Cinema e Critica videoludica

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a cura di AG

La valutazione della qualità di un’opera d’arte è una pratica che comporta una dose ineludibile di soggettività. Ciò non vuol dire che l’esercizio critico non possa o non debba istituzionalizzarsi tramite soggetti che si facciano carico di tale attività per offrire un servizio al potenziale bacino d’utenza delle opere d’arte stesse. Per farla breve, da quando esiste l’arte esiste la critica d’arte, ed il suo perdurare è la dimostrazione più evidente della necessità della stessa: la critica legittima l’opera d’arte in quanto tale e costituisce per il pubblico un importante strumento di orientamento nel mare magnum dell’industria culturale odierna. Se ciò si è rivelato utile nel corso dei decenni a proposito dell’arte cinematografica (con studi monografici, trattati teorico/filosofici e più immediate recensioni di singoli film), anche l’arte videoludica è ormai da decenni oggetto di attività critica, in passato prevalentemente in forma di carta stampata, oggigiorno sul web. La proliferazione di blog, pagine social, canali YouTube e testate giornalistiche online offre un ampio ventaglio di proposte analitiche, da quelle più amatoriali e disimpegnate (alla stregua di meri scambi d’opinione) a quelle più approfondite proprie delle redazioni giornalistiche specializzate (ciò vale sia per il cinema che per la videoludica, beninteso). Alla luce di pregi e difetti che spesso si possono riscontrare nei rispettivi campi, gli elementi più validi di entrambe le attività critiche potrebbero essere combinate in un approccio integrato con vantaggi evidenti per i lettori, cinefili o giocatori che siano.

Che l’oggettività sia con te!Si è aperto l’articolo con un riferimento all’inevitabile componente soggettiva presente in ogni recensione: inutile pensare che la sfera personale del critico non influisca sulla sua valutazione. Un retroterra di gusti personali, esperienze pregresse,  simpatie/antipatie (per un regista o una software house) e stato d’animo dovuto alle contingenze del momento costituisce un background dal quale il recensore difficilmente può alienarsi nel momento in cui inizia ad usare la propria penna (o a pigiare la propria tastiera).  Il punto non è tentare di occultare il proprio vissuto durante la stesura di un pezzo, ma bilanciarlo con elementi oggettivi di cui servirsi come bussola per non perdere la rotta e scadere nella pura opinione personale. Sia nel cinema sia nella videoludica esistono dei fatti che sono tali, e con cui bisogna fare i conti: un giovane critico cinematografico, innamorato di Tarantino e del postmoderno, potrà trovare non nelle sue corde Andrej Rublëv (1966) di Tarkovskij (3 ore di biopic sull’omonimo iconografo russo del Quattrocento), ma non può non riconoscerne l’importanza storica nell’evoluzione della poetica del suo autore e nei virtuosismi tecnici e di messinscena. Allo stesso modo, un critico videoludico può non esaltarsi alla prova di The Stanley Parable (2013), ma non può non riconoscere l’arguzia del concept meta-mediale partorito dal suo creatore Davey Wreden. Affinché l’oggettività in una recensione ci sia, il critico deve soddisfare due condizioni: la conoscenza storica e la competenza tecnica. La prima è piuttosto intuitiva: si tratta della capacità di contestualizzare un’opera nel periodo storico in cui viene realizzata, per saperne riconoscere eventuali elementi innovativi; in questo senso l’esperienza, fatta di visioni e/o giocate pregresse, è la miglior alleata di un recensore. Per competenza tecnica invece non si intende tanto la capacità operativa (da un critico videoludico non si pretendono certo doti di programmazione, né da un critico cinematografico ci si aspetta che sappia utilizzare un’Arri Alexa) quanto la conoscenza del significato di una nomenclatura settoriale e della sua individuazione pratica all’interno dell’opera in oggetto. Tradotto: non si può valutare correttamente un film se non si ha capacità di discernimento circa il tipo di inquadrature o di raccordi di cui un film si compone, come non si può discutere efficacemente della resa visiva di un videogioco se non si ha idea di che cosa sia il framerate. Da questo punto di vista, la critica cinematografica è in leggero difetto rispetto a quella videoludica: se vogliamo trovare un lato positivo in una pratica altrimenti deplorevole quale è la console war, è quello di aver sollevato l’interesse del grande pubblico verso alcuni aspetti prettamente tecnici dei videogiochi, come appunto il framerate o la risoluzione (interesse minato, in questo caso specifico, da un inutile parteggiamento per questa o quella console). L’impressione generale risultante è che pubblico e soprattutto critica dell’industria videoludica siano mediamente più consapevoli di quelli cinematografici. Per quanto riguarda il pubblico, ciò si può spiegare per via anagrafica (l’età media dei giocatori è senz’altro più bassa dell’età media dei cinefili, così come il videogioco è un medium assai più giovane del film). Meno scusabile invece il deficit da parte della critica, tanto più che nel caso del cinema si tratta di un problema di vecchia data: sono note le lamentele che François Truffaut rivolgeva negli anni ’60 ai critici suoi contemporanei, per lo più ignari di che cosa fosse un piano-sequenza, una delle forme cardine del linguaggio cinematografico. Oggi la situazione non è certo così tragica, ma la proliferazione di critici privi di una preparazione specifica (è rara nel nostro paese un’istruzione pre-universitaria sulla settima arte) mantiene viva questa problematica.

Un, due, tre… Stelle!Dove la critica videoludica può prendere esempio da quella cinematografica è invece il giudizio riassuntivo su un titolo, ovvero il voto. È opinione comune riscontrare un certo allineamento nel giudizio dei videogiochi, campo in cui si registra peraltro una  tendenza alla restrizione della gamma dei possibili voti, spesso espressi in decimi: tra l’8 e il 9 per i giochi apprezzati e tra il 4 e il 5 per quelli bocciati. Tali scelte valutative da un lato sviliscono l’utilità di una scala così ampia, dall’altro danno l’impressione di costituire più un “consiglio per gli acquisti” che un vero e proprio giudizio condensato. Se si volge lo sguardo al mondo della critica cinematografica, fermo restando un consenso generale verso alcuni titoli fondamentali, si registra una varietà tendenzialmente maggiore, con oscillazioni anche drastiche riguardo la valutazione di un medesimo titolo, esaltato da alcuni e disprezzato da altri. Si può inoltre aggiungere che più un film è divisivo più risulta interessante documentarsi a riguardo, leggendo le opinioni di detrattori e promotori. La critica videoludica, per motivi oggigiorno non ancora del tutto chiari e che sarebbero meritevoli di indagine, pecca talvolta di un eccesso di prudenza, che porta meno frequentemente a voci fuori dal coro che boccino titoli tripla A o che, viceversa, difendano giochi generalmente bastonati dalla maggioranza delle testate. Ciò che in ambito cinematografico sembra essere non solo permesso ma incoraggiato (anche con discussioni a colpi di articoli  botta-e-risposta fra un critico e l’altro) sembra essere tabù nel mondo del videogioco. Come detto è difficile individuare le cause di tale fenomeno, ma si possono forse azzardare due fattori di influenza: il primo è la politica del “voto di redazione” ovvero la scelta, nell’emissione del giudizio numerico finale, di adottare una decisione quanto più possibile collegiale a prescindere dal solo soggetto che scrive l’articolo. Questa pratica ha proprio l’obiettivo di limare gli eccessi in un senso o nell’altro fungendo da agente di controllo sulle pulsioni del singolo redattore; il rovescio della medaglia è però come detto l’uniformità di giudizio che può finire per rendere più difficile per il lettore farsi un’idea dell’opinione del recensore, la cui soggettività dev’essere invece preservata (purché supportata da quella componente oggettiva di cui si è parlato). Il secondo fattore è dato dal rapporto con il proprio bacino di lettori, che a volte può risultare problematico: sappiamo tutti che il pubblico dei videogiocatori si scalda facilmente quando trova disattese le proprie aspettative su un titolo a  causa di un voto inferiore a quanto immaginato. Il timore di essere coperto di critiche o di insulti (purtroppo capita anche questo) potrebbe rendere un recensore riottoso rispetto alla decisione di adottare un giudizio apparentemente drastico (il quale potrebbe anche essere un 6, cioè una sufficienza; voto disinvoltamente usato per valutare film anche di autori importanti, ma che potrebbe essere giudicato da alcuni eretico e sconsiderato se utilizzato per valutare un gioco appartenente ad una grande saga o sviluppato dalla software house del momento). In ultima analisi, la critica videoludica non dovrebbe “temere” il rapporto con il proprio pubblico, paventando magari che quest’ultimo si rivolga ad altri siti che incontrino maggiormente le proprie pregresse aspettative. Bisogna semplicemente rendersi conto che l’oggettività totale è irraggiungibile e che perciò ogni giudizio, anche il più drastico, è accettabile se ben argomentato; lo stesso lettore deve rendersi conto che ha solo da guadagnarci dall’offerta di un giudizio non uniformato: la varietà dei punti di vista e la vivacità del dibattito critico costituisce insomma una risorsa, non certo un problema da aggirare!

L’attività critica, lungi dall’essere il lavoro di chi non sa fare e perciò si limita a sentenziare, è un campo minato nel quale è periglioso avventurarsi: bilanciare oggettività e soggettività, fare i conti con le aspettative di colleghi e pubblico, esporsi al continuo giudizio (e alle relative critiche) dei propri lettori sono le difficoltà con cui un recensore si scontra quotidianamente. Ecco perché l’adozione di un approccio integrato di connotati provenienti da settori differenti può essere una risorsa utile per migliorare costantemente il proprio lavoro. Il tutto a beneficio del pubblico.