” si vende, ovvero chiavi che potrebbero essere state ottenute illegalmente. Le lamentele di chi sviluppa giochi sembrano essere in parte condivisibili, sebbene sia giusto considerare che l’assenza delle piatteforme dedite alla compravendita di chiavi non garantisce, con tutta probabilità, un giro d’affari equivalente a quello cui assistiamo attualmente. Si tratta dunque di una vicenda assai complessa, e in cui è pur vero però che i rapporti di forza sembrano in qualche modo riequilibrarsi, grazie soprattutto alle ultime iniziative messe in atto a favore degli sviluppatori.

In un mondo fatto di chiavi e codici liberi di circolare per il web, e soprattutto poco tracciabili, tutte le parti in causa sembrano avere una fetta di ragione e una di torto; il risultato, è quella zona grigia in cui i giocatori possono sì fare affari, ma in cui sono altresì presenti soggetti disonesti e che operano al di fuori di ogni legislazione. Qual è il vostro parere a proposito? Fatecelo sapere nei commenti!