Recensione

Altered Carbon, la recensione della nuova serie sci-fi Netflix

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a cura di Marcello Paolillo

Senior Staff Writer

C’è da dire che negli ultimi anni la fantascienza, sia quella tradizionale che non, sta vivendo una vera e propria seconda giovinezza. Al cinema o in serie tv dedicate, il genere sci-fi piace – e molto – allo spettatore medio, assuefatto da queste riletture più o meno verosimili del futuro che verrà. Basti pensare a Blade Runner 2049 per il cinema o alla serie Electric Dreams, tratta anch’essa dai racconti dell’ormai leggendario Philip K. Dick. Altered Carbon è quindi l’ultimo prodotto, in ordine di tempo, a portare un certo tipo di fantascienza “oscura” al popolo affamato di serie TV, in particolare agli abbonati al servizio Netflix, orfani da tempo di un’opera di questo genere. E lo fa con dieci episodi inaspettatamente crudi e dalle atmosfere distopiche agghiaccianti.

Trasposizione dell’omonimo romanzo a tinte cyberpunk di Richard K. Morgan, a sua volta primo della trilogia dedicata a Takeshi Kovacs, Altered Carbon ci scaraventa nel 2384, anno in cui la “morte” non è più un problema, visto che ora si è in grado di comprimere la coscienza umana e migrarla in particolari “pile” impiantate nella colonna vertebrale. Sì, esattamente come se stessimo parlando di un chiavetta USB. Ovviamente, il nuovo “corpo” sarà proporzionale al nostro conto in banca, visto che per avere un aspetto giovane e vigoroso – e puntare quindi alla vera e propria immortalità – devi essere davvero ricco. E come ogni sogno impossibile, essere “immortali” porta l’uomo – o quello che ne resta – in una spirale di violenza efferata a cui sarà realmente difficile sfuggire. Takeshi Kovacs (interpretato dall’attore Joel Kinnaman, visto di recente in House of Cards) è un ex soldato rivoluzionario che a seguito di 250 anni di “stop”, vede la sua pila impiantata nel corpo di tale Elias Ryker. Ad aver preso questa decisione è il ricco Laurens Bancroft (James Purefoy), il quale assolda Kovacs per risolvere il “suo” caso di omicidio etichettato come suicidio. Altered Carbon è quindi una serie che si muove agilmente tra il noir e il thriller più classico, non negandosi di esplorare lati dell’animo umano ben difficili da accettare. Prostituzione, violenza, pedofilia: ce n’è davvero per tutti i gusti in una società che ha posto un divario tremendamente netto tra poveri e ricchi (chiamati “Mats”), legati solo ed esclusivamente dalla disperata e perenne ricerca di una “custodia” migliore e più duratura possibile. Stanto attenti solo a non incappare nella Vera Morte, ossia un danno irreversibile alla nostra “pila” rimovibile: dopo, in quel caso, non ci sarà davvero più nulla da fare per tornare in vita.

Se la narrazione è uno dei punti di forza della serie Netflix, purtroppo non possiamo dire lo stesso del ritmo: i primi tre/quattro episodi di Altered Carbon sono di una lentezza disarmante, inutilmente prolissi e con dialoghi spesso poco incisivi. Successivamente la situazione migliora di certo, ma è altrettanto vero che in tutti e dieci gli episodi di cui è composta questa prima stagione si avverte sempre quella spiacevole sensazione legata al voler essere “complesso” a tutti i costi quando in realtà sarebbe bastato poco a renderlo più fluido e comprensibile. Badate bene, con questo non stiamo tacciando Carbon di superficialità o di una messa in scena blanda, anzi. Solo, si ha come l’impressione che la sceneggiatura generale sia stata concepita con in mente il “modello WestWorld” che non sempre è in grado di dare i frutti sperati. Considerando anche che ogni episodio dura all’incirca un’ora, proprio come la nota serie HBO.A controbilanciare questi difetti troviamo però un’interpretazione appassionata di Joel Kinnaman, che assieme all’altrettanto granitico James Purefoy garantiscono un cast sopraffino e mai fuori luogo. Luogo, che in questo caso è una perfetta riproduzione del futuro distopico “alla Blade Runner” (o anche Ghost in the Shell, se preferite) ma in grado di angosciare oltremodo grazie a una dose di violenza e perversione realmente fuori scala (non aspettatevi quindi i classici buoni sentimenti, non ne troverete). Altered Carbon è quindi una serie decisamente atipica, specie per un catalogo piuttosto “blindato” come quello Netflix. Si tratta di un prodotto coraggioso, con delle idee visive e concettuali stranianti, nonostante sia in parte vittima delle sue eccessive ambizioni.

Atmosfera angosciante e dai tratti cyberpunk ben riusciti

Joel Kinnaman e James Purefoy sono due mostri di bravura

Serie unica nel suo genere

Eccessivamente lenta, specie nei primi episodi

Troppi dialoghi, a volte del tutto ininfluenti ai fini della storia

7.5

Altered Carbon è, per Netflix, un importante banco di prova. Si tratta infatti di un prodotto atipico, a tratti eccessivamente lento e dalla lunghezza esagerata (quasi un’ora a episodio), ma in grado di mettere sul piatto un’angosciante visione cyberpunk di un futuro che non vorremmo mai vedere concretizzarsi per davvero. La vicenda di Takeshi Kovacs è, alla pari di WestWorld, un prodotto difficile da assorbire a seguito di una visione disattenta, ma capace di regalare enormi soddisfazioni – soprattutto visive – nel caso se ne comprenda la filosofia di fondo. In ogni caso, ben vengano serie di questa fattura: proprio quello di cui il catalogo Netflix aveva bisogno per variegare la sua offerta.

Voto Recensione di Altered Carbon, la recensione della nuova serie sci-fi Netflix - Recensione


7.5