Fuori dai Denti - Il caso Hatred

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Riuscire ad emergere nella fitta e spaventosa giungla che il nostro settore è diventato, specialmente per i piccoli studi di sviluppo, è diventato un compito di una difficoltà davvero immensa. Per ogni minuscolo progetto che ce la fa anche solo a mantenersi in vista per un breve lasso temporale, ce ne sono almeno altri venti che risultano fallimentari, deludenti, privi di idee o fin troppo pieni di imbarazzanti scopiazzature che non portano a nulla di buono. Dire “io esisto” di fronte alla gremita platea di videogiocatori, letteralmente bombardata da migliaia di informazioni, notizie e giochi di tendenza che oscurano gran parte delle opere indie, è sempre più complicato e frustrante per chi produce senza grossi supporti alle spalle. Ciononostante, ci sono diverse vie per reclamare la propria presenza: una, è certamente rappresentata dall’innovazione e dalla carica creativa che il titolo si porta appresso, che riesce ad attirare un certo interesse e una buona dose di curiosità; ce ne sono poi altre meno convenzionali e più sconvenienti, che però riescono a far propagare un’eco che si diffonde in modo capillare e subdolo. Hatred ha deciso che il suo modo per far parlare di sé sarebbe stato la scorrettezza del messaggio di cui si fa portavoce: l’odio per la specie umana, che va estinta con una violenza inaudita.

Le origini del male
Hatred è uno sparatutto isometrico in terza persona con un’atmosfera cupa e disturbante, dove il giocatore impersona un uomo senza scrupoli capace di uccidere a sangue freddo chiunque, solo perché spinto dal suo bruciante odio per l’umanità. Sarete i cattivi, in Hatred. Dovrete affrontare e far fuori tutti indistintamente, dagli inconsapevoli passanti agli agenti delle forze dell’ordine che proveranno a fermarvi. Guadagnerete armi dai cadaveri che vi lascerete alla spalle e dovrete fare di tutto per creare una sorta di giorno del giudizio, dove la società moderna non esisterà più. Nei sette livelli liberamente esplorabili bisognerà sterminare gli essere umani e assecondare ciò che accade nella mente malata del protagonista, che un bel giorno decide di far partire una personalissima crociata contro i suoi simili. 
Nella pagina del gioco – su cui troverete anche le risposte alle accuse politiche che sono state mosse e che noi di Spaziogames non tratteremo in alcun modo – gli sviluppatori spiegano i motivi per cui hanno deciso di fare qualcosa di così estremo. “In un periodo in cui i giochi cercano di essere politicamente corretti, a posto, colorati e decisi a raggiungere qualche tipo di forma d’arte – anziché divertire -, noi volevamo creare qualcosa che andasse in controtendenza. Qualcosa che desse ai giocatori un piacere di gioco unico e puro. Non ci sono scuse, qui. Abbiamo detto di sì a un gioco in cui si uccidono le persone, e l’unico motivo per cui ciò accade in modo così malato è da ricercare nell’odio profondamente radicato nel protagonista. I giocatori devono chiedere a loro stessi cosa può spingere una persona all’omicidio di massa”.
L’intento del team polacco Destrucive Creations è dunque chiaro per chiunque: aizzare la folla e tutti coloro che non ci stanno, per far parlare il più possibile del proprio gioco, costi quel che costi. E ci sono riusciti. Sono state tante le voci che si sono schierate contro questo progetto, e parecchie anche le opinioni che screditavano l’idea alla base di Hatred, ritenuta del tutto gratuita e “furba”. In realtà, però, è anche molto pericolosa, perché nessuno – neanche il critico più illuminato che elogia la libertà di pensiero – potrebbe difendere qualcosa di simile, a meno che non ci si rifugi, infine, in una scappatoia fatta di ipocrisia e di argomentazioni che portano tutte verso la malattia mentale del nostro alter ego. E non basterebbero nemmeno, perché quello che Hatred mostra, e il modo in cui lo fa, è semplicemente terribile e inaccettabile.

Kill’em all
“Il mio nome non è importante. Quello che è importante è ciò che sto per fare. Odio questo mondo”, recita in apertura il protagonista, mentre prepara le sue armi e se le infila dentro il giubbotto. “Questo è il momento della vendetta, e nessuna vita merita di essere salvata. Ne porterò alla tomba il più possibile”. Esce dalla porta, carica il suo fucile d’assalto, fa fuori un paio di uomini e infine sentenzia: “La mia crociata per il genocidio comincia qui”. E subito dopo, nel trailer ufficiale di presentazione, vengono mostrate scene di una violenza talmente efferata che persino quelle di Manhunt sembrano essere più edulcorate e con toni più morigerati. Il punto della questione non sta tanto nel grado di violenza su schermo, ma nella sua sfacciata gratuità, sfruttata solo e unicamente per fini di propaganda del prodotto. Gli sviluppatori si dichiarano orgogliosi della pubblicità che tutti gli stanno facendo, e a chi li taccia di essere degli “Attention whore”, rispondono che era tutto nei piani e che ogni cosa ha funzionato esattamente come desideravano. Dichiarano inoltre che non faranno nulla per cambiare il gioco, che non si fermeranno e che faranno di tutto per far uscire il meglio del meglio, ringraziando i fan per il grande supporto e gli hater per la pubblicità gratuita. Eppure, quella che è una manovra commerciale studiata a tavolino, è anche un motivo di preoccupazione non da poco. Così com’è, infatti, Hatred è davvero indifendibile e potrebbe finire nelle grinfie di una stampa generalista che non aspetta altro per creare servizi ad hoc che stavolta nessuno può definire “vergognosi”, perché l’unica vergogna sarebbe schierarsi apertamente a suo favore. Il titolo, in uscita nel secondo quarto del 2015, è infatti istigatore, carico di una violenza fine a se stessa, e la sua produzione è legata alla necessità di irrompere sulle scene per meriti solo ed esclusivamente scandalistici. Non è ciò di cui abbiamo bisogno.

Sono proprio curioso di provarlo, questo Hatred. Sarebbe interessante capire se sotto la coltre di bieco sensazionalismo fatto di scorrettezze, si nasconde un qualche nobile motivo che possa giustificare il concept di fondo. Naturalmente, la chiusura di questo articolo è fortemente ironica, perché anche con uno sforzo di immaginazione sopra le righe, si fa davvero fatica a trovare motivi per cui dovreste farvi piacere un prodotto di questo tipo. Che tra l’altro sembra anche piuttosto spartano e vuoto, in tutti i sensi.