Anteprima

Dark Souls III

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a cura di Redazione SpazioGames

Articolo a cura di Michele “Sabaku no Maiku” Poggi
Michele ci ha levato da una situazione spinosa, curando l’evento ad Amburgo al posto nostro in un periodo fin troppo pieno di viaggi già organizzati. Qui sotto le sue impressioni del gioco, su quasi 5 ore di provato.
Dark Souls III è un titolo importantissimo per FROM Software e l’intera community di appassionati di questa nicchia di mercato: è il primo prodotto multipiattaforma della nuova generazione, è il ritorno del director originale e odierno CEO dell’azienda nel processo di lavoro, e dulcis in fundo è ritenuto il capitolo finale dell’opera magna del sopracitato autore. Aspettative, preoccupazioni, speculazioni folli: v’è ogni genere di discussione nei confronti di quest’ultimo ciclo della prima fiamma. Con l’evento di Amburgo, Namco-Bandai ha concesso un’opportunità davvero significativa a giornalisti e “addetti ai lavori” di prender visione del titolo, ormai quasi completo. Un’opportunità che voleva comunicare al velocissimo e caotico mondo videoludico di oggi: “non abbiamo niente da nascondere, abbracciate l’oscurità”.
Fra le mura di una chiesa allestita per l’evento, poco prima dell’hands-on di Dark Souls III abbiamo potuto beneficiare della presenza di una coppia veramente importante, formata proprio dal director Hidetaka Miyazaki e dal producer del gioco. Le parole, pur non discostandosi dal manuale delle presentazioni “tipiche”, guadagnavano una potenza rara accompagnate dalle note del colossale organo che replicava il tema principale del titolo, ma l’intero focus dell’evento era la possibilità di provare, senza quasi alcun limite, una più che probabile versione completa (il menù mostrava un fiero v1.01, ndMike) per oltre quattro ore.
Prepare to Kindle
Provare Dark Souls III per un intero pomeriggio mi ha concesso di poterne studiare i più oscuri dettagli tecnici senza alcuna fretta nel proseguire forzatamente, e sono qui proprio per discutere di ciò che ho potuto comprendere da quest’analisi. 
Anche in questo titolo della saga sarà presente un hub centrale dal quale raggiungere le aree di gioco, separate da caricamenti come avvenuto in passato per il Nexus del capostipite Demon’s Souls, e come in quel caso si tratterà di un luogo focale per la narrazione degli eventi, come fosse il centro del mondo. Similmente ai predecessori di questo – supposto – gran finale, poi, diversi personaggi a dir poco enigmatici appariranno o potranno esser aggiunti nell’area in base alle nostre azioni, ognuno di essi con motivazioni specifiche per la propria presenza in quel luogo, un mondo di “vinti” che, come discuteremo a breve, comunica tanto abbandono e tristezza. 
Come già dichiarato e visto in passato è stata aggiunta, oltre agli indicatori che rappresentano la vita e la stamina, anche la barra del mana (un altro ritorno da Demon’s, ndMike), un valore di energia arcana che trasforma gli “usi” degli incantesimi dei precedenti titoli della saga in qualcosa di più classico. Questa statistica si è notevolmente evoluta rispetto a prima, diventando uno strumento utile anche per i giocatori più propensi a combattere armati fino ai denti: ogni categoria di arma – ma sono presenti casi unici e speciali – possiede un’abilità, o “Skill”, che consuma mana per essere utilizzata; da furenti combo automatiche, passando per colpi con effetti e/o range speciali fino a side-step velocissimi, permettono una reinterpretazione totale della profondità di un combat system che ora potrà favorire il roleplay e una tatticità ancor maggiore. Sarà difficile per i veterani abituarsi a sfruttare questa nuova freccia per il loro arco (io stesso sono arrivato a fine hands-on non usandole quasi mai, ndMike), ma l’idea ha potenziale ed è un colpo di genio non da poco.
Il sistema di gioco e l’estetica di questo Dark Souls III si possono letteralmente suddividere in 1/3 Demon’s Souls, 1/3 Dark Souls ed 1/3 Bloodborne, come se l’autore avesse voluto fondere i tre mondi (“ne riparleremo”, ndMike) per raccontare la storia finale di questo universo. L’engine grafico è lo stesso dell’esclusiva Sony Bloodborne, attributo che ha permesso di creare ambientazioni veramente vaste, nelle quali si osservano edifici colossali con la consapevolezza che molti di essi avranno anche interni esplorabili.
Al posto del sangue i protagonisti si sporcheranno di cenere e il combat system è più veloce che in passato, ma, come i suoi predecessori e differentemente da Bloodborne, questo terzo capitolo esige un combattimento strategico, reattivo, più ragionato. Alcune evoluzioni di gameplay portate da Dark Souls II sono state ricostruite con finezza: l’arceria è migliorata, il dual-wielding delle armi ora è meno casuale e trasforma determinati equipaggiamenti in vere e proprie “coppie di armi”; è ancora possibile infondere elementalmente gli equipaggiamenti utilizzando gemme rare, viceversa sono stati rimossi oggetti di comoda cura infinita come le gemme vitali; le creature hanno tracking solo prima di attaccare, così da impedire l’abuso degli attacchi critici (che posson esser effettuati anche rompendo la guardia di uno scudo) senza togliere al giocatore la gioia del combattimento, e le boss fight sono tornate ad essere complesse e combattute. Gli avversari sono incredibilmente vari in forma e dimensione: ho affrontato i primi 3 boss e nessuno era minimamente simile al precedente in aspetto, strategia o luogo dello scontro e in nessuno dei combattimenti era possibile girare intorno all’avversario, dato che ognuno di essi aveva fasi multiple e l’ultimo sfruttava persino una meccanica mai vista in un Souls – era infatti possibile ferirlo solo colpendolo in punti specifici. Ultima componente modificata dal predecessore è stata la caratteristica dell’adattabilità, rimossa probabilmente (anche se qui parlo ad istinto, senza dati alla mano, la cosa mi ha suscitato sincera gioia, ndMike) perché in un sistema arcade, basato sull’abilità del giocatore, avere frame d’invincibilità indecifrabili e diversi in base alla statistica rendeva gli scontri troppo caotici, poco gestibili e paradossalmente poco tecnici.
Embracing the Full-Game
Ho percepito miglioramenti in pressappoco ogni singola componente di Dark Souls III, rimanendo con un fortissimo desiderio di proseguire anche dopo un giorno intero di gameplay consecutivo, il che pone questo titolo fra gli Action RPG migliori che abbia mai avuto modo di vedere in tutto il mio percorso di vita. Eppure a livello personale alcune scelte mi hanno fatto storcere il naso, anche se di poco: il peso trasportabile segue il funzionamento del suo predecessore, con solo il “fast roll” e “fat roll” presenti, dove il primo varia di velocità e ampiezza dello spostamento in modo inversamente proporzionale al peso dell’equipaggiamento in uso… E poichè Dark Souls III impiega una quantità veramente notevole di animazioni – così come librerie sonore – presenti nei suoi predecessori, osservare una capriola generata per esser rapidissima e con look arcade animarsi in modo forzatamente lento potrebbe risultare esteticamente sgradevole, ma bisognerà scoprire in una partita completa come si comporterà questa scelta. 
Ultimo elemento ma non meno importante, come introdotto all’inizio del paragrafo, Miyazaki ha voluto mostrare Lothric narrativamente grande quanto lo voleva esser Drangleic, cosa che portò Dark Souls II ai suoi gravissimi problemi di collegamento fra le mappe e di realisticità topografica di queste ultime. Per ottenere lo stesso risultato, ha fatto una scelta forte e stilisticamente corretta, che però bisognerà metabolizzare a seconda del proprio gusto, dato che le aree sono sì immense e piene di scorciatoie e segreti che ritengo tocchi da vero maestro (evito di fare spoiler specifici, ma sono veramente chicche in grado di stampare sorrisi a 32 denti, ndMike), ma non sono legate fra loro in modo naturale: come il passaggio dalla Fortezza di Sen ad Anor Londo, sono dei “teletrasporti” a muovere il giocatore fra le aree, similmente a come avveniva, appunto, con il Nexus di Demon’s Souls. Inoltre, a differenza della struttura “caotica” di Drangleic, ho avuto modo di osservare come ognuna di queste aree sia correttamente posizionata e visibile ad occhio nudo prima del caricamento, ma perdere la totale connessione infra-aree di Lordran potrebbe comunque dispiacere, anche perché renderebbe possibile una libertà artistica estrema grazie ad un mondo privo di “limiti geografici”. 

Parlando del design e dello stile estetico, è innegabile che, a prescindere dalle molte critiche che sta ricevendo per l’apparente somiglianza a livello estetico con Bloodborne, si tratti di un lavoro dal livello ben superiore alle aspettative: Lothric è meravigliosa, con l’intero mondo di gioco dominato da un sole smunto, morente, cupo.. E’ come vivere interrottamente la magia che comunicava il tramonto di Majula, forse con più tristezza e meno malinconia. L’engine grafico, come detto poc’anzi, è lo stesso della citata esclusiva Sony e visto il tempo di sviluppo piuttosto ristretto è comprensibile notare somiglianze nella palette cromatica e negli shader dei modelli di gioco, ma posso garantire che l’ambientazione ha una sua identità molto forte, anche se non posso esimermi dal sottolineare che, voluto fin dal principio o meno, alcune creature e dettagli potranno fortemente ricordare la buia notte di Yharnam: statue e tombe presiedono il castello, e nel villaggio che ho visitato i nemici avevano mantelli riconoscibili e volti particolarmente simili ai guardiani di Phtumeru… Non vi è nel modo più assoluto un riutilizzo vero e proprio degli asset di Bloodborne, ma l’eco è presente, come anche quello di Demon’s, con ad esempio grossi e grassi avversari che si comportano nella stessa fastidiosa ed indimenticabile maniera degli “ufficiali”. Molti potrebbero non gradire la cosa, ma sono profondamente convinto di come la scelta fatta dallo studio sia anche legata al desiderio di riunire tutto il lavoro svolto finora in questo titolo, e che la distanza “magica” tra le ambientazioni potrà comunque portare il nostro stanco immortale in luoghi veramente impensabili ed originali, che toglieranno ad ogni appassionato il timore di un deja-vu di troppo.
Come già accennato, anche la “componente Demon’s” è massiciamente presente, ancor più che nei precedenti Dark Souls: il protagonista parte come “Unkindled”, esattamente come si era allora uno “Spirito”, per poi “accendersi” come un braciere qualora si consumi un oggetto o si sconfigga un boss, ottenendo un bonus alla vitalità e ai danni con la stessa identica meccanica dal gioco capostipite, solo meno spietata e punitiva. Come sempre, sarà possibile trovare nelle anime di questi possenti avversari delle descrizioni illuminanti sul mondo di gioco, più un materiale utile per creare armi uniche e, questa volta, anche anelli. Che sia la volta buona anche per le armature?
Quest’ultima domanda rende chiaro che le informazioni da me raccolte sono finite; è stato dichiarato che il multiplayer potrà supportare fino a 6 giocatori, ma le sue meccaniche interne sono ancora da esplorare, così come il funzionamento delle covenant e dell’importantissima statistica dell’equilibrio.
Scholar of the First Lords [SPOILERS]
Si arriva, quindi, a parlare della vera e propria narrazione, della lore che verrà srotolata all’interno di questo terzo capitolo. Cinque ore di prova libera sono un’arma pericolosa da dare ad un appassionato, e se in questo paragrafo non mancherà un lato individuale e speculativo che come giocatore di Souls si accende in me quando si discute di ciò che ho visto e scoperto, va detto che Dark Souls III è incredibilmente comunicativo per chi conosce i suoi predecessori: questo capitolo “finale” si basa sul primo vincolamento del fuoco e di come questo epocale evento (il “Primo Peccato” citato nel secondo capitolo) abbia compromesso lo spazio-tempo del mondo di gioco, creando una catena di eventi che ha portato ad eterni cicli di vita e di morte, uno dei quali è stato protagonista di Dark Souls II . Il mondo sembra essere la stessa terra dei predecessori, rigenerata da zero ad ogni “vincolamento”, ma in maniera sempre più debole e trascinandosi dietro pezzi di quei “mondi” passati. 
Lordran, Drangleic, Lothric… Nell’apertura si scopre come Miyazaki e i suoi collaboratori siano riusciti a legare le diverse ambientazioni in un unico conclusivo capitolo, definendo l’ultima come epicentro di un vero e proprio collasso dimensionale, ove ogni epoca di ogni ciclo si fonde con l’altra. Trovo quest’idea azzeccata al punto da darmi i brividi, nonostante si tratti di un’ottima “scusa” per scampare a qualche possibile svista geologica e narrativa, visto che ormai è “tutto ovunque e da nessuna parte”… Ma finché questo porta ad un’evoluzione dell’eccezionale level design di casa FROM, non potremo che gioirne. La cronologia degli avvenimenti è quindi sicuramente seguente al secondo capitolo e sono presenti anche suoi forti echi, come la presenza di campane per il lancio dei miracoli, le quali però si affiancano agli antichi talismani presenti nel primo Dark Souls.
Una scelta come questa mostra come l’autore originale della serie abbia trovato un modo acuto non solo per rispettare la scrittura e presenza di Dark Souls 2 – diretto dal veterano Yu Tanimura – nonostante il suo concentrarsi su una “dimensione parallela ma non troppo” (ricordiamo come Drangleic sia devastata dalla morte di una creatura del mondo originale: Manus, ndMike) di uno di questi cicli, ma anche come appunto si torni finalmente alla lore originale in un modo che potrebbe veramente chiudere il cerchio della maledizione in modo stupendo e coerente.
Nel primo Dark Souls era presente una creatura denominata “Kingseeker”, il cui scopo era proprio ciò che ha portato il secondo e terzo capitolo ad esistere: trovare non morti in grado di vincolare il fuoco per impedire l’avvento dell’oscurità. Uno dei fallimenti di questo piano è stato Vendrick, al quale succede il protagonista di Dark Souls II, ma in questo terzo capitolo invece arriviamo in un futuro ove, qualunque cosa sia accaduta in passato, ormai la fiamma è al suo limite e tutti i mondi esistiti convergono in un unico punto, nel cui nucleo è presente il nuovo hub di gioco: il Santuario del Legame del Fuoco. 
Sì, il centro del primo Dark Souls torna qui, ed è lo stesso come non lo è, ha quella forma e nome ma non è l’originario di Lordran. Il santuario di Lothric è l’epicentro dei troni dei monarchi dei “mondi” passati, è il cuore del vincolamento del fuoco di multiple epoche fuse in una sola sala, ed è esattamente come un’evoluzione del Nexus ove incontreremo i personaggi, in pellegrinaggio, che han vissuto fino al limite di questo mondo in rovina, alla ricerca di un evento finale: un rituale per ricreare il primo vincolamento del fuoco come lo eseguì Gwyn stesso, come solo lui poté farlo evidentemente, forse perché in possesso di una delle anime originali e componenti principali della prima fiamma. 
Il nostro protagonista è ormai in un’epoca in cui l’Umanità non esiste più come un tempo, ma è arrivata al punto da riavvicinarsi al fuoco. Le piccole fatine che donavano energia ai non morti di Lordran erano chiaramente frammenti dell’Anima Oscura, la cui origine era, dopotutto, quel calore. In quanto non morti di una nuova (forse ultima? NdMike) era, non sarà più possibile appunto forma umana, ma di “braciere”, come fosse fatto un rituale dell’accensione al non morto stesso; questo sarà possibile non solo sconfiggendo un potente nemico, ma anche utilizzando queste “Embers” che, chiaramente umanità mutate, sono frammenti di quella parte di fiamma che diede vita alla specie umana e che ora, raffreddandosi, sta tornando ad essa.
Nel Santuario è presente una Guardiana del Fuoco, molto diversa da ciò che si è visto sinora. È giovanissima, bella, misteriosa e porta con se un messaggio importante anche nei confronti del gameplay stesso: come nell’originale era la fiamma del falò a potenziarci, come “unkindled”, qui sarà lei a veicolarlo in noi… È la nostra “Maiden in Black”, e vi posso garantire che è una citazione a dir poco estrema di ciò che è stato Demon’s Souls, con movenze, dialoghi, carattere e persino scopo che corrispondono quasi del tutto con quelli della bella e misteriosa donna di Boletaria.
Dark Souls III punta in maniera quasi brutale ad essere classico, a tornare un funzionale e diretto arcade, nel mentre però narrativamente colpisce al cuore con un’ambientazione tanto spaventosamente bella e accogliente nei ricordi quanto opprimente nella realtà, ove appunto si incontrano entità di ogni epoca e dimensione: il fabbro del santuario è, letteralmente, Andrei di Lordran; vi sono modelli identici alle guardiane di Dark Souls II che non sono più tali ma mercanti e sacerdotesse (che potrebbe dirla molto lunga come no, bisognerà giocare per scoprirlo, ndMike); sono presenti citazioni più o meno interpretabili di molti personaggi come Biorr e, molto più esplicitamente, Siegmeyer of Catarina. Ho incontrato ciò che si potrebbe senza ombra di dubbio definire lui, con voce, estetica, dialoghi e storia introduttiva indistinguibili se non che, per massima esplorazione del contenuto giocabile, ho deciso di attaccarlo e ucciderlo, scoprendo che non si chiamava esattamente come l’originale cavalier cipolla, ma “quasi”. Un “quasi” che sono certo sia il fulcro di Dark Souls III e di come Miyazaki abbia ripreso i concetti di reincarnazione usati da Tanimura nel secondo capitolo: Lothric sarà il ricettacolo di tutti i cicli così come questo finale lo sarà tecnicamente dei Souls rilasciati fino ad ora, puntando al meglio di ciascuno.