Recensione

Ken's Rage 2

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a cura di Pregianza

Tecmo Koei ha il merito di aver creato i Musou, un sottotipo dell’action game hack n’ slash caratterizzato da un numero spropositato di nemici e da protagonisti dotati di poteri quasi divini, capaci di sterminare intere armate senza battere ciglio. 
Stando al naturale processo evolutivo delle cose, negli anni un genere dovrebbe perfezionarsi e migliorarsi fino all’eccesso, magari sperimentando soluzioni di game design nuove e inesplorate o proponendo una struttura sempre più approfondita e raffinata. I Musou però non si sono evoluti, sviluppando solo parzialmente alcune idee interessanti e puntando sempre e solo sulla “massa” più che sull’effettiva qualità del gameplay. La situazione potrà sembrare paradossale, ma il vero paradosso sta nel successo di tali titoli, che apparentemente non accennano a perdere colpi e continuano a vendere nonostante bastonate ricevute a destra e a manca dalla critica, manco si trattasse di Dodo al contrario che proliferano invece di andare incontro all’estinzione. 
Il primo Fist of the North Star: Ken’s Rage non ha rappresentato un’eccezione, e poco è servito l’essere basato sul manga più azzeccato in assoluto per questa tipologia di videogame. Dopo l’annuncio del secondo capitolo, le nostre previsioni erano tutt’altro che rosee, anche a causa di una sconsolante intervista con gli sviluppatori. Triste a dirsi, ma le aspettative redazionali non sono state tradite.  
Sei già morto, di noia
Non serve a molto ripetere per la milionesima volta la storia di Hokuto no Ken. Chiunque sia nato negli anni 80 o 90 la conosce a menadito, viste le numerose messe in onda dell’anime e la diffusione globale del manga.
Una cosa però è bene dirla: Ken’s Rage 2 è un seguito atipico quanto a storyline, perché non si limita a proseguire le vicende del predecessore, che si concludevano alla fine della prima metà dell’epica di Hara e Buronson, ma le ripropone in una veste ancor più fedele all’opera cartacea e ricca di dettagli, per poi farle proseguire con l’arco dell’imperatore celeste e l’intera parte dell’isola degli Shura. 
Se sapete di cosa stiamo parlando vi renderete subito conto che si tratta di una campagna enorme, capace di impegnare per ore e ore. Peccato che Ken’s Rage 2 sia una lampante dimostrazione di come possa a tutti gli effetti esistere una cosa chiamata “obesità videoludica”, ovvero un eccesso spaventoso di contenuti che non vengono in alcun modo supportati dal ripetitivo gameplay e dal semplicistico sistema di gioco su cui si fondano, e riescono pertanto a divenire addirittura deleteri. 
Le basi del gioco sono infatti quelle viste in quasi tutti gli altri Musou sfornati finora. Il sistema di combinazioni si basa su serie a due colpi, a volte variate con un terzo attacco e combinabili con tecniche speciali che consumano un indicatore aura se utilizzate. Non c’è targeting, non ci sono salti in combattimento, e il giocatore dispone di una parata e di una schivata piuttosto basilari e facili da usare. La varietà delle meccaniche ruota soltanto attorno alla diversificazione dei vari personaggi, dotati di combo, attacchi speciali e caratteristiche differenti, ma in generale ci si limita a utilizzare quasi esclusivamente serie che si concludono con attacchi ad area per ripulire il campo di battaglia rapidamente, o tecniche sicure in grado di spezzare la guardia dei nemici più massicci, dopo le quali è naturale proseguire con una delle mosse più devastanti o con una nuova combinazione. Una struttura quanto mai intuitiva, ma anche tremendamente noiosa dopo un po’. 
La finezza non è di casa qui e, mentre i nemici normali sono semplice carne da macello pronta a disintegrarsi sotto ai nostri colpi, gli avversari più impegnativi possono venir costantemente aggirati senza problemi, poiché seguono pattern estremamente prevedibili o non sono in grado di reagire alla devastante potenza di alcune tecniche. L’intera prima parte della campagna non è altro che un susseguirsi di scontri di una facilità assurda, la cui ciliegina sulla torta sono boss fight continuamente interrotte da stacchetti narrativi e i cui pochi ostacoli appaiono cristallini a qualunque giocatore navigato nel giro di una manciata di secondi. La velocizzazione generale dei combattimenti rispetto al predecessore non riesce minimamente ad arginare le mancanze della struttura generale.
A volerla dir tutta, qualche missione “alternativa” c’è, perché gli sviluppatori hanno voluto inserire nella campagna delle fasi extra nelle quali si guidano veicoli, si aggirano i nemici silenziosamente o si utilizzano elementi del paesaggio per eliminare l’opposizione. Il problema risiede nel modo in cui queste fasi sono state introdotte, sono difatti sviluppate con una pigrizia sconfinata e alle volte così rozze da risultare involontariamente ridicole. Se questa è l’idea di innovazione degli sviluppatori di Koei, siamo a cavallo. 
I wanna go to Shura Island
Tornando a parlare di livello di sfida, va detto che la difficoltà fa fortunatamente un balzo una volta raggiunta l’isola degli Shura. Lì i nemici base sono sempre governati da un’intelligenza artificiale paragonabile a quella di un paramecio, ma almeno tolgono di più quando colpiscono e i boss vantano una resistenza maggiore unita a mosse leggermente più difficili da arginare. Se affrontata alla difficoltà Caos, questa parte della campagna può risultare a tratti divertente per i più esperti, ma aspettate a gioire, perché qui subentra un’altra scelta insensata di game design. La prima parte della campagna, quella già giocata fino allo sfinimento in Ken’s Rage, non può venir saltata. No, non stiamo scherzando, se avete già giocato il capitolo precedente vi toccherà comunque ripercorrere tutti gli eventi già vissuti. Poco importa se vi sono molte missioni aggiunte, in un titolo dove il tedio colpisce il giocatore come un uppercut al mento dopo poche ore, l’assenza di un’opzione per passare subito agli archi successivi è follia pura. 
Se questa camionata di caratteristiche pessime non vi spaventa e siete così appassionati della saga da volerla spolpare fino al midollo, sarete felici di sapere che nell’opera Koei torna la modalità Sogno, nella quale è possibile utilizzare gran parte dei personaggi principali congegnati da Buronson anche in co-op con un amico in locale o online. La struttura di tale opzione è simile a quella osservata nei primissimi Dinasty Warriors, con missioni pensate a mò di battaglie a zona, concluse le quali ci si ritrova solitamente dinnanzi a un nuovo boss. Seppur più ripetitiva della campagna, la modalità riesce a essere uno dei pochi punti di forza del titolo, perché offre personaggi ben studiati e piuttosto unici che portano un po’ di brio alla formula, così come nella campagna i momenti più piacevoli sono rappresentati dai brevi cambi di protagonista offerti in certi livelli. Sono infine presenti degli elementi gdr legati a pergamene sparse per le mappe, che modificano le statistiche dei combattenti e donano abilità passive piuttosto utili. Non basta ad ogni modo per rendere il titolo apprezzabile, specialmente se da un action game vi aspettate un gameplay variegato, complesso e appassionante. 
Eri brutto anche prima di venir riempito di pugni
In più occasioni gli sviluppatori Koei ci hanno precisato di voler migliorare all’inverosimile il comparto tecnico dei Musou, ma Ken’s Rage 2 difficilmente può aspirare all’olimpo dei giochi graficamente più spettacolari della storia. Siamo davanti a un titolo con ambientazioni scarne, texture sgranate e blande, animazioni non particolarmente fluide, frame rate ballerino e problemi grafici che non si dovrebbero più vedere nel 2013, come pop up improvviso dei nemici su schermo e evidentissimi episodi di interpolazione poligonale. Il gran numero di avversari a schermo non è una giustificazione sufficiente, specie quando si considera il riutilizzo continuo di modelli tridimensionali per nemici e personaggi minori.
Migliore il discorso per protagonisti e antagonisti primari, che mostrano le carenze del motore grafico solo durante inquadrature molto ravvicinate. Lodevole poi il sonoro, con sonorità J-Rock adatte al prodotto e doppiaggi di alto livello in giapponese.
La qualità principale del gioco consiste nell’essere una sorta di enciclopedia virtuale di Hokuto No Ken. Una volta completata la campagna, ogni scena può essere rivista come se si trattasse di un manga virtuale, anche in virtù del peculiare approccio alle cutscene che ricorda proprio un fumetto animato. Sicuramente positivo per i fan, ma varrà la pena affrontare decine di ore di combattimenti soporiferi per potersi godere il manga di Hara in versione 3D? 

– Enorme, permette di rivivere quasi la totalità dell’epica di Buronson e Hara

– Numerosi personaggi giocabili, tutti piuttosto unici

– Cooperativa anche in split screen, e versus mode online

– Gameplay ripetitivo e noioso, che non accenna a evolversi

– I.A. praticamente nulla

– Tecnicamente pessimo

– Costringe a rigiocare l’intera campagna del primo Ken’s Rage

5.0

Fist of the North Star: Ken’s Rage 2 è un perfetto esempio di “obesità videoludica”, un titolo contenutisticamente sconfinato, la cui massa non può però venir supportata da un gameplay stantio, ripetitivo e antiquato, che non sembra voler migliorare. Se siete fan sfegatati dell’epica di Hara e Buronson, probabilmente riuscirete comunque ad apprezzare il lavoro di Koei, vista la notevole fedeltà al materiale originale, ma nel caso non facciate parte della categoria… girate alla larga.

Voto Recensione di Ken's Rage 2 - Recensione


5