Come l’informazione ha cambiato i giocatori

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a cura di Francesco Ursino

Se state leggendo queste righe, è molto probabile che siate interessati ai videogiochi e che abbiate la voglia di approfondire la vostra passione in maniera varia ed articolata. In fondo, questo stesso meccanismo è ciò che ci porta a seguire conferenze dall’altra parte del mondo alle tre di notte, e che spinge a commentare in maniera spesso infervorata articoli, news e speciali. Il comune denominatore di tutte queste attività, come prevedibile, è il ruolo dell’informazione, a sua volta prodotto primario della tecnologia; molto banalmente, senza servizi di streaming la visione di conferenze in tempo reale e di trailer sarebbe impossibile, e senza la presenza di siti internet accessibili e facilmente navigabili la possibilità di commentare rimarrebbe utopia. Così come scrivevamo in uno speciale di qualche anno fa, la quantità di informazioni disponibili oggigiorno, così come la presenza di macchine da gioco perennemente connesse ad internet, aumentano a dismisura la conoscenza dei giocatori. Tutto ciò porta a conseguenze complesse e a comportamenti da parte dei giocatori molto differenti da quelli tenuti “solo” venti, venticinque anni fa.

Il grande giornoQuando, da piccolo, mio padre decideva che era finalmente giunto il momento di fare visita al negozio di giocattoli che vendeva cartucce per il mio amato Sega Mega Drive, era festa. Si trattava, potete ben capirlo, di quel tipo di felicità che si prova solo da piccoli, totale e perfetta. A quel tempo, evidentemente, la mia conoscenza di videogiochi era limitata ai pochi titoli che potevo provare, frutto della bontà dei miei genitori, ma anche della loro azione di “filtro”, che li portava a scegliere i giochi sulla base della presenza, magari, di testimonial famosi. In ogni caso, l’assenza di informazione tendeva a spostare tutta l’attenzione non su quale gioco acquistare, ma sulla semplice possibilità di comprare un qualsiasi prodotto. La scelta del titolo, infatti, avveniva sul momento, mentre mangiavo con gli occhi gli scaffali su cui brillavano Street Fighter II, Sonic e via dicendo. Ecco dunque un primo comportamento che, con eccezioni più o meno marcate, possiamo identificare: la scarsa informazione spostava l’attenzione non tanto sul gioco, ma sull’atto di comprare un gioco; tutto ciò, allora, poteva spingere ad acquistare un titolo con cui magari si era entrati in contatto solo da pochi minuti, e dopo aver posato gli occhi sulla sua accattivante cover. Tutto questo, ovviamente, poteva portare a conseguenze spiacevoli, come quel caso in cui comprai Mighty Morphin’ Power Rangers per Sega Maga Drive, per poi scoprire con sgomento che si trattava solo di un picchiaduro terminabile letteralmente in 10 minuti.

Uno sguardo al futuroL’universo videoludico privo di informazioni equivale all’angolo del proprio negozio di fiducia, traboccante di titoli interessanti ma, ovviamente, ben lontano dalla dimensione reale del mercato. Le uniche fonti di informazione, in questo ambito, erano sostanzialmente tre: il negoziante, gli amici e, evidentemente, il retro delle cover, quello dove trovavano posto strilloni entusiasti scritti in lingue diverse; se si era abbastanza piccoli, non veniva minimamente in mente di pensare che esistessero fonti editoriali capaci di parlare di videogiochi, anche perché l’ambiente culturale che si ha attorno porta a pensare fin da subito che i “giochini” tanto amati da bambini siano e rimangano, appunto, giochini buoni per l’infanzia. Succede però che con l’andare avanti del tempo, la stampa videoludica riesce ad affermare un proprio posto nell’editoria cartacea, e a mostrare agli appassionati un mondo che, come abbiamo visto, era prima nascosto. Con la lettura dei magazine videoludici avviene il primo possibile cambio di comportamento: il giocatore ora inizia a distinguere i giochi buoni da quelli meno buoni, ma soprattutto è più informato non solo sui titoli già disponibili, ma anche su quelli che usciranno. Proprio quest’ultimo punto ha un’importanza basilare, perché in questo momento avviene il passaggio fondamentale, che porta ai fenomeni che poi affronteremo nell’ultimo paragrafo; nel momento in cui si è consci del fatto che sta per uscire un nuovo gioco che pare fantastico, la mente sposta la sua attenzione da ciò che si ha a disposizione ora, per passare a quello che può essere, e che in quanto indefinito sarà sempre più interessante di ciò che esiste qui e ora. L’hype, in altre parole, passa dall’atto di comprare un videogioco – qualsiasi esso sia – all’arrivo presunto di un dato videogioco. La maggiore informazione, e con essa la migliore consapevolezza di quello che accade nel mondo videoludico, dà quindi una visione decisamente più ampia del mercato. Questo ci porta alla situazione che viviamo in questi giorni.

Cambiamenti inesorabiliPensate a quante fonti di informazione siano disponibili, oggi, per un solo videogioco: anche le produzioni indie, infatti, possono contare su più canali social, servizi di streaming video, un sito ufficiale, magari una pagina su una qualche piattaforma di crowdfunding, per non parlare delle recensioni su siti specializzati. Se avete per le mani un titolo tripla A, invece, a tutto ciò si aggiungono i forum ufficiali e non, le sezioni su Reddit, le wiki, le pubblicità televisive e cartacee, gli eventi per la stampa e quelli per il grande pubblico, e così via. Si tratta di un flusso di informazioni continuo e inarrestabile, che rappresenta una grande conquista. Tutto ciò ci porta, però, ad uno dei cambiamenti di comportamento più evidente di questi ultimi anni, ovvero la corsa al preordine e agli acquisti al day one. Nel momento in cui si hanno a disposizione così tante informazioni su un gioco che ancora deve uscire, nella mente del giocatore scatta un meccanismo di diminuzione del rischio. In altre parole, il materiale mostrato dai promotori del prodotto (che si presume essere aderente alla realtà, ma che in fin dei conti è pur sempre oggetto di operazioni promozionali), consente di far dire al giocatore che vale la pena spendere soldi in anticipo. In realtà, più che una diminuzione del rischio, l’hype relativo al preordine opera uno spostamento del rischio stesso, che dallo sviluppatore/publisher passa al giocatore. In qualche modo, è un meccanismo simile all’acquisto di biglietti aerei con grande anticipo; l’acquirente paga prezzi irrisori, ma si accolla il rischio di non poter prendere l’aereo nella data desiderata, perché nell’intervallo di tempo occorso tra la prenotazione ed il viaggio vero e proprio gli imprevisti potrebbero impedire di intraprendere il volo. Tutto ciò sposta il rischio dalla compagnia aerea (che in ogni caso ottiene i soldi del biglietto) al viaggiatore (che paga per un servizio che, forse, non otterrà); la stessa cosa avviene col preordine: il rischio dello sviluppatore/publisher (ovvero che il gioco rimanga invenduto) passa al giocatore, che compra un titolo di cui presume la qualità, confortato dalle informazioni di cui dispone.

È affascinante pensare a come l’informazione abbia cambiato le nostre abitudini di fruizione dei videogiochi. Dall’attenzione sull’acquisto in sé, infatti, il focus è passato al desiderio di prodotti che ancora, difatti, non esistono concretamente sul mercato. La grande quantità di informazione, al di là di come la si pensi, rappresenta una grandissima conquista, che dà grande potere; come ogni potere, però, i vantaggi che ne conseguono portano anche responsabilità, che da parte dei giocatori è quella di saper scegliere bene, specie nel caso di acquisti a scatola chiusa che comportano forti rischi d’acquisto, come appunto i preordini e gli acquisti al day one. Sia chiaro: ognuno è più che legittimato a operare queste pratiche, però è bene sapere bene a cosa si va incontro ogni volta che si completa l’acquisto anticipato di un prodotto “vivo” quale il videogioco, che può maturare e anche cambiare nel tempo grazie a patch e DLC. Si tratta, in altro modo, di un comportamento rischioso, e che in quanto tale può avere “payoff” positivi, ma anche molto negativi. Questo concetto pare essere una banalità ma, a quanto pare, forse non è ancora così.

In ogni caso, anche gli acquisti cattivi possono avere un lato positivo, e portare a nuovi comportamenti che, col tempo, si spera possano far acquistare una maggiore consapevolezza.