Recensione

Army Of Two: The Devil's Cartel

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a cura di Pregianza

Se c’è un inferno per gli sviluppatori, è probabilmente un luogo dove demoni armati di frusta li costringono a pubblicare anno dopo anno giochi identici fra loro, senza libertà creativa alcuna né la possibilità di introdurre qualche idea interessante nel loro progetto. E’ curioso come a volte l’industria reale dei videogiochi si avvicini a questo immaginario luogo di tortura delle software house, con team di sviluppo che si vedono impegnati in progetti di una banalità inumana, percepiti come appetibili alla massa dei videogiocatori.
Ora, parliamoci chiaro. Ma molto, molto chiaro. La creatività nell’industria non è morta, né è vero che l’originalità nei videogiochi è stata uccisa dai marchi più noti. Se ci sono delle grosse macchie oscure è dovuto solo alla cecità di certi CEO/distributori, che non si rendono conto di come si muove il mercato, di cosa chiede il pubblico e di quali siano le vendite effettive a cui un prodotto di una certa tipologia può aspirare, e pertanto finanziano creazioni il cui fallimento è talmente certo da essere l’equivalente di un dardo al curaro in un occhio per un gruppo di programmatori (precisiamo, il discorso è generalizzato, non diretto solo al distributore coinvolto nella creazione del titolo odierno). 
Visceral Montreal è stata centrata in pieno da quel dardo. Il suo ultimo lavoro, Army of Two: The Devil’s Cartel, ha segnato la fine della casa. EA ha “lasciato andare” tutti gli sviluppatori, per evitare perdite eccessive dovute anche alle previste vendite non eccezionali del titolo in questione, in una situazione monetaria già non rosea. Non che questi ragazzi non fossero talentuosi, ma si sono trovati a sviluppare un progetto segnato in partenza, appartenente a una serie il cui nome non è certo mai stato sinonimo di qualità eccezionale o acquisto inevitabile per ogni videogiocatore. 
Vediamo se sono riusciti a lasciare un’eredità decente, seppur costretti a tuffarsi nel tunnel della piattezza prima di chiudere la loro parentesi.
Se devo sparare, preferisco farlo per soldi
Army of Two: the Devil’s Cartel si svolge in Messico, e vi mette nei panni di due nuovi membri della Trans World Operation, Alpha e Bravo. I due mercenari sono stati assoldati per proteggere un politico di nome Cordova, impegnato a combattere il più grande cartello della droga della zona. Chiaramente tutto va storto, e presto ci si ritrova a dover salvare Cordova dalle grinfie dei cattivoni, possibilmente trasformando in scolapasta centinaia e centinaia di criminali armati. 
Non una base particolarmente raffinata su cui costruire, trattandosi di una semplice scusa per dare il via a un po’ di sane uccisioni. C’è però da dire che i dialoghi vantano un umorismo leggermente meno caciarone di quello visto nei capitoli passati, e che le vicende avanzano senza buffonate narrative. Aspettatevi la solita carrellata di battute sulle madri e sorelle altrui, ma con meno esultanze dopo ogni massacro e cattivo gusto generale, e persino un paio di colpi di scena parzialmente riusciti. 
A livello di gameplay il titolo è ancora una volta strutturato completamente attorno a scontri a fuoco in un team da due giocatori, affrontabili con un altro utente in splitscreen, un compagno online, o un I.A. amica. Ogni missione conta una serie di sparatorie con numerosi nemici dagli armamenti variabili, in mappe di dimensioni limitate ma ricche di coperture e vie alternative. 
Le protezioni e i passaggi extra sono praticamente un obbligo, perché supportano le fondamenta dell’esperienza. Ad ogni uccisione guadagnerete denaro, che aumenterà sensibilmente se le otterrete aggirando un nemico mentre spara al vostro compagno, colpirete qualcuno alla testa, o riuscirete ad uccidere più avversari contemporaneamente, e verrà preso in considerazione per valutare la vostra posizione nelle leaderboards mondiali. In presenza di un compagno umano non sarà difficile ottenere punteggi elevati sfruttando la comunicazione via microfono, vi basterà organizzarvi a voce e aggirare la cpu sfruttando il sistema dell’aggro. In pratica, i nemici tendono a puntare il membro del team che ritengono una minaccia maggiore, quindi lasciar sparare per un breve periodo il proprio partner e girare attorno ai punti caldi per colpire gli antagonisti alle spalle è possibile quasi in ogni situazione.
Quando è dell’I.A. che bisogna tenere conto la situazione si complica, poiché i comandi che si possono dare risultano limitati. In generale, a parte ordinare di lanciare una granata, seguirvi o distrarre l’avversario non è possibile fare, quindi non aspettatevi di avere il controllo totale della situazione. Il partner riesce comunque ad essere abbastanza utile e tende a mantenere una posizione sicura e statica, permettendovi di  gestire bene le sparatorie, salvo alcuni momenti in cui l’I.A decide di spostarsi a casaccio e di mettervi in difficoltà. Sono casi rari, ma fastidiosi, visto che il vostro compagno non è immortale, se viene messo al tappeto si ha un tempo limite per rianimarlo, e quando questo scade è game over. 
Le classifiche sono un modo furbo per aumentare la rigiocabilità agli occhi degli utenti più competitivi, ma il titolo di Visceral non si riduce a uno spara spara a punti senza peculiarità: il cover system è abbastanza unico, e permette di muoversi tra le coperture utilizzando un “puntamento” limitato delle stesse, quando queste sono ravvicinate. Inoltre è presente una meccanica chiamata Overkill, che sfrutta una barra caricabile a forza di riempire di piombo i nemici e che se attivata dona una temporanea invulnerabilità, con tanto di proiettili infiniti, tempo rallentato e bonus ai punti e al danno. Se entrambi i personaggi hanno la barra Overkill carica l’attivazione dura di più. Ultima chicca è la distruttibilità degli ambienti, ove le cover stabili sono poche ed è importante mantenersi in movimento per non venir sopraffatti. 
Queste meccaniche risultano discretamente stuzzicanti, eppur non bastano ad elevare più di tanto il gameplay del gioco, né a coprirne completamente le mancanze. La prima è una facilità eccessiva degli scontri, per via proprio dell’esagerata modalità Overkill, che se usata al momento giusto permette di superare fasi zeppe di nemici senza difficoltà. Persino il cover system non è calcolato alla perfezione, e a volte risulta fin troppo semplice sbagliare lato di una copertura ed esporsi al nemico nel caos delle battaglie. Le armi poi non sono bilanciate alla grande, e quasi tutto impallidisce davanti a un buon fucile d’assalto. La ripetitività, infine, è dietro l’angolo, e anche se c’è una discreta diversificazione dei nemici con l’inserimento di bruti corazzati e soldati armati di scudo, le scene scriptate e la possibilità di sfruttare tattiche di accerchiamento basilari non contribuiscono a tenere alta l’adrenalina per tutta la campagna. 
L’unico elemento a brillare davvero in Army of Two: The Devil’s Cartel, sono le opzioni di personalizzazione. Nel menu armeria è infatti possibile modificare pesantemente ogni bocca da fuoco, aggiungendo variazioni a quasi ogni pezzo degli strumenti che migliorano notevolmente la loro affidabilità. Anche il vestiario e le maschere dei protagonisti sono personalizzabili, le scelte molte e molto curate, con tanto di maschere decorabili a piacere dal giocatore (seppur il numero di strati decorativi utilizzabili sia limitato).
Chiaramente tutto si eleva quando si affronta la campagna in cooperativa, essendo l’anima del titolo proprio il gioco in coppia. Ci sono gioie e dolori anche nel multiplayer, ad ogni modo. Innanzitutto non si può semplicemente droppare all’interno di una partita già iniziata, perché facendolo si costringerà l’host a ricominciare da capo il capitolo affrontato. Inoltre non sembrano esserci modalità alternative alla campagna base, caratteristica che limita notevolmente la longevità del titolo. Paradossalmente, la struttura di Devil’s Cartel avrebbe potuto supportare anche un multiplayer competitivo interessante, basato su sfide a coppie, ma gli sviluppatori non sembrano aver avuto né il tempo né la voglia di rischiare. 
Nel complesso ci troviamo davanti a uno sparatutto che riesce a offrire un’azione frenetica con qualche piacevole variazione sul tema, ma non a distinguersi, né a offrire ciò che dovrebbe essere la sua ragione di esistere, una cooperativa impeccabile. 
Badass + badass = decent ass?
Tecnicamente Army of Two: The Devil’s Cartel dovrebbe difendersi benone, sfrutta pur sempre il Frostbite 2, un motore osannato fino allo sfinimento dopo il suo utilizzo in Battlefield 3. C’è solo un piccolissimo problema, ormai il Frostbite 2 è come il prezzemolo, e considerando che persino i DICE hanno dimostrato di non riuscire a dominarlo alla perfezione (i numerosi bug della loro opera magna lo testimoniano senza possibilità di controbattere) darlo in mano a team meno esperti nel suo utilizzo non sembra essere una buona idea. Si è visto che fine han fatto i Danger Close con Medal of Honor: Warfighter e, anche se i Visceral Montreal non sono arrivati a quei livelli, Devil’s Cartel rimane piagato da un numero poderoso di bug. Abbiamo incontrato un po’ di tutto durante la nostra esperienza: livelli che non continuavano perché il nostro compagno si era misteriosamente bloccato qualche metro prima del checkpoint da superare in due, il partner congelato a farci da scaletta nei pressi di un muro per qualche motivo insuperabile da quel momento in poi, porte da sfondare immobili e tutta una serie di piccole magagne grafiche. Le imperfezioni visive sono roba secondaria, che non ci influenza mai negativamente, ma ci è capitato più di una volta di dover far ripartire l’ultimo checkpoint per un bug, e ciò è male. I Visceral hanno aggirato parzialmente la cosa mettendo numerosi checkpoint durante le missioni, ma non è una giustificazione. 
Per il resto il motore si difende bene con una grafica più che buona nonostante l’aliasing piuttosto accentuato, e grazie alla succitata distruttibilità degli ambienti, ben applicata alla formula. Gli effetti particellari in particolare risultano spettacolari durante la modalità Overkill. Decente anche il sonoro, ma va sottolineato come il doppiaggio nostrano sembri spesso meno curato rispetto ad altre produzioni di una certa importanza. Buona la longevità della campagna, scarsa invece quella complessiva, visto che una volta completata avrete poche o nessuna ragione per tornare ad affrontare le missioni del titolo Visceral, salvo non siate fanatici dei punteggi. 

– Azione frenetica e divertente in cooperativa

– Ottime opzioni di personalizzazione di armi e personaggi

– Buona distruttibilità degli ambienti

– Scarsa rigiocabilità una volta finita la campagna

– Gameplay che non brilla per originalità o finezza

– Fin troppi bug

– Niente drop-in istantaneo nella co-op, e logout in caso di disconnessione dell’host

6.5

La scomparsa dei VIsceral Montreal è un duro colpo, un team in grado di utilizzare un motore instabile come il Frostbite 2 decentemente dopotutto non poteva mancare di talento e potenziale. Purtroppo il loro canto del cigno è zeppo di note stonate, non solo per la banalità della formula, ma anche per l’incapacità di proporre ciò per cui è stato creato: un multiplayer cooperativo impeccabile. Devil’s Cartel non è un pessimo shooter, ha un gameplay piuttosto solido, ed è abbastanza frenetico e over the top da divertire, tuttavia l’ultimo episodio di questa serie poteva essere indubbiamente di qualità molto superiore.

Voto Recensione di Army Of Two: The Devil's Cartel - Recensione


6.5