Recensione

Ghostbusters Sanctum of Slime

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a cura di Antony

Gli acchiappa-fantasmi sono da sempre il sogno proibito di molti videogiocatori, sin dagli albori di questo media si sono susseguite diverse trasposizioni da celluloide, spesso, anzi sempre, con risultati non del tutto entusiasmanti. Lo spiraglio arrivò con il titolo omonimo apparso su console un paio di anni or sono, restituendo in gran parte l’atmosfera originale, mixando con sapienza azione e humor in un concentrato imperdibile per gli appassionati. Ora Atari ci riprova con Ghostbusters Sanctum of Slime, acquistabile unicamente tramite i servizi di digital delivery. Modificare la struttura di gioco sarà utile alla produzione? Andiamo a scoprirlo.

Nuovi Ghostbusters a New YorkPartiamo subito con la campagna a singolo giocatore composta da dodici livelli, in cui potremo impersonare uno dei quattro apprendisti acchiappa-fantasmi che sostituiscono la storica squadra. Scelta insensata, dato il valore aggiunto in termini umoristici del mitico Peter Venkman e soci. L’introduzione in stile fumetto ci introduce ad un’invasione di massa di fantasmi ed altre creature maligne nella Grande Mela. Il nuovo team di eroi non è altro che una scialba fotocopia di quello originale, privo di qualsivoglia personalità. Superato il prologo ci troveremo a debellare un gruppo di fantasmi all’interno di un hotel, scenario già arcinoto e sviscerato in film e videogioco. Il gameplay è quello classico degli shoot’em up in due dimensioni con visuale dall’alto: con lo stick sinistro gestiremo i movimenti del nostro personaggio, mentre quello destro sarà dedicato alla mira e per sparare dovremo premere l’analogico stesso. Il nostro arsenale sarà composto da tre armi contraddistinte: rossa, gialla o blu. Gli ectoplasmi che ci troveremo ad affrontare saranno anch’essi marcati dagli stessi colori, di conseguenza per eliminarli dovremo far combaciare i cromatismi. Dopo i primi livelli di gioco ci renderemo subito conto della scarsissima potenzialità di un sistema di gioco esile e ripetitivo. L’impossibilità di potenziare i nostri equipaggiamenti fa scivolare nel baratro la varietà e con essa il divertimento. Alla piattezza generale contribuiscono anche le ambientazioni degli stage. In ogni livello saremo chiamati ad esplorare diversi luoghi, tutti simili tra loro, non solo per gli elementi scenografici, ma anche strutturalmente, inoltre il design dei nemici è afflitto dallo stesso problema di originalità di cui sopra. Ogni quadro è frammentato in singole stanze chiuse, in cui il giocatore dovrà eliminare l’orda di nemici prima di poter avanzare all’ambiente successivo, ripetendo poi l’azione sino alla schermata conclusiva. Frustrante. Nemmeno i boss di fine livello, che richiederanno la collaborazione di tutti e quattro i componenti del team, scuoteranno il giocatore dall’inevitabile assopimento, chiedendosi inoltre per quale motivo non sia possibile fronteggiare i nemici senza l’aiuto dei tre compagni, arma a doppio taglio in molte occasioni. Spesso si intrometteranno nella linea di tiro, oppure si lasceranno colpire senza la minima reazione, senza citare i ridicoli errori dovuti al diverso abbinamento dei colori per liquidare gli avversari. Per ovviare a tutto ciò potremo chiamare rinforzi in carne ed ossa. 

Who you gonna call?La situazione, riguardante esclusivamente la parte giocata, migliora sensibilmente in compagnia di altri tre amici, sia online sia sulla stessa console. Attrattiva di punta di questo titolo è infatti il comparto multiplayer co-op, che regala una boccata d’aria fresca alla pessima esperienza legata alla campagna per giocatore singolo. La generale monotonia non tende a sparire, ma perlomeno riuscirà ad aumentare il coinvolgimento e l’interesse verso i vari stage, portandoli a termine con relativa semplicità e dimestichezza. Anche qui permane un difetto: il numero di giocatori dovrà essere selezionato all’inizio della partita e durante la medesima non vi si potranno aggiungere alleati. Nel caso di abbandono o disconnessione di uno dei partecipanti vedremo sparire dallo schermo il nostro alter-ego, senza nessuna sostituzione da parte dell’IA, riportandoci dunque all’incubo del singolo giocatore. Di fronte ad un’analisi tecnica il gioco ne esce con le ossa rotte. Le ambientazioni sono scialbe e piatte, senza particolari distinzioni o caratteristiche peculiari che le rendano eccessivamente distinguibili dalle altre, gli infimi oggetti distruttibili potevano seriamente essere lasciati da parte. I nemici offrono un cattivo spettacolo in tutti i sensi: riciclati all’infinito, senza carisma, patetici e mal realizzati. Il doppiaggio audio è inesistente, una colonna sonora ripetitiva fino alla nausea, forse utilizzare il tasto muto del televisore potrebbe rivelarsi un’ottima idea. Detto questo sconsigliamo l’acquisto del gioco anche ai fan più accaniti, probabilmente quelli che soffrirebbero maggiormente nel toccare con mano lo scempio perpetrato.

– Divertente in compagnia…

– … ma frustrante in singolo giocatore

– Pessimi protagonisti

– Pessimi scenari

– Pessimi nemici

4.0

Ghostbusters Sanctum of Slime rivela la sua vera natura: un pessimo gioco pronto a sfruttare un’acclamata licenza, un classico tie-in maledetto dalla classica incuria del caso. La cattiva scelta del nuovo cast, gli spogli scenari e lo straziante comparto audio rendono il titolo a tratti irritante, salvandosi soltanto grazie al multiplayer cooperativo. Sconsigliato vivamente a tutti.

Voto Recensione di Ghostbusters Sanctum of Slime - Recensione


4