Amore e videogiochi

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a cura di Mugo

San Francisco – Non sono solo giochini i nostri, questo appare chiaro ormai da parecchio tempo. Non si tratta solo di scacciapensieri, così come il nostro non è un medium fatto solo di violenza, sangue e dove vince chi spara più in fretta. Certo, questi sono tutti fattori che hanno il loro ruolo fondamentale ma, soprattutto negli ultimi anni, è cresciuta sempre di più una comunità di sviluppatori di videogiochi che ha ben altre idee in testa. Alcuni di questi sviluppatori si riuniscono in Games For Change, una community che ha come obbiettivo quello di sensibilizzare e trasmettere emozioni tramite l’esperienza d’intrattenimento più interattiva che c’è.Durante la GDC 2012, a San Francisco, abbiamo assistito ad una conferenza con un tema decisamente interessante per chi come noi è abituato a vedersi propinare uno shooter dopo l’altro: che ruolo hanno i sentimenti, e più nello specifico l’amore, nel settore dei videogiochi? 

Make love games, not war games 
Diciamolo subito: non stiamo parlando di trasformare i videogiochi in romanzi Harmony interattivi, non si tratta di lasciare da parte Call Of Duty per una versione videoludica di Eat Pray Love, ma di esplorare il perché in un settore così vasto abbia così poco spazio la ricerca dei sentimenti, almeno nei prodotti mainstream.Immaginiamo che una civiltà aliena entri in contatto con i nostri videogiochi e tramite questi debba farsi un’idea sul genere umano: competitività, violenza, giochi di guerra e distruzione occupano la posizione predominante in un’ipotetica classifica dei contenuti. Se guardiamo alla storia dell’uomo, la competizione è il principale motore ludico, così nello sport come nei giochi da tavolo vecchi di migliaia di anni. Anche i videogiochi hanno intrapreso la strada di dare al giocatore una soddisfazione inversa alla frustrazione dell’avversario, sono interazioni dove una parte vince e l’altra perde.Eppure tutte le altre forme d’espressione umana vedono l’amore come tema più che diffuso, ci sono quadri, libri, film, opere teatrali dedicate al sentimento principe, forse questa differenza di diffusione è da ricercarsi nel fatto che un conto è raccontare dell’amore, mentre ben diverso è farlo vivere attivamente.Potremmo dunque pensare che la spiccata natura interattiva del gioco, e dei videogiochi poi, sia quasi un ostacolo alla diffusione di prodotti dove la competizione non gioca un ruolo fondamentale, ma la tesi di chi sposa il progetto Games For Change è proprio opposta: una tesi che vede il medium videoludico come il migliore per la trasmissione delle emozioni. 
Interazione emotiva 
I giochi che rimangono più impressi nell’esperienza dei giocatori sono sicuramente quelli che fanno provare le emozioni più intense, potrebbe sembrare ovvio, ma anche le cose più ovvie ogni tanto vanno ribadite così da non farsele passare di mente. Detto questo sembrerebbe una logica conseguenza quella di sviluppare un gran numero di titoli dedicati a una delle emozioni più forti, l’amore, ma come abbiamo visto così non è.Eppure dei prodotti del genere potrebbero avere un’incredibile effetto positivo volendo credere che in media un’emozione venga trasmessa a sei persone diverse, con le dovute proporzioni, e che queste sei a loro volta la ritrasmettano ad altre sei e così via fino a contagiare sempre più individui. Chiaramente non è che vedere una persona felice faccia diventare automaticamente felici, ma certo aiuta e un pelo fa sentire meglio, anche inconsciamente. E’ così che, con una sola emozione positiva, un gioco può contagiare centinaia di persone contribuendo, nella tesi dei relatori, a creare un mondo migliore.Un po’ zuccherosa come visione, ma certo interessante.Gli strumenti indicati durante la conferenza per raggiungere l’obbiettivo sono quelli che più o meno già conosciamo come i principali responsabili dell’immersione nell’esperienza ludica: una buona programmazione dell’intelligenza artificiale, una direzione artistica ispirata e anche un accompagnamento sonoro evocativo.Dal punto di vista del game design poi il consiglio è quello di utilizzare la particolare predisposizione del cervello umano a elaborare profondamente le esperienze negative così da prepararsi a un’eventuale ricaduta: dare al giocatore un compagno, e poi toglierlo, crea un’emozione più forte di una relazione a lieto fine. Oppure ancora è necessario che non sia tutto rose e fiori, si può anche concludere il gioco con un epilogo felice, ma nel cammino sarà necessario che il giocatore guadagni la vittoria attraverso le difficoltà.  

Tra le speranze dei partecipanti alla conferenza dedicata ai buoni sentimenti nei videogiochi, c’è quella di vedere un’ipotetica Game Developers Conference futura con il cinquanta percento dei prodotti dedicati all’amore. Probabilmente è un traguardo difficile, forse neanche auspicabile, ma sicuramente una maggiore esplorazione in questa direzione, al di fuori dei soli canali indipendenti, non può che fare bene al nostro settore.