Fuori dai Denti - Gioco Sporco

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Antefatto: un paio di settimane fa, come tutti ormai saprete, è venuto fuori un fattaccio che metteva al centro dell’attenzione la sviluppatrice di Depression Quest, tale Zoe Quinn, coinvolta in uno scandalo sessuale che la vedeva tradire il suo compagno – tra gli altri – con un giornalista di Kotaku. A noi e a voi questo ovviamente non importa: ognuno è libero di fare le proprie cose con chi vuole e di praticare il libero amore come meglio crede, ma solo fin quando non ci sono altri interessi di mezzo. Il problema nasce nel momento in cui l’unione di corpi diventa la chiave di volta per ottenere favoritismi, come una maggiore copertura del proprio prodotto o un trattamento di favore che non lascia dubbi sulla positività del giudizio. Non possiamo mettere la mano sul fuoco su ciò che è realmente accaduto, ma visto che sono emersi dei dettagli preoccupanti sul comportamento dei giornalisti d’oltreoceano, la vicenda si configura come la classica punta dell’iceberg sotto cui si cela con ogni probabilità ben altro. 

Giochi di potere
Sul caso Zoe Quinn ci sarebbe così tanto da dire che non basterebbero diversi articoli da diecimila caratteri l’uno, per fotografare al meglio una situazione che è decisamente sfuggita di mano. Chi volesse fare delle ricerche su internet  e approfondire la questione, troverà talmente tanti dati e implicazioni che difficilmente riuscirà a districarsi tra verità, presunte tali, e illazioni sul conto delle due parti in gioco. Curiosando tra la tanta carne al fuoco, però, è emerso in modo evidente come da questa torbida storia ne sia scaturita un’altra di natura ben peggiore, che getta un’ombra pesantissima sul giornalismo videoludico made in USA: da ben quattro anni, esiste una mailing lista segreta dove alcuni dei giornalisti più in vista dei siti più importanti e seguiti nel territorio americano, si riuniscono per discutere di argomenti che non fanno esattamente parte dei normali scambi di opinioni extra lavorative. Molte mail sono venute alla luce proprio in seguito allo scandalo sessuale menzionato poco sopra, e i loro contenuti lasciano intendere inequivocabilmente la volontà di decidere a monte di cosa si dovrebbe parlare sulle testate, cosa va ignorato e in che modo gestire il flusso di informazioni, così da influenzare aggressivamente l’opinione pubblica. Tutto ciò, oltre a configurarsi come una gravissima mancanza di trasparenza verso il lettore, denota la presenza di quello che può essere definito un sistema lobbistico che si fa forza della propria posizione di preminenza per plasmare l’informazione, filtrarla o addirittura bloccarla a piacimento, trovando la complicità – anche indiretta – degli altri colleghi. Ciò è avvenuto nel caso della famigerata miss Quinn, con mail private ormai rese pubbliche e tranquillamente reperibili sulla rete, in cui per qualcuno era necessario evitare di pubblicare notizie simili “fregandosene di stronzate come la scusa dell’etica giornalistica”. In una mail si riconosce l’importanza di dare in pasto “agli idioti” (i lettori) queste news, ma poi prevale il buon senso (per loro) di insabbiare il più possibile la malefatta, perché la necessità di salvaguardare la categoria ed evitare che la loro credibilità non subisca un’improvvisa flessione negativa è un bisogno troppo forte per essere ignorato. Quella stampa videoludica vuole che i giocatori credano che la storia di Zoe Quinn abbracci solo la sua vita sessuale e la diffusa misoginia nella community, ma in verità è solo un modo per schermarsi contro le pesanti accuse di scorrettezza. Appurato questo, l’alto rischio di collusione su altri importanti argomenti esiste, ed è evidenziato dalle parole scambiate all’interno di quel gruppo segreto autoproclamatosi “giornalismo d’elite”.

“Venduti, tutti i siti stranieri gli hanno dato 9!”
Non riesco in nessun modo a nascondere un sorriso divertito tutte le volte che leggo sui siti italiani commenti infarciti di teorie complottiste, che vedono i colleghi della stampa italiana (o noi) intascare mazzette o diventare ricchi elargendo voti un po’ sopra la media. La cosa che forse non è chiara a molti, è che il rischio di corruzione – quella vera – esiste soprattutto al di fuori dal nostro territorio, dove gli introiti sono certamente più alti, le possibilità maggiori, e gli interessi di gran lunga più importanti. Lì, nonostante tutto, si è stilata una mailing list dove “i potenti” hanno creato un gruppo di discussione in verità molto sospetto, senza per questo cercare di prevalere su altre testate o colleghi. Costoro, hanno fatto quadrato nonostante la rivalità sia più violenta dei morsi della fame in un uomo costretto all’inedia. Qui in Italia invece ci si scanna con tanto amore, ci si insulta in pubblica piazza e poi si va a cena tutti insieme durante i press tour, chiacchierando del più e del meno. Ma hey, l’idea di una mailing list segreta non potrebbe mai sfiorare nessuno nemmeno per sbaglio, perché in meno di mezzo secondo diverrebbe di dominio pubblico. E qui da noi sì che sarebbe una notizia di quelle belle grosse. Ma il punto non è nemmeno questo, davvero. Il problema, in definitiva, è che il gruppo (che oggi supera i centocinquanta giornalisti) possa aver deciso in passato di indirizzare dei prodotti verso la gloria a scapito di altri, lanciati senza ripensamenti in un immeritato oblio per scopi e motivazioni che tutti possono immaginare. L’ideatore della mailing list, ha sentito inoltre la necessità di spiegare sul sito in cui scrive che il gruppo è innocuo e che non ci sono mai state sospette collaborazioni o strane azioni cooperative, e tutto ciò, senza che nessuno gli abbia mai puntato il dito contro. Quasi come a giustificarsi di un omicidio non commesso mentre si sollevano verso il cielo delle mani che grondano di sangue. Insomma, che la questione sia molto torbida è diventato piuttosto chiaro, ed è altresì evidente che il gruppo da ora in poi cercherà di abbassare il tiro per far volatilizzare i sospetti che si è attirato addosso. Il cosiddetto “GameGate” non è dunque solo il coinvolgimento sessuale tutt’altro che disinteressato tra una sviluppatrice e un redattore, ma un insieme di prove schiaccianti che indicano come un certo tipo di giornalismo, mai come adesso, debba essere riformato.
Un altro Punto di Vista (di Pregianza)
Il “Gamergate” ha fatto spuntare problemi seri nella stampa di oltreoceano, non c’è dubbio, ma è anche il caso di prendere in considerazione altri elementi quando si analizza questo incredibile casino. Da una parte c’è il problema di fondo derivante dall’esistenza della mailing list di cui il buon Valthiel ha parlato qui sopra: la stampa videoludica è composta da individualità, deve offrire punti di vista multipli e informati in modo da dare il quadro completo ai lettori, e non dovrebbe in alcun caso osar influenzare l’opinione pubblica in base a ciò che la favorisce. Il caso Zoe Quinn può tuttavia venir visto come una sorta di stizzita codata difensiva, la risposta di una categoria che ormai sente il peso degli attacchi, o ha in parte perso la volontà di confrontarsi con i lettori per via della mentalità di massa che tende a pervadere le discussioni internettiane. Non sto difendendo la stampa americana, sia chiaro, il caso da cui tutto è partito andava analizzato per bene, tutto ciò che lo riguardava messo in tavola, e per nessun motivo al mondo è giustificabile un insabbiamento delle informazioni nel nostro lavoro. Eppure posso in parte capire, davanti alla follia di certe minacce nei confronti della sviluppatrice coinvolta e alla stupidità imperante di quello specifico dibattito online, che la risposta di alcuni esponenti della stampa oltreoceano sia stata un secco “cancelliamo tutto”. Ci sono grosse colpe anche dall’altra parte, e non vanno ignorate.
Personalmente ritengo che il problema sia alla base, la categoria si è fatta chiusa, parzialmente incapace di raccogliere le critiche costruttive, e le voci fuori dal coro vengono viste come una cosa negativa. Sta maturando oltreoceano una sorta di paura per la sua utenza, piuttosto che una volontà di confronto, e si pensava fosse una cosa ormai superata. 
Sì, buona parte della colpa sta nella stampa americana, ma questo non significa siano tutte mele marce o che ogni critica proveniente dall’estero sia ormai da bocciare. Ci sono volontà riformistiche costanti anche oltreoceano: Rock, Paper, Shotgun da sempre vanta una politica di trasparenza assoluta nei confronti del pubblico, vari giornalisti di Eurogamer.net appartenenti alla mailing list (e non solo) avevano risposto alla questione succitata con quello che in pratica era un “sentite, noi facciamo quel cavolo che vogliamo e non ci facciamo influenzare”, Polygon e Kotaku hanno adottato una politica più aperta e chiara rispetto a prima per riacquistare la fiducia dei lettori, e via così. 
Trovo giusto che un giornalista videoludico dica la propria anche su tematiche riguardanti la morale, problemi etici correlati all’industria e argomenti abbastanza scottanti, ma crociate morali di gruppo per modificare l’opinione pubblica? Quello mi sembra davvero ridicolo. Siamo critici, ed è di videogame che ci occupiamo, punto. Se altrove il nostro ego è arrivato a questo punto, forse è il caso di darsi una ridimensionata.