Il crowdsourcing videoludico - Parte I

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a cura di Francesco Ursino

Io adoro Football Manager. Ogni anno, il gioco Sports Interactive mi consente di vivere un’avventura calcistica sempre nuova, permettendomi tra l’altro di sfogare la mia passione un po’ malata per faccine, kit, skin e qualsiasi altro ammennicolo grafico sia possibile applicare a titoli del genere. Il database del gioco in questione contiene centinaia di migliaia tra giocatori, allenatori, preparatori e osservatori italiani. Eppure, lo studio a capo del suo sviluppo conta non più di un centinaio di membri interni; se si considera che ogni iterazione della serie ha una release annuale, si comprende come sia dura riuscire a creare un database così particolareggiato per la maggioranza delle 51 nazioni giocabili nel titolo. Per questa ragione, ogni anno, mesi prima del lancio del gioco, un intero team di capi scout setaccia l’internet con l’intento di creare una rete di appassionati che, grazie alla conoscenza delle serie calcistiche inferiori, contribuisce a creare il database.

Se si esclude la possibilità di vincere una copia del titolo, per la maggioranza di questi appassionati non è prevista remunerazione, se non la presenza nei crediti di gioco. In sostanza, dunque, l’enorme database di una delle serie più apprezzate degli ultimi decenni è formato proprio da semplici giocatori, che agendo in maniera collettiva diventano essi stessi sviluppatori del loro titolo preferito. Questo è il crowdsourcing videoludico, fenomeno che cercheremo di approfondire nel corso di questi speciali.

Fermi tutti, arriva internetIl crowdsourcing, in senso generale, è una pratica di risoluzione di problemi complessi, che vengono presi in carica da una massa di persone connesse a internet. Una data azienda (nel nostro caso un publisher o uno sviluppatore) che necessita di esternalizzare un’attività chiede aiuto ai numerosi utenti del web, invece di rivolgersi a una impresa terza; il caso particolare più noto di questo meccanismo è quello in cui il problema da risolvere, specie per uno sviluppatore, è la mancanza di fondi, donati allora da una massa di appassionati; come si è capito, in questa eventualità si parla del determinato tipo di crowdsourcing chiamato crowdfunding. 

Il punto di partenza per cercare di comprendere come questi meccanismi influenzano i videogiochi è l’arrivo di internet, che ha stravolto sia l’ottica dei singoli appassionati, ma anche degli sviluppatori. Uno dei cambiamenti principali riguarda la relazione oggi potenzialmente esistente tra chi sviluppa e produce un videogioco, e chi poi lo acquisterà. Difatti, lo scambio di informazioni è sempre più a due direzioni, e non è difficile capire perché: ogni trailer proposto riceve commenti, ogni fase beta porta con sé prezioso feedback, e molte iniziative “social” vanno a definire quella che sarà l’esperienza utente finale. 
Pensiamo al caso di Mass Effect 3, dove l’aspetto della versione femminile del comandante Shepard è stato scelto dagli utenti, sulla base delle alternative mostrate da Bioware. Questa relazione, però, non si ferma solo alla fase di sviluppo di un gioco, ma può seguire anche tutto il ciclo di vita di un singolo titolo; allargando un po’ i termini della nostra analisi, è possibile dire che, nel momento in cui uno sviluppatore condivide tool di sviluppo con l’utenza, è come se si stesse cercando di risolvere il problema della presunta scarsa quantità di contenuti presenti nella versione base del gioco. Tutto ciò è ancora più vero nel momento in cui si sta parlando di una produzione di nicchia che, però, può contare su una solida fan base. Lo stesso Football Manager, ad esempio, include un editor del database (così che gli utenti possano ovviare a eventuali errori o alla scarsità di elementi nelle rose); sono numerosi, in ogni caso, i giochi che integrano tool che consentono di modificare elementi grafici, nonché di creare nuovi livelli.

Nobili intenzioniCi si potrebbe chiedere, però, perché si faccia tutto ciò. Perché si spende del tempo nel cercare di migliorare un database, oppure per creare una skin, o una mod. La risposta, evidentemente, non è del tutto sconosciuta a nessun giocatore, e si basa su una delle valute più preziose nell’ambiente di internet, ovvero la reputazione. È evidente come, insieme all’utilità pratica che si ricava dal migliorare il proprio gioco preferito, si ricavi anche una gratificazione a livello psicologico, che può avere un riverbero sulla propria cerchia di conoscenze, siano esse virtuali o reali. Un esempio pratico viene da rFactor: chi ha bazzicato per tanto tempo il titolo Image Space Incorporated, ed era interessato a scoprire nuove mod, si è sicuramente imbattuto nel nome del mitico ungherese Sompir, che ha permesso a tanti appassionati, con le sue mod dalla legalità sospetta, di guidare le auto di Formula 1 dei campionati di qualche anno fa.

L’unione fa la forzaLe relazioni tra chi fa i videogiochi e chi li usa sono sempre più fitte, e a volte avvengono anche senza accorgersene. Qualsiasi sia il tramite, o il modo in cui tutto ciò avviene, è indubbio come tutto questo flusso di dati possa essere sfruttato con profitto. Pensiamo alla piattaforma online PlayStation.Blog Share; nel nostro caso specifico, Sony si pone il problema di come migliorare la propria console casalinga, ovvero PlayStation 4; il compito di trovare nuove idee, però, non è più interno alla sola casa di Kyoto, ma si estende agli ambasciatori più accaniti (ed esperti) della macchina da gioco, ovvero i giocatori. È così che sono nati progetti che hanno portato all’aggiunta di nuove lingue, caratteristiche tecniche e aggiornamenti dell’interfaccia.

Affinché questa grande opera di collaborazione avvenga, però, è necessario che il compito da svolgere dai giocatori abbia caratteristiche abbastanza precise: per prima cosa, deve trattarsi di un problema semplice, di modo da poter disporre di molti partecipanti, e soprattutto riducibile in piccole parti, capace cioè di non portare via troppo tempo. L’esempio principe, in questo senso, viene ancora dal crowdfunding: il problema dello sviluppatore, lo abbiamo già detto, è la mancanza di fondi. Invece di chiedere aiuto a soggetti terzi (banche o prestiti familiari), chi crea videogiochi può rivolgersi alla massa di giocatori presente in rete. 
Ogni giocatore, dal canto suo, ha un solo compito, semplice e facile da portare a termine: scegliere il gioco da supportare, e procedere con la transazione. Un altro esempio è dato dalla scelta dei testimonial per le cover dei giochi sportivi: per Madden 15, ad esempio, Electronic Arts ha indetto una sorta di campionato dei testimonial. Sono stati i 9.600.000 voti espressi dai giocatori, tramite internet, a determinare dunque l’atleta più meritevole di trovare spazio sulla copertina del titolo. Per fare ciò, difatti, è stata sufficiente solo una manciata di clic.

Il crowdsourcing è un fenomeno presente e importante all’interno del mondo videoludico. Negli speciali che seguiranno, infatti, scopriremo come lo sviluppo di numerosi giochi rientri nelle dinamiche che abbiamo solamente accennato in questo speciale introduttivo. Che si tratti dello sviluppo di mod, dell’organizzazione delle informazioni tramite siti e blog, o delle semplici opinioni espresse su un forum, poco importa; quello che conta, invece, è il continuo scambio di informazioni che oramai intercorre tra sviluppatori, publisher e giocatori, che può essere sfruttato da tutte le parti chiamate in causa. Nel prossimo speciale, allora, scopriremo come uno dei pilastri su cui si fonda il crowdsourcing, ovvero l’intelligenza collettiva degli utenti di internet, si ripercuote sui videogiochi.