LIMBO

Avatar

a cura di Moxarc

ATTENZIONE: lo speciale contiene per ovvie ragioni grossi spoiler sul finale del titolo, non leggetelo se non volete rovinarvi la sorpresa
Nel 2006 una coppia di talentuosi game designer danesi di nome di Arnt Jensen e Dino Patti decisero di fondare un studio di programmazione indipendente, a cui diedero il nome di Playdead. I due erano spinti dal desiderio di realizzare un vero e proprio sogno che balenava loro nella mente fin dal 2004: si trattava di un puzzle game con una forte componente platform, ma con un’ambientazione ben lontana dalle atmosfere giocose e colorate a cui questo genere ci ha spesso abituato. Un’avventura all’interno di territori freddi ed ostili, dominati da un perenne stato di penombra e nel quale il giocatore viene lasciato solo in balia del proprio destino.
Forte di queste poche ma incisive premesse, LIMBO ha visto la luce nel 2011 e subito si è elevato agli onori della critica, ricevendo recensioni entusiaste dalla maggior parte degli esperti di settore. Dapprima il titolo è stato commercializzato per Xbox tramite il servizio Xbox Live, ma ben presto ha finito per colonizzare tutte le piattaforme ludiche come Ps3, PC, Mac e addirittura sistemi iOS. Il gioco è stato persino scelto da Microsoft come regalo per gli eary adopter di Xbox ONE: a tutti coloro che hanno giocato alla console nella sua prima settimana di uscita, è stata data infatti la possibilità di scaricarlo gratuitamente e in anticipo rispetto al rilascio ufficiale. Colpiti da questa scelta, ci siamo soffermati a riflettere sui cardini dell’esperienza ludica di LIMBO, un titolo indie sicuramente atipico e per questo rimasto nel cuore di molti videogiocatori. 
Un mondo sospeso
Secondo la concezione dantesca espressa nella Divina Commedia, il limbo viene descritto come il luogo nel quale si ritrovano le anime di tutti coloro che sono deceduti senza aver commesso particolari peccati, se non quello originale di non essere stati battezzati: vi si trovano quindi i bambini nati morti, le persone rette nate prima della venuta di Cristo e tutti coloro che per varie ragioni non ebbero modo di conoscere il suo messaggio. La loro unica pena è quella di essere condannati a rimanere eternamente tra luce e tenebra, senza timore della dannazione eterna, ma parimenti impossibilitati a elevarsi verso la luce. E questa sembra proprio la sorte toccata al giovane protagonista dell’avventura creata da Playdead: si tratta infatti di un ragazzino di cui non conosciamo quasi nulla, se non che sta cercando disperatamente la sorella: per il resto potrebbe anche trattarsi di uno spettro o di un fantoccio, senza un nome né un aspetto ben definito, ma caratterizzato soltanto dalla presenza di due inquietanti occhi luminosi. Il suo campo di azione è un mondo nel quale non esiste né luce né buio totale, ma una costante penombra che rende tutto appannato ed irreale. Perfino i suoni sono pochissimi e tutti di natura ambientale. La sensazione predominante, fin dalle prime battute di gioco, è quella di grande straniamento ed insicurezza, in quanto LIMBO si presenta in modo grezzo e brutale, senza tutorial o testo a schermo ad istruire il giocatore. Il protagonista all’inizio giace svenuto a terra ed è perfino difficile scorgerlo: solo ad una prima pressione dei tasti direzionali lo vediamo alzarsi lentamente e spalancare i grossi occhi brillanti. A questo punto l’unica cosa che si può fare è proseguire nella sola direzione disponibile ed affrontare una serie di rompicapo di difficoltà crescente, per i quali non esistono consigli, ma solo la possibilità di provare e riprovare infinite volte fino a raggiungere la soluzione. I comandi sono quanto di più semplice ci si possa immaginare: 4 tasti direzionali ed un singolo tasto per l’interazione con gli oggetti, ma nonostante questo le sfide proposte sono tutt’altro che chiare. Il gioco porta a livelli estremi il cosiddetto sistema del trial and error, costringendo di fatto l’utente ad assistere continuamente alla morte del protagonista, spesso rappresentata con immagini molto crude ed effetti sonori disturbanti (ad esempio quando il ragazzino si schianta al suolo o quando vien trafitto dalle zampe di un ragno gigante). Gli stessi programmatori hanno dichiarato che, relativamente alle fasi di testing, molti giocatori sono rimasti bloccati durante le sessioni di gioco, incapaci di capire come si dovesse procedere: da inguaribili romantici ci piace pensare che Playdead abbia voluto regalarci in questo modo una straordinaria metafora della vita, nella quale nasciamo “nudi” ma col tempo acquisiamo autonomamente le capacità di far fronte agli ostacoli che ci troviamo davanti, imparando dai nostri sbagli e provando enorme soddisfazione nel non ripeterli. Se vista in quest’ottica, anche la scelta di non presentare alcun canovaccio narrativo acquisisce un senso ben preciso: LIMBO non possiede una storia definita perché incarna in sé un archetipo, quello della ricerca e del superamento delle difficoltà, adattabile alle esperienze di ognuno di noi. 
Non a caso sono state date molte interpretazioni riguardo le vicende che si susseguono e soprattutto per quanto concerne il finale del gioco. Dopo aver attraversato una foresta ed aver incontrato mostri ed esseri umani ostili, il ragazzo raggiunge la sorella, ma la perde subito di vista. A questo punto l’ambientazione muta in ciò che sembra una fabbrica, dotata di enormi ingranaggi e nastri trasportatori. Sul finire di questa zona, il ragazzino risolve un rompicapo basato sulla manipolazione della gravità e viene proiettato contro un pannello di vetro che si infrange rovinosamente. La caduta lo scaraventa su di un prato identico a quello sul quale si trovava all’inizio del gioco. Poco distante da lui si trova la sorella, girata di spalle. Il giocatore a questo punto non ha nemmeno il tempo di manifestare il proprio stupore in quanto il gioco termina brutalmente con i titoli di coda. Qual è dunque il significato dell’avventura appena terminata? 
Il fatto che il gioco sembra concludersi nel medesimo luogo da cui è partito rimanda a concetti di ripetizione e ciclicità, per questo motivo molti pensano possa trattarsi di un semplice incubo partorito da una mente disturbata, altri ritengono più plausibile l’idea riguardante la discesa agli inferi di un’anima dannata o al contrario del raggiungimento della pace eterna per uno spirito devastato dal dolore per la perdita della sorella. Di certo non sapremo mai cosa avevano in mente Arnt Jensen e Dino Patti quando hanno dato vita a questo titolo e probabilmente è meglio così: tutte le grandi storie hanno nascono e crescono nella mente di ognuno di noi e LIMBO rientra proprio in questo caso. Limitiamoci dunque a ringraziare il duo per averci donato un piccolo grande capolavoro all’interno del panorama indie, sempre più saturo e nel quale non è mai facile discernere i prodotti di qualità. Minimalista all’inverosimile, LIMBO merita di trovare posto nella collezione di ogni videogiocatore, trattandosi di uno degli ibridi meglio riusciti tra prodotto di intrattenimento e stato dell’arte, tra sfida avvincente e pungolo filosofico. Forse troppo breve ma contenutisticamente ineccepibile.

La completa mancanza di una qualsivoglia narrazione rende LIMBO un titolo decisamente anomalo ed affascinante. Provatelo anche se non siete amanti del genere e cercate di andare oltre la dura scorza sotto alla quale si presenta: raggiungerete così il cuore pulsante di questo titolo e potrete prendere parte ad un viaggio indimenticabile, dove gioco ed arte si fondono alla perfezione.