Anteprima

Devil's Third

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a cura di Pregianza

Nel mondo dei videogiochi i personaggi carismatici sono davvero pochi. Gran parte di chi lavora nell’ambiente tende ad essere piuttosto riservato e a muoversi dietro le scene, altri proprio non sono fatti per stare sotto i riflettori, altri ancora invece sono solo strafottenti. Essere al contempo strafottenti e dotati di un carisma che brucia come una supernova però è roba da pochi eletti, tra cui l’esempio più roboante è con ogni probabilità Tomonobu Itagaki. 
Impossibile non ricordare il volto e i modi di fare di quest’uomo dopo averlo visto: non toglie mai gli occhiali da sole, si piazza sulla sedia con il fare di un teppista giapponese e dice sempre quello che pensa, indipendentemente da quanto aggressivo o fuori di testa sia il suo pensiero in quel momento. 
Può permetterselo, in fondo: le sue tacche sulla cintura contano roba come i Dead or Alive e i Ninja Gaiden, con questi ultimi in particolare osannati in eterno da una stretta cerchia di appassionati degli action. Se poi andiamo a prendere il calo qualitativo dei prodotti del Team Ninja dopo la partenza del buon Tomonobu, il cerchio si chiude, al punto che i giocatori della vecchia guardia sono ormai convinti che fosse proprio il suo estro creativo l’unico motivo per cui dalla squadra nipponica uscivano titoloni. Lo dimostra l’interesse su vari forum ricchi di gamer appassionati che si è scatenato recentemente su Devil’s Third, il travagliato progetto del designer e del suo nuovo team, i Valhalla Studios, ormai sul punto di approdare su WiiU dopo anni di sviluppo. 
I dubbi sull’operato di Itagaki erano pochi, d’altronde anche con risorse limitate un uomo con tanta esperienza non può certo fallire. Giusto? E invece oggi siam qui a dirvi che non è giusto per niente, anche se il titolo che abbiamo provato in questi giorni è talmente strano da avere ancora il potere di ribaltare le nostre prime impressioni. Diavolo… forse lo ha già fatto, e nemmeno ce ne siamo resi conto.
Se c’è un limite alla zarria, lo abbiamo disgregato ore fa
Oggi possiamo parlare solo del singleplayer, ma è più che sufficiente, ve lo assicuriamo. Partiamo dalla narrativa, di cui non voglio assolutamente spoilerarvi nulla al di fuori dell’inizio. Voi vestite i panni di Ivan, un poderoso guerriero rinchiuso in una prigione di massima sicurezza che viene contattato dal governo degli Stati Uniti dopo che un’onda EMP ha fritto l’elettronica di buona parte del globo terracqueo (come questo accada via schermo se le componenti elettroniche del pianeta ci hanno salutato non lo sappiamo, ma sssshhhh, non è importante, va tutto benissimo).
Ivan è il re di tutti i tamarri. Letteralmente, è un bestione rasato coperto di tatuaggi mistici, che sa usare qualunque arma da fuoco, combatte come una furia, assorbe lo spirito dei nemici quando li ammazza in corpo a corpo, e rappresenta l’incarnazione di ogni stereotipo da eroe da film action anni 90. Ha addirittura l’accento russo stereotipato alla Danko, pensate. 
Adesso vi chiediamo di tornare momentaneamente con la memoria ai Ninja Gaiden e alle loro trame, che erano delle abominevoli boiate (scusate davvero il francesismo, ma una descrizione più pacata non siamo proprio riusciti a trovarla). Credete fossero state scritte da sceneggiatori dedicati? No, infatti, neanche noi, ma dopo Devil’s Third è evidente che molto del merito fosse proprio di Tomonobu, perché il suo ultimo gioco porta tutto il peggio di quella narrativa a livelli di trash mai visti prima. Roba assolutamente inimmaginabile. 
Come detto, l’assurdità raggiunge livelli tali da portarci a non voler spoilerare, voi sappiate solo che la storia si prende sul serio tantissimo e nel farlo aumenta l’effetto ilarità del 1000%. Tutto questo è, paradossalmente, un bene. Perché quando la trama risulta involontariamente esilarante, ogni elemento acquista più senso. Il problema infatti in Devil’s Third non è la narrativa per quanto folle possa essere, sono ben altre le magagne, e contro ogni aspettativa una di queste è proprio il game design.
Non sappiamo cosa sia saltato negli ingranaggi di Itagaki, ma Devil’s Third ha problemi strutturali immensi. A un primo impatto sembra un titolo velocissimo e con meccaniche crude ma interessanti, come la mira che entra immediatamente in prima persona con la pressione di un tasto, e la possibilità di usare varie armi da taglio che cambiano la velocità degli spostamenti in base al peso ed eliminano i nemici con veloci esecuzioni dopo rapide serie di colpi leggeri e potenti. La frenesia dell’azione tuttavia si spegne quando ci si rende conto di errori grossolani, come scenette durante le missioni che partono in ritardo e provocano momenti di smarrimento conditi dall’impossibilità in certe mappe di superare ostacoli minuti, con quest’ultima che non si risolve nemmeno una volta completate le cutscene necessarie. Tra le altre complicazioni: muri invisibili che impediscono di raggiungere certe posizioni sopraelevate che sarebbero utili ad aggirare i nemici, e l’eccessiva semplicità del combattimento corpo a corpo, che porta spesso a lasciarlo da parte in favore delle poderose armi da fuoco. 
Il calcolo peggiore è stato fatto sul livello di sfida. Itagaki ha voluto creare un titolo dove si muore con la stessa facilità dei suoi Ninja Gaiden, ma nel farlo non ha calcolato il bilanciamento delle armi e i loro effetti. Il risultato? Si può crepare all’improvviso per un paio di proiettili vaganti fortunati, o ripulire un esercito senza un graffio, in alcuni casi facendo esattamente le stesse cose.  Con i boss la situazione si fa poi ancor più ridicola, poiché nemici che in precedenza vi avevano dato tantissimo filo da torcere se affrontati da vicino, diventano all’improvviso mansueti e facilissimi da battere con la giusta automatica tra le mani, e non mancano le morti “cheap” legate a mosse che shottano senza pietà.
“Valhalla!”, “no amico, sei all’inferno”
Non riusciamo davvero a capire il perché di tutto questo, ma ogni cosa impallidisce comunque quando ci si addentra nel comparto tecnico. Ooooh, non potete nemmeno immaginare con che forza il treno si sia schiantato in questo campo, è roba da leggende cantate a squarciagola nelle sale del Valhalla, e forse lo studio di Itagaki piglia il nome proprio da qui.
Avete presente quando vi abbiam detto che il gioco è molto veloce e frenetico? È la verità, tranne quando la sua fluidità cala inspiegabilmente a 10 fps circa e diventa tutto quasi ingiocabile, una cosa che accade più spesso di quanto sia legale. Capiremmo se Devil’s Third fosse una meraviglia per gli occhi, ma qui si parla di un gioco che graficamente è brutto persino se paragonato a molta della roba uscita nella generazione di console precedente a metà ciclo, con texture indegne, modelli poco dettagliati e mappe dalla distruttibilità limitatissima. È come se a livello di sviluppo fosse andato tutto storto e vedere il gameplay ulteriormente rovinato da tali problemi fa male, anche perché, pur avendo una pletora di mancanze, il sistema di Devil’s Third riesce comunque ad esaltare a tratti grazie proprio al tocco di Itagaki, che si nota nell’elevata difficoltà e nella spettacolarità di certi momenti. 
La situazione si fa ad ogni modo ancora più ubriaca quando cerchiamo di tirare le somme di tutto. Devil’s Third è brutto da vedere, ha problemi tecnici assurdi e incrinature evidenti nel game design, eppure è stato uno spasso dal primo all’ultimo minuto. Indipendentemente dai problemi, volevamo avanzare per vedere quale pazzia avesse tirato fuori Itagaki nella missione successiva, e le boss fight, seppur rotte e piene di bug, hanno una certa epicità che cattura. È trash allo stato puro, quel brutto che sotto sotto è quasi bello da cui si fatica a distogliere lo sguardo, e se dobbiamo valutarlo in modo critico ci riesce difficile alzare il pollice al cielo, ma fatichiamo anche a bocciarlo del tutto per il divertimento che ci ha regalato. Non sarà una review facile, altroché, e ancora non abbiamo testato il multiplayer, che se privo di problemi tecnici potrebbe persino risultare una inaspettata sorpresa. 

– Trash a livelli inimmaginabili

– Completamente fuori di testa

Davvero non abbiamo idea di come si abbatterà sulla nostra debole mente umana la prova completa dell’opera di Itagaki al momento. Vi aggiorneremo il prima possibile, in caso di sopravvivenza. Potrebbe essere un’opera trash inarrivabile o una schifezza indefinibile, solo il tempo lo dirà. Noi, per ora, non riusciamo a staccarci dalle sue brutture, e speriamo sia un buon segno.