Come la Modalità Classica trasforma The Evil Within 2 in un altro gioco

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a cura di Domenico Musicò

Deputy Editor

Durante un fine settimana, sul mio canale Twitch, ho avuto la malsana idea di cimentarmi in un’impresa che sapevo già essere lontano dalla mia portata: la Modalità Classica di The Evil Within 2. Sapevo che sarebbe stato uno sforzo inutile tentare di fare lunghe sessioni e incaponirmi affinché potessi raggiungere un obiettivo davvero insperato; non perché io sia poco avvezzo ai survival horror/action, che anzi adoro e conosco a menadito, ma perché per riuscire a portarla a termine bisogna sapere a cosa si va incontro, ricordarsi ogni momento potenzialmente assai pericoloso, quando sta per presentarsi una boss fight, quali sono le sezioni più infami e quali sono quelle che possono cogliere di sorpresa, senza sottovalutare i classici momenti che si tende sempre a prendere sottogamba e che sono sempre i primi a mandare in bestia anche il più algido e controllato dei videogiocatori.Oltre ad aver imparato la lezione, mi sono reso conto che The Evil Within 2, giocato in Modalità Classica, si trasforma in qualcosa di completamente diverso rispetto a quando lo si gioca a difficoltà intermedia o difficile.

Cosa è la Modalità Classica e perché ne abbiamo bisogno in tutti i giochi del genere
Una volta terminato The Evil Within 2, oltre al New Game Plus viene sbloccata questa nuova modalità, indicata proprio per i puristi dei veri survival horror di una volta. Senza compromessi, cattiva e in grado di portarvi all’esasperazione se non affrontata col massimo rigore, la Modalità Classica vi priva di tutti i potenziamenti delle armi, non consente di far acquisire alcun tipo di abilità a Sebastian, disabilita gli autosalvataggi e la mira assistita, e infine, come ciliegina sulla torta, vi mette a disposizione un massimo di sette salvataggi. 
Poter salvare solo sette volte, in un gioco non proprio semplice e della durata media di circa quattordici-quindici ore, dovrebbe farvi tremare al solo pensiero, soprattutto perché senza autosalvataggi dovrete armarvi di grande pazienza e prepararvi ad eventuali crisi che potrebbero costringervi a desistere e ad accantonare i vostri sogni di gloria individualista.
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Eppure, solo quando si affronta la modalità in questione ci si rende davvero conto di come il gioco si trasformi in qualcosa di profondamente diverso: la tensione è sempre palpabile, c’è il terrore di sbagliare qualunque mossa, di farsi trovare impreparati, di mandare in malora sessioni di gioco lunghe intere ore. E tutto ciò perché non si può salvare tutte le volte che si vuole; bisogna resistere, sopravvivere come meglio si può. Non si ha mai il conforto di un autosalvataggio che può rimettere le cose a posto, che può riportare il giocatore al momento prima del clamoroso errore. Non c’è possibilità di riscatto (a meno che non vogliate concedervi un’altra lunga sessione, sperando che di non incappare nei medesimi errori).
Ecco, è proprio questo il vero spirito dei survival horror: sapere che le chance di potercela fare sono davvero poche, ridotte all’osso, quasi nulle.
Al di là delle più ovvie considerazioni sul netto cambio di approccio alle partite, quando si affronta la Modalità Classica, a cambiare è anche la percezione che si ha di The Evil Within 2. I motivi di fondo sono molto semplici: si smette di dare per scontate diverse sezioni di gioco, si osserva con più attenzione la bontà del lavoro del team di sviluppo, si inizia a capire fino in fondo il level design, si apprezza il cambio di prospettiva che vi farà osservare ogni cosa in maniera diversa.
Il Male Dentro, quello buono per davvero
Lungi da me voler magnificare la difficoltà a tutti i costi, né tantomeno è questo l’obiettivo dell’articolo. Imparare a osservare con occhi diversi è importante, così come lo è riprendere in considerazione tutto ciò che solitamente tendiamo a giudicare in maniera sbrigativa. Che le fasi sandbox siano le meno riuscite dell’opera è una conferma su cui, come già spiegato nella recensione, non trovo motivi per ritrattare. Eppure anche quelle cambiano faccia e si trasformano in grandi aree dove bisogna pianificare bene le proprie mosse, decidere se assecondare l’istinto di fare tutto in fretta per chiudere definitivamente dei capitoli, o fare rifornimento per avere più possibilità di portare a termine la sfida proposta.
Se in una prima partita le sezioni all’aperto non vengono viste di buon occhio, e possono persino essere giudicate come delle cattive scelte di design che rovinano l’atmosfera e disperdono il senso di terrore, angoscia e precarietà, quando le si affronta una seconda volta hanno per lunghi tratti un effetto opposto. 
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Ricordo che per la recensione mi sono dovuto cimentare in una lunga maratona in cui sono stato costretto a portare a termine il gioco in un solo giorno e una serata perché non c’era abbastanza tempo, il codice era arrivato molto tardi e l’embargo era alle porte. Ho spiegato, anche nella diretta di approfondimento, quanto “per fortuna le fasi all’esterno rappresentassero un quinto dell’intera opera“, e l’ho detto perché quelle sezioni, al contrario di tutte le altre, non mi avevano particolarmente convinto. Non vedevo l’ora di portarle a termine e scoprire cosa ci fosse poco dopo, un po’ come quando bisogna sbrigare delle incombenze di malavoglia subito prima di trastullarsi con qualcosa di più piacevole. 
Non badavo a “quei nemici fastidiosi che potevano essere facilmente seminati“, perché in fondo mi sentivo molto più sicuro all’aperto, dove ci sono sempre molte più scappatoie, anziché in claustrofobici corridoi dove quando ci si trova un nemico davanti si deve solo sparare.Nella Modalità Classica ho perso le mie certezze e ho risvegliato mio malgrado le mie paure: i nemici mi sono sembrati più minacciosi e pericolosi (e lo sono, badate bene), ho notato quanto il loro posizionamento fosse strategico, mi sono reso conto in che modo gli sviluppatori hanno costruito quelle porzioni di gioco sandbox. Soprattutto, ho capito che se tutto ciò viene affrontato solo una volta, e con una certa libertà di prendere quelle sezioni sottogamba, viene compresa con più difficoltà l’intenzione degli sviluppatori. Tango Gameworks, con questa modalità destinata a pochi coraggiosi, ha voluto mostrare la vera faccia di The Evil Within 2. Ha aperto il cuore a chi saprà davvero apprezzare cosa si cela al suo interno, ribadendo ancora una volta che sì, di avventure single player come questa ne abbiamo davvero tanto bisogno.

Ci troviamo in un periodo dell’anno in cui solitamente siamo sommersi di uscite di ottima qualità, pertanto potrebbe essere comprensibile che molti di voi abbiano la fretta di portare a termine un gioco per passare subito a quello successivo. Non fatelo. Fatevi questo favore.

The Evil Within 2, per poter essere assaporato fino in fondo e scoperto nella sua essenza e forma migliore, va assolutamente giocato una seconda volta in Modalità Classica: scoprirete un gioco diverso, un nuovo sapore, una nuova sfida. Ma soprattutto, guarderete con occhi diversi e compiaciuti il lavoro di Tango Gameworks.