Anteprima

Alone in the Dark

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a cura di Songoku

È dal 1992 che Alone in the Dark fa compagnia ai videogiocatori di tutto il mondo. Malgrado qualche momento di magra e l’agguerrita concorrenza di altre saghe, il nostro Edward Carnby è ancora vivo e vegeto, e si appresta a fare il salto sull’ultima generazione di console. Vediamo quali sono le impressioni dell’ultima ora, dopo aver ricevuto una versione giocabile del titolo.

Ma dove vai, se l’atmosfera non ce l’hai?Prima di dare uno sguardo alle novità, è bene sottolineare che Alone in the Dark non tradisce il glorioso passato. Sin dall’inizio – da quando Edward si risveglia mezzo intontito in una stanza d’albergo, davanti ad alcuni tipi poco raccomandabili che vogliono fargli la pelle – capiamo che i ragazzi di Eden hanno puntato tutto su un’atmosfera quanto più possibile cinematografica. La possibilità di sbattere le palpebre a comando, per mettere a fuoco la vista distorta dai sedativi, è solo la prima di molte chicche appositamente ideate per creare emozione e inquietudine. Proseguendo nell’avventura questa impressione iniziale viene presto confermata: la trama è accattivante, ogni scena è costruita con grande perizia registica, e il montaggio delle scene di intermezzo è degno di un film hollywoodiano. La maggior parte delle location è stata progettata con lo scopo di accrescere il pathos e la tensione, immergendo il giocatore in un’atmosfera scura, piena di pericolosi angoli bui. La scelta di New York, e di Central Park in particolare, non fa che dare un tocco di suggestione in più ad una struttura narrativa già più che buona.

L’importante è non accontentarsiL’intenzione di Atari era dichiarata: coinvolgere un pubblico quanto più vasto possibile, dal giocatore casuale all’hardcore gamer. Questo obiettivo ha portato a diverse scelte potenzialmente molto innovative.In primo luogo la struttura del racconto, che è stato diviso in episodi e scene. In ogni momento del gioco si può accedere a un menu, molto simile a quello di un dvd, per decidere dove andare: per la prima volta, senza usare trucchi, l’utente può scegliere di saltare un punto particolarmente difficile, passando alla scena successiva. I puristi grideranno allo scandalo, ma molti saluteranno l’innovazione con lacrime di riconoscenza (specie durante quella lunga, difficile, maledetta corsa in taxi per verso il parco). Solo il finale dell’avventura è inizialmente precluso, ma lo si può sbloccare completando una certa percentuale del gioco. Questo approccio, quasi da serie tv, è ulteriormente sottolineato da un’altra trovata geniale: caricando la partita, all’inizio della sessione di gioco, parte un riassunto di quanto abbiamo fatto finora, con un montaggio degli avvenimenti trascorsi e una voce fuori campo che annuncia: “negli episodi precedenti di Alone in the Dark”. Se non è una chicca questa…

Le novità non finiscono qui. Parliamo di controlli: premendo un tasto, si può decidere in qualunque momento di passare dalla soggettiva alla terza persona. Entrambe hanno i loro vantaggi: la soggettiva è più mobile, ma a volte solo la prospettiva esterna permette di vedere strade e percorsi altrimenti difficili da scorgere (Edward è spesso costretto a esplorare l’ambiente e risolvere piccoli enigmi, per capire come uscire da una stanza in fiamme o fuggire da un palazzo pronto a crollare).Innovazioni anche sul fronte del combattimento. Il protagonista può usare armi da fuoco, ma spesso si trova a combattere utilizzando quello che trova sul posto. Per picchiare gli zombie con un bastone (o una sedia, un tubo, una pagaia, ecc ecc) non si preme un tasto, ma si usa lo stick analogico destro: ruotando la levetta, Edward muove l’arma, colpendo i nemici da varie angolazioni e con diversa forza.Proprio la gestione dei controlli rappresenta la sfida più interessante ma, allo stato attuale, anche la meno riuscita: il più grande difetto di Alone in the Dark (per lo meno nella versione da noi provata) sta proprio nei movimenti del protagonista, che in varie occasioni risulta un po’ goffo. Sia in soggettiva che, soprattutto, in terza persona, gli spostamenti dovrebbero essere più rapidi e precisi: non pretendiamo di comandare un ninja, ma nemmeno un mezzo ubriaco.

Gli sviluppatori hanno dedicato molto tempo alla realizzazione delle fiamme, e il risultato è pregevole. Al di là dell’aspetto visivo, ciò che conta è la dinamicità del fuoco: esso non si limita a stare fermo in un punto, ma è capace di espandersi sugli oggetti e sulle superfici, con un effetto molto coinvolgente (pensate di trovarvi in un corridoio in cui le fiamme divorano pian piano il pavimento…). Il fuoco può ucciderci o sbarrarci la strada, ma è anche l’arma migliore contro gli zombie: incendiando una sedia di legno (basta avvicinarla alle fiamme usando lo stick destro) avremo una torcia rudimentale e uno strumento di lotta molto più efficace, in grado persino di spaventare i nemici e farli allontanare.

Ancora una novità: non c’è un inventario, per lo meno nel senso tradizionale del termine. Gli oggetti utili che Edward recupera (spray medici, garze, pallottole, batterie per la torcia, nastro adesivo, coltelli, cacciaviti, bottiglie e via dicendo) vanno messi nelle tasche della sua giacca, che ovviamente sono in numero limitato e di diversa capienza. Da qui la necessità di gestire al meglio le risorse, portando con sé un po’ di tutto e solo quello che serve. I vari oggetti, inoltre, possono essere combinati, una procedura spesso essenziale per procedere nel gioco: la combinazione più frequente è quella tra bottiglia di alcol e garza (o qualche altro tessuto) per ottenere una bomba molotov, ma ci sono molte altre possibilità. Anche in questo caso è bene essere accorti: usare lo spray medico insieme all’accendino per creare un lanciafiamme può essere un’ottima idea, ma occorre tenere a mente che la bomboletta si esaurirà piuttosto in fretta, lasciando Edward senza alcuno strumento di cura delle ferite.

Le possibilità del gameplay non si esauriscono qui: si può frugare nelle auto, sfondare le porte utilizzando gli estintori come arieti, usare il cellulare per leggere i messaggi o fare chiamate, sabotare circuiti elettrici e altro. Senza rovinare troppo la sorpresa, ci pare che il concetto sia chiaro: il più delle volte, Alone in the Dark offre un ottimo ventaglio di possibilità e interazione con l’ambiente, e considerando che si è parlato di 15 ore di gioco (divise in otto episodi), non dovrebbe esserci spazio per la noia.

Da soli, nel buioLa versione da noi provata non è ancora definitiva e, forse anche per questo, il comparto audiovisivo mostra pregi e difetti. La strutturazione degli ambienti è sempre buona, e Central Park è stato realizzato con ottime scelte spaziali e di illuminazione. La quasi totale assenza di stacchi tra gameplay “vero” e scene di intermezzo garantisce un’immersione totale nella storia. La fuga in taxi dall’hotel, nelle prime fasi di gioco, è cinema puro, e particolarmente emozionanti sono tutte le situazioni che implicano scarsità di luce o l’apertura della visuale verso spazi molto ampi della città oppressa da nuvole soprannaturali. A fronte di questi buoni risultati (a cui va aggiunto il già citato lavoro sulle fiamme) troviamo anche qualche pecca: qualità altalenante delle texture (piene e corpose su alcune superfici, più sciatte su altre); livello di dettaglio solo discreto; framerate non sempre costante; fisica delle vetture piuttosto fantasiosa; qualche effetto di illuminazione poco realistico; alcuni fastidiosi pop-up. Nel complesso gli obiettivi sono centrati, perché l’atmosfera orrorifica e inquietante non viene mai a mancare, ma speriamo che il tempo che manca alla release ufficiale possa limare alcune delle imprecisioni.Grande soddisfazione, come da tradizione della serie, per il sonoro. Le musiche, appositamente composte per il gioco, sono sempre azzeccate, e così i molti effetti relativi al combattimento o alla semplice esplorazione. Abbiamo potuto valutare anche il doppiaggio italiano, che non fa gridare al miracolo ma che riesce comunque a essere dignitoso, ben sopra la triste media a cui troppi giochi ci hanno abituato.

ConclusioniPer quello che abbiamo potuto vedere, questo nuovo Alone in the Dark sembra aver imboccato la strada giusta: tutti gli elementi del gioco concorrono a creare un’esperienza divertente e mai banale, con buoni elementi di novità e un alto coinvolgimento emotivo. Speriamo solo che la versione definitiva sappia limare alcuni dei difetti, come il sistema di controllo ancora macchinoso e qualche evitabile imperfezione grafica: se così sarà, avremo di fronte un gioco da comprare a scatola chiusa.