Recensione

Alice: Madness Returns

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a cura di AleZampa

L’immaginario creato da Lewis Carroll per Alice nel Paese delle Meraviglie e Dietro lo Specchio è di quelli che non si dimenticano facilmente. I due racconti, scritti dal matematico inglese, sono una vera miniera di doppisensi, nonsense e invenzioni letterarie e linguistiche, che hanno solleticato la fantasia di chiunque ci si sia avvicinato. La loro propensione poi all’interpretazione e alla follia, condite da un’anarchia malcelata, hanno fatto si che la componente oscura e dark prendesse nell’immaginario collettivo il sopravvento, dall’allora insospettabile Walt Disney, che creò uno dei lungometraggi più psichedelici e contorti mai visti, fino al recentissimo Tim Burton, che lo scorso anno ha trasposto cinematograficamente la sua versione di Alice. Tra tutti coloro che si sono cimentati con il Paese delle Meraviglie però, ha un ruolo speciale American McGee, designer che contribuì ai primi due capitoli di Doom con ID Software e che debuttò nel duemila proprio con Alice, un titolo oscuro, visionario, che ha senza dubbio contribuito a rafforzare l’immagine e la percezione di una eroina dark e di un Paese delle Meraviglie più diabolico di quanto si sia portati a pensare. Dopo oltre dieci anni di alti e bassi, il designer torna su suoi passi e regala a tutti i fan un nuovo giro nel suo universo, fatto di bizzarrie, aberrazioni e molti, molti pericoli.

Drink Me Iniziamo subito a descrivere, per quanto possibile, la possente struttura narrativa di Alice: Madness Returns: un po’ come nella Sposa Cadavere di Tim Burton, le avventure della nostra Alice saranno suddivise in due mondi che all’inizio paiono distinti, ma che arriveranno, con l’incedere dell’avventura, ad amalgamarsi sempre più. La nostra eroina non è più la bambina uscita dalla tana del Bianconiglio dieci anni or sono, ma una giovane donna di diciannove anni che esce dal manicomio in cui è stata rinchiusa in seguito all’incendio che ha distrutto la sua famiglia, che ovviamente l’ha segnata profondamente. Nei primissimi minuti di gioco, faremo la conoscenza quindi del Dr. Bumby, lo psichiatra che ci ha in cura, che vede nella rimozione dei ricordi l’unica nostra via di fuga, e una cupa Londra di epoca Vittoriana, che farà da cornice alle nostre scorribande nella terra del Brucaliffo e del Cappellaio Matto. Uscita dal manicomio infatti Alice inizierà un doloroso viaggio all’interno della sua stessa psiche, che la porterà a cercare di fare chiarezza sul suo passato. Peccato, che la psiche di Alice altro non sia che il Paese delle Meraviglie che la sua instabilità mentale ha trasformato in una terra corrotta e devastata da un treno infernale che ne minaccia la stessa sopravvivenza. Il nostro compito sarà quindi quello di cercare di salvare il paese delle Meraviglie per salvare noi stessi, oppure, come ci direbbe lo Stregatto, visto che niente è come sembra, salvare noi stessi per salvare il Paese delle Meraviglie.

Eat Me L’impianto ludico del titolo è quanto di più classico si possa immaginare per un action/adventure: nei panni di Alice infatti, con una rigorosa visuale in terza persona, dovremo destreggiarci tra piattaforme mobili e salti ripetuti, combattimenti all’arma bianca e alla distanza, che non provano nemmeno a introdurre elementi nuovi nel genere. Ogni sezione nel Paese delle Meraviglie, è preceduta da qualche minuto nella realtà, con la protagonista che gira per una grigia e spenta Londra all’inseguimento di un gatto bianco. L’instabilità mentale di Alice però la porterà a perdere spesso conoscenza, grazie a questo escamotage verremo catapultati a Wonderland, che, come già detto, è parecchio cambiata dall’ultima volta. Incontrando i personaggi più famosi e riconoscibili dell’universo di Carroll, che spaziano dal Cappellaio Matto alla Lepre Marzolina, dalla Falsa Tartaruga al Brucaliffo, dalla Regina di Cuori al Carpentiere, viaggeremo in diverse ambientazioni (sono sei i capitoli che compongono l’avventura, ognuno rigorosamente a tema), ma tutto sommato, compiremo sempre le stesse azioni, che vanno dalle più classiche sezioni di platforming, con il giusto salto (ripetibile tre volte, con la possibilità di planare) sulla giusta piattaforma, alla risoluzione di banalissimi puzzle, come mettere in ordine i pezzi di un dipinto (o di una locandina), o di suonare nel modo corretto una melodia. Un pizzico di novità, nonchè una buona variazione del tema, la da la possibilità tutta Carrolliana di rimpicciolirsi per infilarsi in alcune zone altrimenti inaccessibili, così come vedere passerelle invisibili o trovare simpatici disegni che ci daranno qualche indizio sul da farsi o su cosa ci aspetta nella stanza successiva. Vista l’enorme mole di collezionabili poi, vi troverete molto spesso a rimpicciolirvi praticamente in ogni nuova sezione, in modo da non perdere mai per la strada nessun ricordo o bottiglia speciale. Simpatica anche la presenza di veri e propri grugni di maiale nascosti per i livelli, che se riempiti di pepe (la seconda arma del nostro arsenale sarà proprio un macinapepe) sbloccheranno nuovi passaggi o ricordi nascosti.

Try MeDopo aver parlato delle sezioni più puramente adventure, è il momento di passare al combat system, che pur non essendo nulla di rivoluzionario è quantomeno vario e divertente. A nostra disposizione avremo un discreto arsenale di armi: si parte con la Lama Vorpal (che chiunque abbia mai giocato a D&D, pur essendo stata inventata proprio da Carroll, avrà sicuramente già sentito), il coltello da cucina che è un po’ l’icona della serie, per arrivare all’utilissimo Macinapepe, una sorta di mitragliatore che attiverà una visuale alla Gears of War, al Cavalluccio di Legno, un’arma a due mani da utilizzarsi per infliggere ingenti danni e rompere le difese avversarie, ad un sempre utile ombrello, che sarà l’equivalente dello scudo, in grado anche di rispedire alcuni colpi al mittente, e infine alla temibile teiera, nientemeno che un cannone in grado di fare grossi danni ad area. Chiude il lotto la bomba ad orologeria, una delle armi più versatili del gioco, che ci permetterà, oltre che di far saltare in aria alcune pareti, anche di distrarre i nemici o attivare, grazie al suo peso, specifici interruttori. Ad eccezione di macinapepe/teiera, che selezioneremo tramite specifico tasto (o d-pad) ognuna di queste armi è mappata su uno specifico bottone e utilizzabile senza soluzione di continuità in combattimento, cosa che ci darà la possibilità di inanellare complesse e varie combo, piuttosto che adottare uno stile più tattico, oltre che combattere dalla distanza, piazzando magari una bomba che attiri un gruppo di nemici, per poi bombardarli con la teiera.A tutto questo si aggiunge una schivata rapida che spesso ci toglierà le castagne dal fuoco. Un difetto evidente, che non possiamo non riportare, è il sistema di lock on traget che non mette il nemico al centro della visuale, costringendo spesso il giocatore disattivare questa funzione, riposizionarsi manualmente davanti al nemico e ri-attivarla solo in seguito. La varietà dei nemici, e la loro caratterizzazione è notevole, così come il livello di sfida, che già a livello Normale vi darà qualche grattacapo nelle 12 ore richieste per uscire dal paese delle Meraviglie. I nemici inizieranno, nelle fasi più avanzate, ad attaccare in gruppo, costringendovi a scegliere bene quale affrontare per primo. Pur essendo comunque vari e a tema con il livello in cui ci si trova, ci si rende presto conto che i loro pattern comportamentali sono tendenzialmente gli stessi, e che sembrerebbe quasi che lo script del nemico sia stato semplicemente mascherato da una nuova veste grafica. Nonostante il buon arsenale inoltre (che potrete upgradare di quattro livelli usando i denti che troverete in giro) si nota che questo è completo già nella prima metà del gioco, rendendo così tutti i combattimenti futuri, per quanto comunque divertenti, semplicemente ripetitivi, senza aggiunte in grado di dare nuova linfa al gameplay. Ed è questo il difetto principale di questo Alice: Madness Returns: una sensazione pressochè costante di “già visto” e “già fatto”, spezzata solo in alcuni momenti da alcune sezioni di platform bidimensionale (alcune invero particolarmente riuscite ed ispirate), che però non riescono a fugare del tutto l’impressione che il level design sia strutturalmente piatto, e che dia tutto quello che deve dare già nelle primissime ore di gioco, riciclandosi continuamente dopo.

Siam tutti matti quiIn una cosa però American McGee è inarrivabile quando si tratta di Alice nel Paese delle Meraviglie: dipingere un mondo incredibilmente vivido e disturbato, che non ha nulla da invidiare, ad esempio, da quello di Burton che tanto successo ha fatto al botteghino. I personaggi che incontrerete, le terre che visiterete, i nemici che affronterete sono tutti parto della sua mente, e si incastrano tutti perfettamente in un clima di insanità mentale che è oltretutto funzionale alla storia. Ad eccezione di alcune sezioni, oggettivamente povere e spoglie, girare per i livelli di Madness Returns è davvero equivalente al fare un giro in un paese delle Meraviglie, disturbato e disturbante, ma comunque meraviglioso. Anche il comparto tecnico, come il gameplay ripetitivo, non aiuta il titolo ad elevarsi dalla massa: se infatti, grazie alla caratterizzazione di personaggi e ambienti, l’impatto visivo è più che buono, a livello tecnico non mancheranno ripetuti e fastidiosi glitch, come compenetrazioni fin troppo marcate, salti mal calibrati e via discorrendo. Non si può inoltre non notare una concezione del level design fin troppo vecchia scuola, con alcune aree bloccate da muri invisibili, o altre che, pur teoricamente raggiungibili, sono comunque interdette per qualche strano motivo noto solo agli sviluppatori. La versione PC del titolo, è sostanzialmente identica a quella console, con un frame rate fissato da Electronic Arts, d’ufficio, a 31 fps (ma non sarà difficile per chiunque un minimo pratico di gaming si PC portarlo a 60 o anche a 120 fps), e una resa visiva complessivamente superiore data dalla possibilità di attivare il Physics di NVIDIA e alla presenza di un antialiasing massiccio, vero tallone d’Achille delle console HD. Nonostante questo però abbiamo ravvisati alcuni rallentamenti sia nelle fasi più concitate del combattimento, sia nei caricamenti tra un’area e l’altra. Unica pecca, l’assenza, se comprato al di fuori di Origins, store ufficiale EA, dell’originale Alice, compreso come DLC scaricabile nelle versioni Xbox 360 e PlayStation 3.

HARDWARE

Requisiti MinimiSistema Operativo: 7/ Vista/ XpProcessore: Intel Core Duo 2 / AMD Athlon X2 1,6 GhzRam: 2GbHard Disk: 10Gb spazio liberoScheda Grafica: Ge Force 7600/ATI Radeon X1650 256Mb MemoriaScheda audio: Compatibile DirectX 9.0c

– Atmosfera incredibile

– Personaggi e nemici ben caratterizzati

– Ottima trama e intreccio narrativo

– Gameplay eccessivamente classico, senza inventiva

– Meccaniche ripetitive

6.5

Peccato. E’ questa la parola che viene in mente dopo aver giocato ad Alice: Madness Returns. Peccato perchè un gameplay ripetitivo e un level design piatto, unitamente ad un comparto tecnico tutt’altro che all’avanguardia non hanno saputo supportare uno stile visivo strepitoso, capace di ammaliare con la sua grazia e il suo stile già dal primo minuto di gioco. Se vogliamo valutare il titolo da un punto di vista prettamente ludico non possiamo purtroppo andare molto oltre la sufficienza, ma, se abbiamo voglia di abbandonare alcune piccole pretese, e di chiudere un occhio su dei difetti evidenti e incontestabili, allora potremmo perderci nella fluente chioma nera di Alice e nel suo Paese delle Meraviglie, capace come poche altre opere di questa generazione di rapire e, sopratutto, stupire.

Voto Recensione di Alice: Madness Returns - Recensione


6.5