Recensione

Dreamfall Chapters: The Longest Journey

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a cura di Sir Drake

Nel corso della nostra vita vi sono luoghi nei quali periodicamente ci ritroviamo a tornare. Il nostro luogo natale, la casa dei nostri nonni, una meta di viaggio abituale. 
Ed ogni volta che vi facciamo ritorno non possiamo evitare di notare le differenze rispetto alla nostra ultima visita. Edifici che prima non c’erano che ora sorgono dove vi erano lande vuote, negozi di fiducia ormai chiusi e sostituiti dalle classiche catene simbolo della globalizzazione, crepe in muri che un tempo si ergevano immacolati, eppure, le sensazioni che hanno fatto entrare quel luogo nel nostro cuore sono ancora lì, latenti, pronte a riaffiorare non appena uno scorcio a noi familiare finalmente ci si schiude d’innanzi.
E’ proprio in questo misto di dejà vu e malinconia, di riconoscimento e disincanto, che si innesta l’ipotetico filo conduttore della trilogia di The Longest Journey, saga che ad oggi consta di ben tre capitoli principali, editi nel corso di più di 15 anni.
In Dreamfall Chapters, opera comprensiva dei 5 “libri” pubblicati a partire dal 2014 su Pc da Red Thread Games, ora finalmente sbarcati su Ps4 e Xbox One grazie a Deep Silver, potremo tornare dopo svariate primavere a visitare il magico mondo ideato da Ragnar Tørnquist, provando finalmente a dare risposta ai mille quesiti lasciati irrisolti dal capitolo precedente.
Il rischio di perdersi nel mare tempestoso dei ricordi, tra facce note e luoghi leggendari del nostro passato di avventurieri, è tutt’altro che remoto. Il “viaggio più lungo” è quello nei meandri della nostra memoria, e il rievocare sensazioni da anni sopite può dare riscontri nient’affatto scontati.
Arcadia più ritorno
La storia di Dreamfall Chapters riparte proprio lì dove il capitolo precedente si era interrotto, e si inerpica in un continuo intrecciarsi tra sezioni ambientate nel magico mondo di Arcadia e nel futuro distopico di Stark, proseguendo sulla scia dell’ormai classica dicotomica frattura fra il regno delle arti arcane e quello governato dalla scienza.
La giovane Zoë Castillo riposa in condizioni stazionarie nel suo coma apparentemente irreversibile, mentre il mondo attorno a lei viene nuovamente minacciato dalle mire della WATIcorp, pronta a plagiare le menti dell’intera umanità tramite il lancio della “dreamachine”, visore in grado di stimolare il subconscio degli utenti, portandoli a poter plasmare a piacimento i propri sogni. 
Nel frattempo, in Marcuria, l’Apostolo Kian Alvane è in prigione in attesa di essere condannato per il suo tradimento alle truppe d’occupazione di Azadi, ree di aver ghettizzato e deportato migliaia di cittadini appartenenti alle cosiddette “razze magiche”.
Le strade di entrambi sono ovviamente destinate ancora una volta ad incrociarsi, e con il risveglio di Zoë e la rocambolesca fuga di Kian si innescherà un intricato domino di eventi in grado di lasciare il giocatore col fiato sospeso fino all’ultimo dei 13 capitoli proposti.
Entrare ulteriormente nel dettaglio delle situazioni di gioco, soprattutto vista la natura estremamente narrativa del titolo, sarebbe quantomeno rischioso, tuttavia, è lecito anticipare come molti degli interrogativi e delle questioni lasciate in sospeso nelle avventure precedenti trovino finalmente in Dreamfall Chapters una degna conclusione, mentre altre nuove domande si insinueranno subdole nelle nostre menti, rendendo la verità nient’altro che una chimera.
Tra i cameo dei personaggi storici della serie e l’introduzione di simpatiche new entry, il titolo ci riserverà una serie continua di colpi di scena, alcuni invero un po’ forzati, permettendo al prodotto di fregiarsi di uno degli impianti narrativi più avvincenti degli ultimi anni. Il tutto anche grazie agli scorrevoli dialoghi magistralmente interpretati dai doppiatori inglesi, che aiutano a plasmare personaggi decisamente intriganti e a dar vita a scenette a dir poco esilaranti (sfruttando in particolare il devastante impatto del demenziale Shitbot e l’immancabile verve del nostro amato Crow).
Problema non da poco, però, è come un gioco simile, che si basa su antefatti narrativi decisamente complessi, risulti davvero di difficile comprensione per chi si trova al suo primo “shift” nelle magiche terre d’Arcadia. Infatti, nonostante la presenza di diverse sezioni volte a introdurre personaggi e situazioni ai neofiti della serie, la sensazione è che la nuova opera di Ragnar Tørnquist non sia null’altro che una grandiosa e magniloquente citazione delle avventure passate, stracolma di situazioni atte a solleticare il palato dei fedeli fan della saga di The Longest Journey, che a gran voce avevano richiesto una conclusione più armoniosa per la storyline bruscamente interrottasi col secondo capitolo, e che avevano prontamente finanziato questo progetto una volta proposto su Kickstarter.
Sotto il segno della Bilancia
Se, come detto, l’impianto narrativo risulta praticamente inattaccabile, salvo qualche piccola sbavatura, il gameplay di Dreamfall Chapters presta invece il fianco a più di qualche critica.
La struttura di gioco è molto simile a quella vista in Dreamfall: The Longest Journey, che già costituiva un’importante cesura rispetto all’impostazione “vecchia scuola” del capostipite della saga. Potremo perciò muovere i nostri protagonisti in terza persona in un mondo 3D a dire il vero non molto interattivo, raccogliendo i pochi oggetti di nostro interesse e combinandoli tra loro in caso di necessità.
Eliminate le imbarazzanti sezioni action del precedente capitolo, e semplificate ulteriormente le interazioni tra gli oggetti, in modo da evitare le complessissime e spesso incomprensibili combinazioni di item del primo capitolo, quel che rimane è una serie di enigmi abbastanza scolastici, che spesso si risolvono in una sorta di continua caccia al tesoro, costringendoci a visitare nel dettaglio le varie aree di gioco, che di per loro non brillano di certo per interattività ed estensione.
Alcune sezioni risultano in ogni caso discretamente divertenti, e riescono a intrattenere senza costringere il giocatore a complesse elucubrazioni per arrivare a capo degli illogici puzzle che invece connotano altre avventure. Tuttavia, a più riprese, si avrà la sensazione di compiere attività dall’utilità quantomeno discutibile, volte più che altro ad allungare la “brodaglia”, peraltro interrompendo in modo improvvido lo scorrere della narrazione.
Il vero focus dell’intera produzione è infatti lì, sulla magnifica storia narrata da Ragnar Tørnquist, e in tal senso va anche la scelta di porre grandissima enfasi sulle nostre scelte in fase di dialogo, dando vita a un impianto di gioco incentrato sui bivi narrativi, che ricorda da vicino i titoli di Quantic Dream e TallTale Games, e non di certo i classici dell’avventura punta e clicca.
Ogni scelta da noi effettuata all’interno di un capitolo verrà immancabilmente registrata e avrà conseguenze più o meno imprevedibili sul dipanarsi della trama, rendendo anche la decisione apparentemente più innocua potenzialmente decisiva per il destino di qualche personaggio secondario. Le scelte di maggiore impatto verranno peraltro opportunamente segnalate dallo stesso titolo, che ci sottolineerà in modo evidente come a venire modificate dalle nostre future azioni siano le sorti stesse dell’Equilibrio. Il “peso” effettivo di tali decisioni sulle vicende di gioco è come spesso accade un po’ ambiguo, con bivi davvero decisivi che si contano sulle dita di una mano, eppure questa continua interrogazione della volontà dell’utente restituisce una più che apprezzabile sensazione di immersione, e regala al titolo una potenziale rigiocabilità che arricchisce un’avventura già di per sé sufficientemente longeva.
Dove mi porting…
E’ d’uopo ricordare come il primo libro che compone le vicende di gioco sia stato pubblicato nel 2014, e già all’epoca non godeva certamente di un comparto tecnico di prim’ordine. Ma ora, a quasi tre anni di distanza, tutti i limiti della produzione indipendente di Red Thread Games vengono inevitabilmente messi in ulteriore risalto. Occorrerà perciò convivere con texture spesso non esaltanti, continui effetti di stuttering e cali di frame rate in concomitanza di ogni salvataggio, clipping persistente di personaggi e oggetti, muri invisibili in posti alquanto discutibili, e soprattutto estenuanti caricamenti tra una scene e l’altra. L’auspicio è ovviamente che i problemi di stabilità, frame rate e velocità di caricamento vengano risolti con patch future, ma allo stato attuale l’idea di trovarsi difronte ad un porting in larga parte imperfetto non può che farla da padrone.
Tuttavia, lo stile e la cura che caratterizzano ogni ambientazione, con effetti di luce spesso d’atmosfera e una costruzione delle scenografie e degli sfondi artisticamente irreprensibile, riescono comunque il più delle volte a far chiudere un occhio davanti all’ennesima texture slavata.
Le musiche di gioco sono assolutamente pregevoli e ispirate, anche se solo in pochi e decisivi casi riescono ad incidere e elevarsi dalla mediocrità di un apprezzabile accompagnamento.
Da parte sua, il doppiaggio merita una menzione d’onore, continuando la pregevole tradizione della serie, con interpretazioni davvero di altissimo livello per quanto riguarda tutti i personaggi. Sia le voci che i sottotitoli, è bene evidenziarlo, sono come da tradizione tutti in inglese, mentre è assente qualsivoglia localizzazione in italiano, e in un titolo che fa della narrazione e dei dialoghi il proprio punto di forza è certamente un elemento da tenere ben in conto per chi non ha gran familiarità con la lingua d’Albione.
Come ribadito più volte, la trama rappresenta l’elemento di maggior pregio dell’intera produzione, ma la scelta di focalizzarsi in maniera così evidente sul proseguo delle precedenti avventure, che è bene ricordarlo si erano interrotte ormai nel lontano 2006, risulta chiaramente un’arma a doppio taglio.
Una delle classiche domande quando ci si trova difronte al terzo capitolo di una saga è infatti quanto questo possa essere apprezzato da chi non ha avuto modo di giocarne i primi titoli. In questo caso, in tutta onestà, l’aver già intrapreso il lungo viaggio per la conservazione dell’Equilibrio sembra francamente fondamentale, e l’unico consiglio possibile è quello di recuperare i vecchi capitoli, in una sorta di viaggio nel passato che ormai sa di archeologia videoludica. Una volta superato lo scoglio di una giocabilità ormai vetusta, e di una veste grafica invecchiata francamente maluccio, vi troverete di fronte una delle più belle storie mai narrate in un videogioco.
Una volta concluso il vostro viaggio nelle ere che furono, Dreamfall Chapters sarà lì ad attendervi, pronto a scuotere nuovamente ogni vostra certezza sulla sorte dell’Equilibrio.

– Storia avvincente e ben narrata

– Direzione artistica di primo livello

– Longevità più che discreta

– Potenziale rigiocabilità

– Carente dal punto di vista tecnico

– Gameplay basilare

– Dedicato ai soli fan della saga

– Localizzazione italiana assente

7.0

Dreamfall Chapters, collezione definitiva delle avventure già edite in forma episodica su Pc a partire dal 2014, ci trasporta nel mondo di The Longest Journey per la prima volta sulle nostre console casalinghe.

Il porting non brilla certo dal punto di vista tecnico, risultando a tratti irritante con i suoi continui rallentamenti e interminabili caricamenti.

L’impianto di gioco decisamente “minimalista” e focalizzato principalmente sui bivi narrativi risulta in alcune occasioni leggero e stimolante, ma spesso si inceppa in sezioni alquanto monotone e dal dubbio impatto ludico.

La splendida narrazione e la mirabile direzione artistica del titolo riescono però a risollevare le sorti del prodotto, rendendolo comunque un must per tutti i veterani della saga.

Per tutti gli altri, non rimane che cominciare il viaggio lì dov’era cominciato: nella Border House di Newport, sui pc di un’altra epoca.

Voto Recensione di Dreamfall Chapters: The Longest Journey - Recensione


7